martedì 16 aprile 2024

Le case green e la saggezza del kintsugi!

 


L’Europa si ostina a imporci di avere una casa a emissioni zero entro il 2050. E ciò significa per ogni italiano una spesa che oscilla tra i 35mila e i 60mila euro!
Chi se ne frega se ancora ci vive benissimo: devi fare il cappotto, devi cambiare termosifoni, devi rifare gli infissi, devi mettere le pompe di calore… anzi no, devi sostituirle.
E nel caso poi decidesse di non obbedire, c’è sempre un ricatto sotto forma di una bella tassa per la classe energetica non adeguata e l’accusa di essere i veri colpevoli dello stato di salute del nostro pianeta.
Zitto e paga (o per nuovi acquisti o per le imposte ma devi pagare!).
«Lo devi fare per la salute del pianeta» ci dicono. Ovvero come quando alcuni genitori dicono ai figli «lo faccio per il tuo bene».
La nostra società occidentale tende maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza e della perfezione. E come diretto corollario il consumismo compulsivo ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto ed integro dal piatto sbeccato, dal pullover smagliato, del paio di scarpe da risuolare (salvo poi acquistare jeans o T-shirt già strappati!). O più semplicemente qualcosa di cui ti sei stufato: quando non li usi più, li getti via!
Poi arriva anche il metodo ancora più subdolo dell’“obsolescenza programmata” ovvero quella strategia commerciale decisamente scorretta e disonesta, per accorciare “artificialmente” il ciclo di vita naturale dei rispettivi prodotti, mantenendo alta la domanda e, di conseguenza, gli acquisti di nuovi modelli.
Fino a qualche tempo fa quando una lavatrice, una lavastoviglie, una aspirapolvere si ribellava e non funzionava più, si chiamava il tecnico e sostituiva il pezzo. Ora il tecnico, ci informa che non si può più aggiustare e, con una pacca sulla spalla, ci dice: «guardi… se lo acquista nuovo spenderà meno della sostituzione del pezzo!».
E le auto? Le normative ambientali europee ci obbligano a cambiare la nostra auto che abbiamo da dieci anni ma che ancora cammina perché su di essa grava la colpa dell’allargamento del buco dell’ozono. E chi se ne frega se – seppur con qualche scricchiolio – funziona ancora perfettamente!
 

C’è una splendida campagna di comunicazione della gloriosa penna BIC dove c’erano tre penne sempre uguali negli anni dal 1955 in poi. Il payoff era chiaro: «non provare a cambiare qualcosa finché non smette di funzionare».
 




In Francia da qualche anno è stato introdotto «bonus réparation» che potremmo tradurre con «bonus rammendo». È l'ultima iniziativa messa in campo dal ministro francese per l'Ecologia Bérangère Couillard per contrastare gli sprechi e consiste in un contributo che può variare dai 6 ai 25 euro presso alcuni laboratori di sartoria o calzoleria convenzionati per riparare quella giacca che avevamo lasciato nell’armadio da anni per rifocillare le tarme e i pesciolini d’argento (ovvero Lepisma saccharina) o un giubbotto o un paio di scarpe.
E cosa c'è di più romantico (e soprattutto sostenibile) del ridare vita ai propri abiti? Oltre evitare gli sprechi si sosterrebbero anche le piccole botteghe sartoriali. È la migliore risposta alla nuova tendenza del “usa e dai via” creata da tante app che conosciamo bene.
 

Dovremmo prendere esempio dall’antica cultura del Giappone del “kintsugi”. Quando i pezzi di ceramica di un certo valore si screpolano o si rompono invece di cercare di nascondere le “imperfezioni”, le riempiono con una lacca dorata in contrasto. Il difetto non solo non viene camuffato e nascosto ma addirittura evidenziato come espressione della lunga storia unica dell’oggetto che perdura, sebbene non integro, segno della sua bellezza imperfetta. Per me tutto questo è straordinario!
 
Io penso che una società che avesse davvero a cuore i propri componenti, elaborerebbe premi incentivanti con forti agevolazioni per coloro che mantengono un’auto per almeno 15 anni, coloro che aggiustano il tetto soltanto quando appaiono le prime crepe o c’è un’infiltrazione, quando non cambiano il termosifone finché si sta al calduccio. Perché quelle persone stanno dimostrando di saper gestire i propri denari!!
 
E ciò che è ancora più triste e questa tendenza si applica anche per le persone. Anziché trovare un compromesso ci si lascia ancor prima della crisi del settimo anno. E non parliamo poi dei genitori che ci hanno dato la vita: quando non sono più efficienti, c’è un RSA ad accoglierle.
Era il 1991 quando il grandissimo Renato Zero sul palcoscenico di Sanremo cantò “Spalle al muro” e gridava «Vecchio! Diranno che sei vecchio! Con tutta quella forza che c’è in te […] Vecchio sì, quando non è finita, hai ancora tanta vita e tu lo sai che c’è! Con quello che hai da dire, non vali quattro lire, dovresti già morire…». Le parole erano di Mariella Nava ma la sua interpretazione era davvero toccante.
Almeno per chi – per citare ancora Zero - «frugando nella sua giacca scopre che dietro il portafogli ancora un cuore c’è». Vabbè.
E io non posso non ricordare che anche in questi casi, la nemesi è là dietro, in agguato, paziente. Perché la nemesi non ha fretta. Attende calma e mite. Ma al momento giusto arriverà. E quando arriverà è troppo tardi per porvi rimedio e trovare una soluzione

lunedì 15 aprile 2024

13 aprile 2013


Quel 13 aprile 2013 era un sabato come quest’anno.
Era un normalissimo sabato come tanti sabato prodromici al dì di festa.
Mi alzai e iniziai a prepararmi il mio solito cappuccino e il croissant per fare la colazione. Predisposi tutto sulla tovaglietta all’americana, mi accomodai a tavola e, tra uno sbadiglio e l’altro, iniziai a sorseggiare il cappuccino. Immediatamente notai che dal lato sinistro della bocca mi era colato addosso sulla T-shirt il latte che avevo appena iniziato a bere.
«Mmmh! Sono ancora mezzo addormentato» mi dissi. Bevvi ancora un altro sorso di latte e notai che mi colava ancora il latte dalla bocca.
Andai davanti ad uno specchio e ammutolii sbigottito: la parte sinistra del mio viso era come di plastica, piallata, completamente inespressiva. Non potevo inarcare le sopracciglia. O meglio riuscivo ad incarcare normalmente il sopracciglio destro ma quello sinistro restava completamente immobile. Come se fosse in un’altra faccia! