martedì 15 ottobre 2019

C'è chi sciopera e chi studia!


Se vi nominassi Boyan Slat forse avreste una reazione simile a quella di don Abbondio che al cap. 8° dei Promessi Sposi si domandava chi fosse Carneade.
È un ragazzo olandese (classe 1994) che cinque anni fa, invece di scioperare e fare il giro dei capi di stato, abbandonò – dopo un solo semestre – la facoltà di ingegneria aerospaziale per dedicarsi a pulire l’oceano dalla plastica grazie ad un sistema di tubi galleggianti che accumulasse la plastica in superficie in modo autonomo, al ritmo del flusso delle correnti, senza motori e senza esseri umani a pilotarlo.
Si narra che da piccolo, mentre tutti i suoi coetanei giocavano con il pongo, Boyan si dilettasse nel creare invenzioni e costruire oggetti. A soli 14 anni, si aggiudicò il Guinness World Record lanciando contemporaneamente 213 razzi ad acqua. Il primo di una lunga serie di riconoscimenti che Boyan riceverà.
Durante un’immersione in Grecia, si rese conto che trovava più plastica che pesci nel mare. Fu così che gli venne un’idea: perché oltre che educare al rispetto dell’ambiente, non ci impegniamo concretamente per risolvere i danni che abbiamo già causato?
L’idea di Boyan è quella di sfruttare le correnti degli oceani per ripulirli da tutta la plastica che ne distrugge l’ecosistema.
Si rimette al lavoro consultando scienziati, professori ed esperti dalle Università di Delft, Utrecht e Hawaii e studia un sistema di barriere galleggianti (booms) attaccate al fondale marino che, sfruttando le correnti – e minimizzando così i costi di trasporto – sono in grado di filtrare i rifiuti e raccoglierli in una piattaforma.
A soli 18 anni, tiene il suo primo TEDx Talk a Delft.
Abbandona gli studi di Ingegneria Aerospaziale all’Università Tecnica di Delft per fondare la sua azienda, la Ocean Cleanup, con 300 euro di capitale iniziale. Durante l’anno successivo, un team di cento ricercatori volontari si dedica agli studi di fattibilità per capire se l’idea iniziale si può davvero mettere in pratica.
Nel 2015 riceve da Sua Maestà Harald V di Norvegia il Young Entrepreneur Award per la categoria dell’industria marittima e viene inserito da TIME Magazines nella lista delle migliori invenzioni del 2015 e Forbes lo inserisce nella sua prestigiosa lista dei 30 under 30 nel 2016.
Dopo 3 anni ininterrotti di studio e progettazione, circondato da 80 studiosi, tra biologi e ingegneri, per creare una tecnologia del tutto nuova, sostenibile e capace di resistere alla forza del mare aperto. La struttura funziona in modo autonomo sfruttando le correnti naturali dell’Oceano per attirare verso di sé i rifiuti galleggianti. La plastica viene catturata all’interno dell’impianto, separata dal plancton e filtrata. Successivamente è possibile recuperare la plastica per poterla riciclare. 
Nel 2016, arrivano i fatti concreti: Ocean Cleanup schiera la sua prima barriera lunga 100 metri a circa 23 km al largo delle coste olandesi ed il 29 agosto 2017, Boyan annuncia che il design della “macchina” ha subito sostanziali miglioramenti e si prepara ora a lanciare il suo primo sistema operativo completo nel Great Pacific Garbage Patch. Boyan stima che, con questa tecnologia, sarà possibile ripulire l’oceano in 5 anni.

Il «Sistem 001/B» sta rimuovendo dall’oceano frammenti di plastica visibile, reti da pesca e, sorprendentemente anche microplastiche del diametro di 1 millimetro. Pur trattandosi di un sistema abbastanza semplice (costituito sostanzialmente da un tubo galleggiante e da un grande rastrello) l’azienda ha dovuto sperimentare diverse soluzioni per poter arrivare a realizzare un impianto efficiente.
Boyan infatti sta già lavorando al «System 002», un sistema di pulizia su vasta scala che sarà capace di trattenere la plastica raccolta per lunghi periodi di tempo, prima di riportarla a terra e avviata ai centri per il riciclo.Ecco quando si dice “largo ai giovani” che hanno idee che – studiando – sanno trasformare poi in fatti concreti. Il suo slogan è: «Possiamo farlo. Dobbiamo farlo. E lo faremo».
Ecco i giovani ai quali affidare il nostro futuro.
In bocca al lupo, Boyan

giovedì 19 settembre 2019

Red shocking


I testi base sulle tecniche della comunicazione creativa sono lastricati con i consigli su come attirare maggiormente l’attenzione in quel determinato ambito o contesto. La tecnica di “lisciare il pelo” dell’interlocutore è sempre un asso nella manica. Oppure l’ironia nel messaggio può essere un grimaldello per far riflettere. Talvolta è utile una frase, un gioco di parole che – lento ma stakanovista come un tarlo – sa insinuarsi, silente, nella nostra mente per poi emergere ed esplodere inaspettatamente per farci capire – con calma – ciò che la campagna intendeva comunicare.
Poi c’è chi – come un famelico squalo che ci incontra al largo mentre facciamo due bracciate spensierati – vuole colpire con un “uppercut” lo spettatore con un vero shock visivo lasciando i pensieri nella battigia.
Qualsiasi tecnica si decida di usare il primo comandamento è "Devi stupire l'utente!".
Pare che la “Bodyform”, conosciuta in Italia come Nuvenia abbia deciso di abbandonare la solita aria eterea e trasognante dei suoi spot per usare invece un vero shock!
Sta facendo infatti discutere il nuovissimo spot in onda da pochi giorni, che inizia con una mano che versa una fiala di sangue su un assorbente femminile! Lo spot prosegue con un uomo che acquista al supermercato un pacchetto di assorbenti (presumibilmente per conto della sua compagna); il video poi mostra una donna che si rilassa in piscina galleggiando …su un materassino gonfiabile a forma di assorbente e infine fa intravedere il corpo di una donna sotto la doccia con le gambe intrise di sangue. Un vero effetto “pulp”.
Il pay-off finale (su sfondo rosso, ovviamente!) inchioda e inquieta: «Periods are normal. Showing them should be too» ovvero “Le mestruazioni sono normali. Anche mostrarle dovrebbe esserlo”.
Tutto è nato in seguito ad un sondaggio “Period Taboo” condotto da Bodyform che ha rivelato che una donna su cinque ha sofferto in termini di autostima, a causa della “cultura del silenzio” sul sanguinamento vaginale. La campagna provocatoria di Bodyform mira a rendere normali le mestruazioni, rappresentandole in una serie di scenari realistici.
Questo spot fa parte della campagna digitale #BloodNormal che risponde alle recenti proteste femminile in nome del “free bleeding (ovvero “sanguinamento libero” che suggerisce di non usare gli assorbenti) ed è  un chiaro invito per le donne a non nascondersi durante il ciclo mestruale.
Ma poiché la “Bodyform” produce assorbenti queste manifestazioni avrebbero potuto rappresentare un problema per le vendite ecco dunque un’idea.

Hanno pensato che si possa abbattere ogni tabù sul ciclo mestruale mostrando un assorbente usato...

«Crediamo che, come ogni altro tabù, più la gente lo vede, più il soggetto diventa normale», ha dichiarato Tray Baxter, responsabile marketing di Bodyform.
Come in altre campagne creative che adottano la tecnica di shockare l’utente, le reazioni si sono molteplici: disgustosa, orrenda, fuori luogo o geniale.
Posto che tutto il mondo – compreso quello femminile! – è cambiato, la domanda definitiva non può non essere: è davvero necessario vedere gambe di donne intrise di sangue o donne vestite da assorbente durante una festa in maschera, per sfatare l’assurdo tabù del ciclo mestruale?
Ai posteri l’hard..ua sentenza

giovedì 22 agosto 2019

LE REGOLE SONO COME LE CRAVATTE?

Prima premessa: detesto gli stereotipi.
Seconda premessa: c’è una frase di Pablo Picasso che è diventata una mia regola di vita «impara le regole come un professionista, affinché tu possa infrangerle come un artista».
Terza premessa: l’arte della comunicazione, come tutte le arti, dev’essere scevra dai lacci delle regole.

Fatte queste premesse, arrivo subito al dunque: in Inghilterra hanno appena censurato due spot pubblicitari perché in essi emergerebbero stereotipi di genere.
Ebbene sì, il “pensiero unico” prevede che tra uomini e donne non debbano esistere differenze, devono essere pari in tutto distruggendo quindi quelle differenze innegabili ed inequivocabili che le rendono appunto …distinguibili!
Un po’ come se si volessero annientare le differenze tra la carne e il pesce creando qualcosa che non è più né carne né pesce.
Nel primo spot incriminato, alcuni uomini si cimentano in attività avventurose e parallelamente due donne si dedicano invece ad attività – apparentemente – meno energiche: una riposa …ma dopo aver raggiunto una parete a duemila metri, l'altra accudisce un bambino.
Da notare - quindi - che anche dopo una arrampicata su un pendìo, la donna si dedica al puro relax e poi anche accudire un figlio sia descritto come un’impresa, tutto sommato, meno coraggiosa e meno faticosa.
L'altro spot finito sotto la lente vigile del politically correct raffigura un padre al quale viene affidato un neonato dalla madre.
A causa di un momento di distrazione, il figlio si ritrova a gattonare sul nastro trasportatore di un ristorante self-service. Padre degenere?
I grandi geni dell’Advertising Standards Authority (una sorta di “garante per la correttezza della pubblicità” in Inghilterra) spiegano la decisione della sanzione perché la scena lascerebbe intendere che i padri, a causa del loro genere, non siano capaci di curarsi dei propri figli.
Lo spot, come tutti gli spot, vuole semplicemente strappare niente di più che un sorriso. Non è un reportage di sociologia comportamentale genitoriale.
Ma tutto questo sfugge ai piani alti dell’Advertising Standards Authority. E poi c’è chi pensa che gli inglesi siano ancora detentori del “tipically british humour”?
Ma non puntiamo il dito sulla perfida Albione.
Essi sono solo gli ultimi della serie: già in Belgio, Francia, Finlandia, Grecia, Norvegia, Sud Africa e India ci sono state simili uscite sanzionatorie.
Io ritengo che l’applicazione ottusa di una regola contro la discriminazione di genere, porta semplicemente ad una massificazione degli esseri umani e la conseguente abolizione di ogni diversità.
Già la buonanima del principe Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, fece notare che l’eccesso di zelo provoca solo disastri.
Tutto questo in nome di Sua Altezza Reale l'agenda globale del politicamente corretto.

Un padre non può essere pasticcione.
Una donna, sebbene alle prese coi pargoli, è pur sempre astenica rispetto all’ipercinetico marito (sebbene quest’ultimo sia dietro una scrivania)…
Paradossalmente in tal modo passa il concetto che la donna per realizzarsi e fare parte a pieno titolo della società, debba per forza lavorare!

Per coerenza con le mie premesse iniziali, non voglio certo far passare l’idea dello stereotipo degli stereotipi sgradito a molte donne dell’«angelo del focolare», visto che sempre più spesso le donne si ritrovano a fare due lavori (uno fuori – pagato - e l'altro dentro casa – per giunta gratis –) ma da qui a vietare uno spot che presenta una madre scansafatiche o un padre distratto… ne corre!
Ma questi spot non sono certo gli unici a risentire della massificazione sistematica imposta dalla corrente.
Occorre educare in modo subliminale fin da piccoli.
Ci pensa la “Kinder” leader incontrastata delle merendine per bambini.
C’è una piccola pirata che scruta l’orizzonte e scova il suo prossimo bottino su una nave.
Lo spot prevede con un confronto tra la baby-pirata e il capitano della nave assaltata.
Ed ovviamente il tesoro da depredare è costituito da barrette di cioccolato.
Lo spot si chiude a tarallucci e v… ehm, con i due che si spartiscono il “tesoro” e mangiano allegramente in compagnia le barrette di cioccolato.
Innegabile che non sia stato certo un caso la scelta di una bambina per rivestire il ruolo di pirata (per di più come protagonista).
La mia generazione, che ha un precedente con Lady Oscar, non potrà certo stupirsi di ciò, ma è impossibile non notare l’uso del grande potere della comunicazione creativa in modo subliminale e carsico per sovvertire i ruoli offrendo la possibilità di vedersi, riconoscersi, immaginarsi in ruoli e modelli liberi da pregiudizi, donando libertà di esprimersi in modo quanto più fedele alle proprie attitudini, andando oltre gli stereotipi.
Su questa stessa linea, anche “la Sirenetta” nel nuovo live-action della Walt Disney non avrà tratti danesi visto che a impersonare Ariel sarà l’afroamericana Halle Bailey, 19enne della Georgia, pelle d’ebano con lunghi capelli ricci e scuri.
Panta rei, direbbe qualche saggio d’antan.
La Kinder, con questo spot, dà con un messaggio chiaro e immediato: le doti tipiche di un pirata come coraggio, audacia, capacità avventuriere e di comando sono doti per bambine tanto quanto per bambini. 
Guai, quindi, ritrarre in uno spot una bambina – che so – che si limiti a osservare o imitare la mamma che disbriga le faccende domestiche. Giammai!
D’altronde, non possiamo certo stupirci. In tempi recenti, ci siamo abituati ormai a vedere anche nei TG donne spavalde pilotare navi e speronarne altre proprio come i pirati… d’alto bordo.

Riguardo la sovversione di stereotipi, impossibile non notare nello spot della Kinder la rigorosa assenza della figura del padre e - di converso - l’altrettanto rigorosa presenza della figura della madre.
Ma nessuno qui protesta per la discriminazione della figura maschile…
Ecco quindi che nonostante gli sforzi, uno stereotipo appare sempre più radicato: il padre non dedica il proprio tempo ai propri figli e alla propria famiglia.
Un passo avanti, uno indietro.

Ecco quindi la domanda iniziale del titolo: le regole sono come le cravatte?
Giusto che il nodo sia ben stretto.

Ma non troppo stretto per non soffocare, né troppo lasco perché poco raffinato.

mercoledì 24 aprile 2019

"ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE" O GIORNO DI VACANZA?


Il primo affondo lo fece il ministro degli Interni Matteo Salvini affermando che non intendeva “sfilare qua e là con fazzoletti rossi, verdi, neri, gialli e bianchi” associando la sua immagine a quella di chi colora i cortei partigiani nelle cittadine italiane.
INCREDIBILE DICTU. 
E tutti a stracciarsi le vesti.
Poi arrivò Laura Ferrari, sindaco di Lentate sul Seveso, in Brianza, che ha deciso di cancellare il corteo e i discorsi per il 25 Aprile, limitando le celebrazioni della festa della Liberazione alla deposizione di una corona al monumento ai Caduti.
E finalmente qualcuno si sveglia e scalfisce il dogma del 25 Aprile.
L’Anpi ha deciso di sfilare comunque per le vie di Lentate, anche senza autorizzazione. E ciò dimostra quanto ci tengano a rispettare le regole….
Io mi domando come mai non ci sia nessuno che si chieda la ragione per cui il 25 Aprile resti, dopo 74 anni, una festa che di parte che divide anziché unire una nazione, una festa che ha mantenuto intatta quel clima aspro e contrapposto di guerra civile di allora, una festa «partigiana» (con l’accezione etimologica di una festa “di parte”) o peggio una festa “dei partigiani” non degli Italiani. Una festa quindi ben lontana da essere un elemento che coinvolga i sentimenti di una intera nazione.
Con una ricerca effettuata tempo fa dall’Istituto EumetraMR di Milano, hanno voluto verificare in che misura gli italiani “sentano” il 25 aprile.
Emerse un quadro contraddittorio e preoccupante.
Circa due intervistati su tre (67%), mostravano di conoscere con relativa precisione ciò che si ricorda il 25 aprile. Ma ben un terzo (33%) dei nostri concittadini non ha neppure una vaga idea.
Il 18% offre risposte paradossali, dicendo che in questa data si festeggia «l’Unità d’Italia» o «l’anniversario di Roma come Capitale» (3%) o «la Festa del Lavoro» (2%) o, c’è chi pensa sia «la fine della seconda guerra mondiale» (9%).
La fascia “più ignorante” è quella dell’età dai 25 ai 45 anni. Tra i laureati, ben uno su quattro non conosce il significato della ricorrenza.
La dimostrazione che il “25 aprile” in Italia è semplicemente un giorno di vacanza da scuola o dal lavoro, senza che se ne sappia bene la motivazione.
Provate a chiedere ad un cittadino francese cosa si festeggi il 14 luglio o ad uno yankee perché il  4 luglio sia una festa.
Quelle sono feste che uniscono tutta la nazione!

Infine io aggiungo, che cosa dovrei festeggiare il 25 Aprile? Trovatemi un’altra nazione che festeggia una sconfitta.
Dovrei festeggiare un 25 aprile che fu la fase prodromica di quell’orrenda squallida sceneggiata di piazzale Loreto definita (dagli storici!) una “scena da macelleria messicana”?
O forse dovrei festeggiare il giorno che ha dato il via alle stragi del famoso “triangolo rosso” di Reggio Emilia?
Dopo 74 anni dovremmo festeggiare il 25 Aprile come una festa con i "pugni chiusi" la cui colonna sonora ufficiale è ancora «Bella ciao» nonostante i partigiani non fossero tutti “rossi”?
Permettetemi di non sentirmi di festeggiare una data macchiata da tanto sangue chiamandola “Anniversario della Liberazione” finché non verranno ricordate anche le vittime del “Triangolo rosso” di Reggio e finché non sarà sentita come “festa di tutti” come il 4 luglio o un 14 luglio.

Piuttosto preferisco ricordare San Marco Evangelista.
Oppure il 145° anniversario della nascita di un grande genio Italiano: Guglielmo Marconi...






mercoledì 27 marzo 2019

Sul "talk-show" e la terzietà del conduttore


Il “talk-show”  è un genere di spettacolo televisivo che – come dice la parola – è  basato sulla conversazione tra più persone con la partecipazione di esperti dell'argomento trattato.
A gestire la conversazione c’è sempre un conduttore/moderatore per “regolare il traffico” di interventi o placare le eventuali intemperanze qualora  gli ospiti della trasmissione parlino contemporaneamente o si inférvorino.
Almeno così dovrebbe essere in teoria.
Peccato che, ultimamente, il conduttore (o la conduttrice!) abbia scordato la caratteristica “super partes” del suo ruolo e – paradossalmente – scenda in campo a difendere – lancia in resta – le istanze di una delle parti contrapposte, facendo quindi mancare l’essenza stessa del programma che risulta quindi sbilanciato, trasformandolo da talk-show a ...trash-show.
Senza l’aplomb del conduttore, si assiste ad una sorta di fucilazione mediatica, dove il malcapitato si trova accerchiato da un plotone d'esecuzione capitanato dallo stesso moderatore (o moderatrice). Non solo, il/la conduttore/trice arriva al momento opportuno per dare il colpo di grazia alla nuca. 
Da talk-show a “uno contro tutti”.
È il caso – per fare un esempio pratico – dei programmi di Barbara d’Urso, da “Domenica Live” a “LIVE - Non è la D’Urso”. 
Ospite il ministro degli Interni, Matteo Salvini, dopo alcune domande generiche sulla situazione del governo, lo attrae in una trappola: il “Convegno della Famiglia” che si terrà a Verona e al quale Salvini ha annunciato di voler partecipare.
La conduttrice, ha sfilato prontamente dalla sua faretra, frecce intinte nel vetriolo, esprimendo un giudizio sarcastico – non richiesto – fortemente negativo.
Lo stesso tranello nel suo programma serale del mercoledì. 
Quando il prof. Alessandro Meluzzi parlando della famiglia ha accennò a questo convegno. 
Apriticielo! 
La cara “Carmelita” ha reagito stizzosamente con un “ma per carità: stendiamo un velo!”. 
Idem quando - ospiti in due differenti puntate - Heather ParisiBrigitte Nielsen, tratta il tema della fecondazione artificiale e della maternità in età avanzata. 
Non si domanda la conduttrice che tra i suoi numerosi telespettatori ci possa essere anche più di uno che andrà a Verona o che -per lo meno- abbia idee vicine a quelle degli organizzatori di questo vituperato (…dalla d’Urso!) convegno?
Non pensa che tutto ciò non sia una smaccata mancanza di stile e nient’affatto corretta ontologicamente parlando?

Ma la d’Urso è un buona compagnia.
Cambiando rete c’è Dietlinde Gruber che nel suo “Otto e Mezzo”, gioca all’«uno contro tre»: la vittima sacrificale, due ospiti con idee opposte e ovviamente lei, pronta a dare manforte ai due. 
L’ultimo caso è stato con la trasmissione dove Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia era ospite insieme a Massimo Giannini e Marco Damilano. Un confronto bilanciato, no? 
Anche qui dopo le domande di rito molto soft si arriva all'argomento preferito delle ultime settimane: Il Congresso di Verona sulla famiglia. 
Giorgia Meloni fa notare che sul Congresso si stia facendo molta disinformazione, che "i suoi avversari non hanno argomenti su questo tema della famiglia" e che lei andrà "con orgoglio al congresso a difendere le donne, i loro diritti, la famiglia e la natalità".
A quel punto interviene la Gruber che – in un modo soave e imparziale – mette in evidenza che la  Meloni non sia coerente con lo stile della “famiglia tradizionale” propagandato nel Congresso di Verona, visto e considerato che lei vive “more uxorio” col suo compagno e ha una figlia nata fuori dal matrimonio.
Già di per se, quando in un dibattito politico, si va a raschiare il fondo con elementi prettamente legati alla sfera personale e privata di una persona, non è certo un bell’esempio di giornalismo!
Come avvoltoi, arrivano famelici più che mai, gli altri ospiti, Andrea Scanzi e Maurizio Damilano per inchiodare la Meloni che – toccata nel vivo della sua vita personale - reagisce duramente: «Sbagliate “voi” a pensare che chiunque partecipi a questa iniziativa abbia un approccio confessionale Ho una visione estremamente laica della vita e della politica e sono d'accordo sul fatto che la gente non si deve fare gli affari tuoi. Sono una persona che ha avuto un figlio fuori dal matrimonio e non pretendo di avere il favore che la costituzione italiana riconosce alle coppie sposate. Non vado a questo congresso per dire che la donna deve stare a casa a a stirare».
«Voi lo dice a qualcun altro» ha sbottato stizzita la Gruber che forse voleva tentare di sottrarsi dall’eventuale accusa di essere schierata con gli ospiti. O forse ha capito che la Meloni si stesse riferendo a lei ...con il “voi” littorio.
Chissà quale delle tue ipotesi l’ha fatta scattare a molla alterando i suoi lineamenti!
Resta il fatto che ha concluso affermando: «...e tolgo l'audio». Un po' come i bambini che in un campetto minacciano di andar via col pallone quando stanno perdendo!
Schierata e anche autoritaria.
Perfetto per una brava conduttrice, vero?

martedì 26 marzo 2019

Taci sei medievale!


Ultimamente il medioevo è sulla bocca di tutti. Chi non ha sentito «Stiamo tornando nel Medioevo!» quasi che dovessimo anteporla alla stravaganza e alla mancanza di regole logiche.
«Medioevale!» è l’epiteto peggiore per chi vuole tacciare di oscurantismo coloro che si ostinano a tenersi strette-strette le regole che il buon Dio (o la Natura per i non credenti) ha elaborato per la vita.
Medioevo come sinonimo di ignoranza, tirannia, oscurantismo!
Peccato che tutto ciò non corrisponda al vero!
Ma siamo sicuri che il periodo medioevale sia davvero etichettabile come “secoli bui”?
Possiamo vedere il Medioevo come la fase prodromica del Rinascimento.
Gli antichi Romani dicevano «Ubi commoda, ibi est incommoda!», in terra d’Albione si dice «No pain, no gain!» oppure più recentemente «Chi ama l’arcobaleno, dovrebbe anche amare la pioggia che lo precede!».
Il simbolo della cultura, l’Università è nata proprio nel Medioevo!
Nel medioevo, i monaci benedettini riuscirono a salvare, copiando a mano, quasi tutti i documenti antichi (romani, greci) salvaguardando così la nostra storia, la nostra letteratura, impedendo la morte di quelle culture sulle quali ora sono si fonda la civiltà occidentale.
Nel Medioevo fu inventato l’aratro pesante, da utilizzare nei terreni “pesanti”, il telaio azionato a pedali, con il quale la produzione e quindi il commercio del panno aumentò a dismisura, i camini e focolari con canne fumarie, che riuscirono a tenere le case al caldo,
Sapete quando fu inventata la bussola? Nel Medioevo. Cristoforo Colombo, Ferdinando Magellano, Vasco De Gama hanno “scoperto” il mondo, andandosene in giro per il mondo grazie alla tecnologia medievale.
Prima di giudicare gli uomini medioevali, l’uomo moderno dovrebbe pensare come sarà lui giudicato dalle generazioni successive.
Jacques Le Goff, tra i più autorevoli studiosi viventi della storia e della sociologia del Medioevo in un’intervista ha spiegato che «come dice il nome, il Medio Evo è stato sempre considerato come un periodo di passaggio, di transito tra l’Antichità e la Modernità, ma “passaggio” significa soprattutto sviluppo e progresso. Nel Medio Evo, ci sono stati progressi straordinari in tutti i campi, con i mulini a vento e ad acqua, la rotazione delle culture da biennale a triennale. Ma non c’è nessuna rottura fondamentale tra Medioevo e Rinascimento, tra il XIV e il XVII secolo…» e come la mettiamo che chi vuole affossare il medioevo?
Come mi ricorda un caro amico, durante la prima lezione universitaria di “Storia Medievale” all’Università di Siena, il prof. Piccinni affermò che «attribuire fatti o modi, in maniera completamente arbitraria, etichettandoli con epoche passate, è segno di irresponsabilità. Ogni volta che si parla di stupri o uccisioni, e a questi fatti si affianca l’aggettivo “medievale”, io vado in bestia, perché abdichiamo alle responsabilità del nostro presente. È una forma di ignoranza di approccio con il passato e il presente enorme. E poi ragazzi, scommetto che nessuno di loro sappia veramente cosa sia stato il Medioevo»
Ci sarà senz’altro qualche saccente che qui dirà «Ma nel medioevo c’erano i roghi, l’Inquisizione, gli strumenti di tortura …».
Wow!
Hanno scoperto l’acqua calda.
Nel medioevo quindi esisteva il male?
Ma quale secolo è stato “più barbaro”?
Il Medioevo coi suoi roghi, l’Inquisizione, Torquemada, gli strumenti di tortura o il periodo che ha visto concentrati in un solo secolo due guerre mondiali, la Shoah, il gulag e i khmer rossi?
È vero, nel Medioevo vissero condottieri spregiudicati e papi troppo poco spirituali, come Guglielmo il Conquistatore, papa Urbano II, Gengis Khan. Ma vi fu anche chi fece della conoscenza il suo scopo di vita. Personaggi come Leonardo Fibonacci, che rivoluzionò la matematica, Johannes Gutenberg, che inventò la stampa, il grande filosofo Francis Bacon, il medico, filosofo, matematico e fisico persiano Avicenna, Sant’Agostino, Carlo Martello, Averroè, san Francesco d’Assisi e santa Chiara, Giotto, Marco Polo, Dante, Giovanna d’Arco, Cristoforo Colombo vissero nei “secoli bui”.
Poi c’erano anche figure chiave dell’immaginario collettivo e popolare come King Arthur “Re Artù” e dei cavalieri della tavola rotonda, o mago Merlino, che ci consegnano uno stupendo affresco di un’epoca affascinante tutt’altro che “buia”.
Allora? Il Medioevo è un’epoca buia?
Studiate, gente, studiate!

sabato 23 marzo 2019

Non solo Greta! Izabella, un salmone svedese!


Non esiste solo Greta.
Inutile spiegare a chi mi riferisco. Non certo a Greta Garbo (…anch’essa svedese!). Ma quella ragazza che ha deciso di scioperare ogni venerdì per andare davanti al Riksdag, il parlamento nazionale svedese, con un cartello: “Skolstrejk för climate” ovvero “sciopero della scuola per il clima. È nata una stella.
Ma c’è anche un’altra ragazza che ha deciso di intraprendere una battaglia per portare avanti i suoi ideali: Izabella Nilsson-Jarvandi. Stessa nazionalità, stessa età, stesse trecce, stessa verve battagliera.
Anche lei, microfono alla mano, è andata davanti ai palazzi istituzionali svedesi a far valere le sue istanze. Ha tutti i requisiti per la fama mondiale ma…
Sì, c’è un “ma”: non ha scelto istanze demagogiche e politically correct necessarie per ipnotizzare i mass-media.

Izabella ha scelto battaglie contrarie al pensiero dominante, riservando parole durissime contro le migrazioni di massa e a favore delle politiche familiari (ha osato perfino solidarizzare con l’Ungheria di Viktor Orbán).
Izabella Nillson Jarvandi, più che occuparsi di cause internazionali, si è concentrata sul mettere in evidenza l’attuale situazione sociale svedese. 
Lo scorso 2 marzo, con un cinguettio, su Twitter, ha voluto mostrare la sua fermissima contrarietà all’indottrinamento della teoria “gender” nelle scuole svedesi secondo cui la fluidità sessuale dovrebbe essere sdoganata. Questa teoria che per Izabella «promuove il genocidio del popolo svedese». Ha citato un testo scolastico i cui protagonisti sono «una ragazza con un pene», «un ragazzo con una vagina» ed altri individui che sono al tempo stesso «un maschio e una femmina».

Nel suo profilo Twitter Izabella si descrive così: “Sono una giovane attivista politica contro il globalismo che cerca la verità e la giustizia per la mia amata Svezia”.
Capite bene che, essendo contro la politica immigrazionista e contraria ai gender,  i media hanno preferito incoronare come la nuova reginetta mondiale Greta Thunberg, e ricoprire con oblio mediatico Izabella Nilsson Jarvandi che resta, ai più, una sorta di Carneade jr. 
Anche il web, regno incontrastato della dittatura del politically correct, si è coalizzato. Su Greta troveremo centinaia di risultati su Google, su Izabella pochi accenni.
In modo un sarcastico e un po’ polemico in occasione del famoso sciopero planetario “FridayForFuture” ha voluto cinguettare così: «Se non sei nemmeno abbastanza uomo o donna per difendere la tua gente, allora come diavolo dovresti essere lì per il resto del mondo?».

Se per Greta la keyword  è “ambientalismo”, Izabella punta al patriottismo.
E quindi tutto questo fa sì che quasi nessuno si occupi di lei e delle idee che sta provando a far circolare nella sua amata Svezia.
È risaputo che i migliori salmoni – famosi per andare controcorrente – siano norvegesi, oggi abbiamo saputo che nella attigua Svezia, esiste una ragazza capace di andare controcorrente come i pregiatissimi salmoni norvegesi… 
Ed è questa caratteristica che –a parità di età, verve, trecce e nazionalità – mi fa scegliere Izabella come salvatrice del pianeta.

lunedì 18 marzo 2019

Greta ascolta zio Carlo (Rubbia)


Ebbene sì, la ragazzina svedese pilotata dalla politica e dai guru del marketing mi sta sulle scatole. Chi frequenta il mio account facebook l’ha capito.
Molti mi hanno apostrofato e sfidato con «quella ragazzina ha coinvolto folle di ragazzi in tutto il mondo ma tu …che fai?» come se scendere in piazza e organizzare cortei fosse un «fare?».

A prescindere dal fatto se Greta sia o meno pilotata dalla politica e dai altri abili strateghi del marketing non mi convince il fatto di vederla osannata ed elevata a leader mondiale della salvaguardia della nostra Terra proponendo addirittura la sua candidatura al Nobel per la Pace. Ci sarebbe da sorridere e pensare che qualche personaggio sia in vena di scherzi, ma poi penso che quel Nobel per la Pace l’hanno attribuito anche ad Al Gore e Barrack Obama e allora penso che sarebbe in ottima compagnia.
Un Nobel per aver marinato la scuola? Mah. A proposito di Nobel (un po’ più meritati!) mi collego ad un discorso tenuto dal premio Nobel per la fisica 1984 (nonché senatore a vita) prof. Carlo Rubbia di fronte alle commissioni riunite Affari esteri e Ambiente-territorio di Camera e Senato il 26 novembre 2014.

«Sono una persona che ha lavorato almeno un quarto di secolo sulla questione dell'energia nei vari aspetti – premise il prof. Rubbia – quindi, conosco le cose con grande chiarezza. (…) La prima osservazione è che il clima della Terra è sempre cambiato. Oggi noi pensiamo (in un certo senso, probabilmente, in maniera falsa) che se teniamo la CO2 sotto controllo, il clima della Terra resterà invariato. Questo non è assolutamente vero.
Durante l'ultimo milione di anni la Terra è stata dominata da periodi di glaciazione in cui la temperatura era di -10°C, tranne brevissimi periodi in cui c' è stata la temperatura vicina a quella attuale.
Negli ultimi 2.000 anni, continua il premio Nobel, la temperatura della Terra è cambiata profondamente: ai tempi dei Romani, Annibale attraversò le Alpi con gli elefanti per venire in Italia. Oggi non ci potrebbe farlo, perché la temperatura della Terra è inferiore a quella che dei tempi dei Romani: oggi gli elefanti non potrebbero attraversare quella zona dove sono passati. (…) I vichinghi hanno avuto degli enormi problemi di sopravvivenza a causa di una mini-glaciazione sviluppatasi con cambiamenti di temperatura sostanziali.
Negli ultimi 100 anni, ci sono stati dei cambiamenti climatici sostanziali, avvenuti ben prima dell'effetto antropogenico, dell'effetto serra e così via.
Negli anni ‘40 ci fu un cambiamento sostanziale, la popolazione della Terra era 3,7 volte inferiore a quella di oggi.
Nella mia vita – continua il prof. Rubbia – il consumo energetico primario è aumentato 11 volte ed il comportamento del pianeta, ha avuto effetti molto strani e contraddittori.
Dal 2000 al 2014 la temperatura della Terra non è aumentata. Anzi è diminuita di 0.2°C e non abbiamo osservato negli ultimi 15 anni alcun cambiamento climatico di una certa dimensione.
Questo è un fatto di cui tutti voi dovete rendervi conto, perché non siamo di fronte ad un'esplosione della temperatura.
Io guardo i fatti. Il fatto è che la temperatura media della Terra, negli ultimi 15 anni, non è aumentata ma diminuita. La temperatura è montata fino al 2000: da quel momento siamo rimasti costanti, anzi siamo scesi di 0,2 gradi»
Infine il prof. Carlo Rubbia conclude la sua disamina tecnica con una piccola riflessione: «Il mio parere personale è che si può portare avanti il programma attraverso l'innovazione tecnologica e lo sviluppo di idee nuove come evitare le “CO2 emissions” utilizzando il gas naturale senza emissioni di CO2».
Aggiunge poi amaramente «Stiamo facendo degli esperimenti che dimostrano che effettivamente la cosa si può fare. Perché nessuno se ne occupa ancora? Mi piacerebbe saperlo»

Ecco dunque il punto: encomiabile aver fatto svegliare le coscienze di tanti giovani, ma ora kära vän (…tranquilli, non è un’offesa vuol dire “cara amica”!) Greta, è venuto il momento di dire ai tuoi amici di corteo di seguire le direttive degli scienziati esperti come il prof. Rubbia.


mercoledì 13 marzo 2019

Sutor ne ultra crepidam!




Bei tempi quando le ragazzine di 15 anni si dedicavano ai primi amorazzi, alle tendenze della moda...
Ora sognano di fare le influencer o chi come Greta Thunberg, manifesta davanti al Riksdag, il Parlamento di Stoccolma con un cartello in mano «Skolstrejk för klimatet», ovvero "sciopero scolastico per il clima" per chiedere un impegno maggiore sul clima e ambiente. In poco tempo è diventata un simbolo globale, citata addirittura anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 
«Noi abbiamo fatto i nostri compiti a casa e i politici no» è il suo grido di battaglia e ha dato il via all'idea di un corteo di studenti "Fridays for Future". 
Andreas Henriksson, giornalista d'inchiesta connazionale di Greta, dopo aver scavato un po' dietro questa storia appassionante, ci rivela - però - che lo sciopero scolastico fa parte di un'avvincente (e ben studiata!) strategia di comunicazione per lanciare il nuovo libro della cantante Malena Ernman «Scenes from the Heart». Ovvero la madre di Greta, carramba che sorpresa! 
Il "deus ex machina" è un grande esperto di marketing e pubblicità, Ingmar Rentzhog, che ha pensato di sfruttare l'immagine della ragazza per lanciare la sua start-up "We Do Not Have Time". 
Una 15enne per testimonial è smart. 
Il 24 novembre scorso Rentzhog, nomina Greta nel board della sua start-up e tre giorni dopo lancia una campagna di crowfunding (raccolta fondi) per 30milioni di corone svedesi (cioè 2,8 milioni di euro). 
Ecco chi è la tenera e innocente ragazzina con le trecce che invece di fare sciopero per i bagni che non funzionano o i termosifoni non sono accesi o per l’aula di informatica senza il wi-fi con la banda larga (si sa che in Svezia sono efficienti!) preferisce scioperare per il clima. 
Anche il quotidiano svedese "Svenska Dagbladet" accusa la start-up di aver sfruttato la ragazza per i propri tornaconti personali. 
E i genitori di Greta negano che ci sia un secondo fine e tutto sia studiato, ma... non smentiscono i rapporti con Rentzhog e il suo entourage. 
Bei tempi quando le ragazzine facevano le ragazzine e l'ambiente era affidato agli scienziati esperti!  
Si vuole ricadere nell’errore dell’8novembre 1987, quando l’88% degli Italiani disse NO al referendum sulle centrali nucleari ipnotizzati dalle eco-cassandre togliendo di fatto al nostro paese un primato tecnologico. 
Si affidò un quesito strettamente tecnico al corpo elettorale invece di affidarsi a scienziati esperti del settore… 
Io non mi stupisco visto che ancora adesso si bloccano le grandi opere per puro sfizio ideologico. 
Se milioni di anni fa davanti alla scoperta del fuoco, avessero fatto un’analisi costi/benefici dove i “costi” furono rappresentati dalle vite umane di coloro che si avvicinarono troppo, beh in quel caso non avrebbero scoperto il fuoco.
Sia ben chiaro, che la nostra Terra sia un malato gravissimo non si discute, ma davanti ad un malato terminale chiunque di noi, si rivolgerebbe ad un’equipe di grandi luminari della scienza non certo ad una ragazzina. 
Neppure io ho competenze nel settore energetico e ambientale, ma da quando elaborai la mia tesi di laurea in “Normative europee in tema ambientale” smontando il protocollo “farlocco” di Kyoto, mi sono appassionato al tema, ho letto molti testi del prof. Tullio Regge, prof. Antonino Zichichi. 
In particolare il dott. James F. Lovelock, famoso biologo del movimento filoambientalista Greenpeace che si convertì al nucleare e affermò «solo l’energia nucleare può salvare il mondo dal surriscaldamento». 
Ora pendiamo dalle labbra di Greta ma tempo fa non furono ascoltati voci eccellenti della comunità scientifica del calibro di Umberto Veronesi, Umberto Tirelli, Tullio Regge e Franco Battaglia, quando affermarono che solo un sognatore può pensare di  risolvere il problema dell’energia del futuro con le paroline magiche «biocarburanti», «eolico», «fotovoltaico».
"Molti miliardi per nulla” fu il titolo di un articolo di un quotidiano tedesco “Die Zeit”, riportando la notizia di uno studio del Rhineland-Westphalia Institute for Economic Research di Essen: «Le installazioni di nuovi moduli fotovoltaici nel solo anno 2009 sono costati ai consumatori oltre 10 miliardi di euro. E questo per immettere sulla rete elettrica all'incirca lo 0.3% della domanda nazionale, praticamente nulla».
Non fu ascoltato neppure Friedrich Schmidt-Bleek –fondatore del “Wuppertal Institute für Umwelt, Energie und Klima” che nel libro “Bugie Verdi. Nulla per l’ambiente, tutto per il commercio – come la politica e economia mandano in rovina il mondo”spiega appunto come ci hanno preso per il naso finora gli ambientalisti: a partire dalla critica alle politiche ambientali del governo tedesco concentrate esclusivamente su efficienza energetica e lotta alle emissioni di CO2, e cieche di fronte alla causa precipua del “degrado ambientale come il consumo eccessivo di risorse naturali che la nostra economia richiede…
Prendiamo l’auto elettrica e quella a motore ibrido: il consumo di carburante incide solo per il 15-20%. Concentrandoci solo sulle emissioni nocive di CO2 ci si dimentica del restante 80%, responsabile dei maggiori danni all’ambiente.  
Schmidt –Bleek afferma a ragione che Il prezzo per l’ambiente dell’auto elettrica è notevolmente più elevato di quello delle vetture che vanno a benzina e diesel perché la sua produzione richiede materiali rari come rame e litio, che portano sulle proprie spalle, uno “zaino ecologico” molto pesante. L’estrazione massiva di litio dai laghi salati di Cina e Sudamerica sconvolge inoltre l’equilibro di quegli ecosistemi, con effetti sistemici imprevedibili…
Un’altra punta di diamante è Bjørn Lombørg, professore di statistica presso l’università di Aarus in Danimarca, nonché (ex) ambientalista militante (duro e puro!) di Greenpeace, quindi un vero ambientalista D.O.C.
Bjørn Lombørg nel suo “The Skeptical environmentalist” (L’ambientalista scettico) edito in Italia per i tipi della Mondadori, dopo aver raccolto una quantità impressionante di dati, accusò scienziati ed organizzazioni ambientaliste di esagerare e creare falsi allarmi: “l'aumento di popolazione, ad esempio, non pone problemi; l'acqua potabile è abbondante; la deforestazione e l'estinzione delle specie sono sovrastimate; la lotta all'inquinamento è stata vinta; infine, invece di combattere una costosissima battaglia contro il riscaldamento globale, di cui non ci sono prove, è meglio spendere quei soldi per costruire ospedali e quant'altro.”
Conclusione: molto rumore per nulla.
Ovviamente questo libro in Italia non è diventato il “best seller” che meritava, non era filo ambientalista, nonostante snocciolasse pagine di dati che confortavano la tesi di Lombørg. È meglio far stagnare il clima cupo di terrorismo psicologico e farci credere di essere seduti su una bomba ad orologeria (il nostro caro pianeta Terra).
L’analisi spietata e scientifica di Lombørg aveva il potere di mettere a spalle al muro quel “fondamentalismo verde” togliendo il “giocattolino dalle mani” alle varie associazioni ambientaliste che – sotto l’egida delle buone intenzioni – mentono sapendo di mentire, paventando tragedie e apocalissi alla firma del protocollo di Kyoto.
I dati che ci offre il professore danese, confermati dalla più che autorevole F.A.O., ci dimostrano che l’estensione delle foreste è in lieve ma costante aumento mentre il tasso di deforestazione rallenta. Niente panico poi sul versante demografico: la popolazione non aumenta in modo esponenziale; le risorse naturali non stanno per esaurirsi (abbiamo petrolio fino al 2200! Nel frattempo la scienza troverà una nuova fonte energetica).
L’affondo vincente di Lombørg riguarda lo stoccaggio dei rifiuti solidi urbani, sfatando il tabù politically correct del riciclaggio, completamente privo di senso – ecologicamente ed economicamente – parlando. Per stoccare l’intera produzione di rifiuti degli Stati Uniti di 50 anni, basta infatti una discarica di 28km2!! Questo bastava ed avanzava per mandare in soffitta il protocollo di Kyoto che prevedeva di ristabilire le emissione di CO2 ai livelli del 1990, come infatti i dati attuali dimostrano.
Ad esempio: se avessimo subito applicato tale protocollo, nel 2010 avremo avuto una diminuzione della temperatura di circa 0,15°C, e il livello dei mari sarebbe calato di meno di 2cm. rispetto a quanto sarebbe accaduto senza l’entrata in vigore di tale amatissimo protocollo…
Pertanto il prof. Bjørn Lombørg si domandava: “Ne vale la pena?
Ora vi chiedo solo un’ultima cosa: vi fidate di più di un professore di statistica presso l’università di Aarus in Danimarca o di una ragazzina svedese che protesta in piazza col suggeritore come avveniva 30 anni fa con Ambra in «NON È LA RAI»?
Ricordiamoci sempre della saggezza latina: "Sutor, ne ultra crepidam" ovvero "Calzolaio, non andare oltre la suola"...

domenica 3 marzo 2019

Be free, be yourself


C’è chi pensa che viviamo in una sorta di dittatura, intendendo per “dittatura” alcune normative che i governi di questo o di quel colore ci impongono.
A ben pensarci, è innegabilmente vero che  viviamo in una dittatura. Ma la politica non c’entra molto.
Se ci soffermiamo a ragionarci su, effettivamente viviamo da qualche decennio in una tra le peggiori dittatura: l’egemonia imperante del “politically correct” i cui effetti sono più subdoli e più devastanti di una dittatura intesa come forma di governo.
È un “cavallo di Troia” contenente pericolosissimi virus capaci di annientare la propria libertà di pensiero, ne più o ne meno come un virus troyan è capace di azzerare la memoria del vostro computer. Migliaia di dati persi e scomparsi nel nulla.
Diogene Laerzio, interrogato su quale fosse la cosa più bella tra gli uomini, disse: «La libertà di pensiero».

Pensateci bene quanta saggezza racchiusa in tre paroline (più l’articolo): già di per se la “libertà” è in assoluto l’elemento essenziale per una persona, ma la libertà di pensiero è ciò che lo distingue da chiunque altro. Meglio di un’impronta digitale e del codice genetico del DNA.
Infatti, ad esempio, prendete due gemelli. Il loro codice genetico sarà quasi sovrapponibile alla perfezione. Ma la libertà di pensiero è l’unica cosa che potrà dividerli. Ci sarà un dettaglio che li distingue: forse uno sarà vegano e l’altro no; uno sarà eccellente negli studi umanistici, l’altro in quelli scientifici (o forse sarà un lavativo!).
La libertà di pensiero è ciò che ci rende speciali e unici.
Ma oggigiorno, dire ciò che la società vuole sentirsi dire, ti permette di avere una sorta di “passpartout” che apre tutte le porte che ti permette di vivere bene.
Ma attenzione, ubi commoda, ibi est incommoda, questo è un patto pericoloso e subdolo perché pretende che tu abiuri completamente le tue idee. 
Tutto questo è facilissimo per chi, le idee, non le ha.
Eccoci quindi ad un bivio, un dilemma amletico: essere sé stessi o far parte della società?
Tertium non datur! È un bivio, non una rotonda.
La «political correctness» è un’ideologia diabolica e devastante, intrisa fino al midollo dell’ipocrisia più becera e ruffiana, che ci impone di seguire un percorso obbligato dettato dal mainstream. 
Ecco un’altra parola-chiave, molto più efficace del famoso “APRITI SESAMO!”.  Nella fiaba di «Alì Babà e i quaranta ladroni» serve per aprire l'ingresso di una caverna dove quaranta banditi hanno nascosto un tesoro.

Il mainstream serve per aprire tutte le porte delle convenzioni sociali.
È come un setaccio per la farina che fa passare chi si adatta e si uniforma alle convenzioni. Ciò che resta nel setaccio, è la crusca, che sebbene ultimamente le vengono riconosciuti importanti ed efficaci effetti per il benessere dell’organismo, viene considerata un materiale di scarto e viene gettata via.
Il mainstream e il politically correct sono due setacci, sono ceppi di una catena strettissima che ci costringe ad uniformarti, adeguarti, comportarti come un cyborg che è stato resettato dai dati contenuti, formattato e pre-programmato.
Un'etichetta, un codice a barre che ci viene attribuito e marchiato a fuoco sulla nostra pelle...
Allo stesso modo, oggigiorno, preferiamo resettare la nostra libertà di esprimere – senza filtri – il nostro pensiero, pur di essere accettati dal consesso sociale, sottovalutando che questa è la nostra vera schiavitù, la nostra schiavitù più devastante perché ci sta privando di pensare liberamente.
Ecco dunque la vera dittatura che ci opprime: quella del politicamente corretto.
Oscar Wilde nella sua opera più intimistica, «De Profundis», ci lasciò detto – molto amaramente – che “la maggior parte delle persone sono solo la copia esatta di altre e i loro pensieri sono solo i pensieri di qualcun altro”.
Che posso dire, concludendo questo mio sfogo? Ri-impossessatevi dei vostri pensieri anche quando non collimano con quelli della maggioranza. 
#BeYourself #BeFree


domenica 27 gennaio 2019

La moglie ubriaca, il fuoco e le grandi opere

Circa 500.000 anni fa in seguito ad un violento temporale un albero fu colpito da un fulmine e si svilupparono fiamme altissime che attirarono l'attenzione degli ominidi presenti in quel villaggio! Oppure, forse, fu a causa di una colata di lava incandescente fuoriuscita dal cratere di un vulcano.
Fu così, forse, che l’«homo erectus» scoprì il fuoco.
Molti uomini -avvicinandosi a questa nuova e sconosciuta “cosa”- perirono e arsero vivi.
Poi -però- c’è chi si avvicinò con cautela lo osservò e fu anche capace di mantenerlo vivo e riprodurlo.
Grazie alla sua intraprendenza l’uso del fuoco è stato fondamentale per lo sviluppo della civiltà umana.
Con il fuoco ci si riparava dal freddo e ci si difendeva dagli animali, si illuminava il buio della notte, ci si riscaldava, si scoprì la cottura delle carni e dei vegetali potenziando l’assimilazione delle sostanze nutritive dei cibi da parte dell'uomo, (e intorno alla fiamma gli uomini rafforzavano i loro rapporti, ponendo le basi delle prime comunità!). In una parola rese migliore la qualità della vita.
Ma quanto tempo passò dal quel primo rogo umano alla scoperta dell'utilizzazione del fuoco? Senza l’intraprendenza (e l’ostinazione!) di qualche uomo che intuì l’utilità del fuoco, ancora adesso saremmo all'epoca della pietra. 
Ed ho capito così che i nostri avi di 500000 anni fa, nella loro totale ignoranza e incultura, erano decisamente più saggi di noi. 
Non si lasciarono spaventare dalle fiamme di un incendio. Capirono l’importanza del fuoco che, come tante altre cose, può avere un aspetto negativo.
Non certo come quando, 30 anni orsono,  l’8novembre 1987, l’88% degli Italiani disse NO al referendum sulle centrali nucleari, ipnotizzati dalle eco-cassandre, togliendo di fatto al nostro paese un primato tecnologico. 
Tra 2/3000 anni negli e-book di storia i ragazzi del LI secolo leggeranno che gli uomini del XXI secolo per ignoranza e paura non riuscirono a cogliere l’utilità dell’energia nucleare spaventati da alcuni incidenti di percorso dovuti non all’energia nucleare in sé ma ad eventi esterni quali terremoti e tzunami.

Avere la botte piena e la moglie ubriaca è sempre stato il sogno dell’umanità fin dall'alba dei tempi!
Pretendiamo le "4tacche sul cellulare" in ogni punto della città ma affacciandoci alla finestra non vogliamo vedere un'antenna nel raggio di 10km;
In Italia produciamo 540kg. pro-capite di rifiuti solidi urbani, ma c'è sempre qualcuno che sbraita se nel proprio comune sta per sorgere un impianto di smaltimento.
Siamo vittime della cosiddetta sindrome del "N.I.M.Y." ( not in my yard)...
Vorremmo sempre avere tutti i privilegi e le comodità senza rinunciare a niente... (eppure già i Latini ci avvisavano che «VBI COMMODA, IBI EST INCOMMODA!»).
Un esempio: l’Inghilterra fu il primo paese «elettrificato» al mondo, e, per “promozione” venne offerto a tutte le famiglie un'impianto di luce gratis e un anno senza bollette. 
Bene, più della metà di esse respinse l'offerta per paura della novità.

Questa notizia ci farà senz’altro sorridere, esattamente come tra 200 anni rideranno dei risultati del referendum sul nucleare, in Italia, pilotati sull’onda emotiva di Chernobyl ...

Oggi come nel 1987 c’è chi si lascia traviare e imbambolare da falsi profeti che -illustrando dati  su ipotetici e fantasiosi studi per il rapporto costi/benefici- vorrebbero bloccare il progetti di “Alta Velocità” tagliando quindi a metà una via essenziale per i trasposti che unirebbe più facilmente l'Europa dal Portogallo alla Russia.

Forse troppo tardi gli Italiani si sveglieranno e capiranno che quei "demonizzatori" dell'energia nucleare e delle “grandi opere” sono da ascrivere –di diritto– tra i peggiori nemici del progresso industriale e  della nostra prosperità.
George Bernard Shaw ci lasciò detto che «Il progresso dipende dagli uomini irragionevoli» come quelli intraprendenti che si avvicinarono -500000 anni fa- a quella strana cosa pericolosa che è il fuoco.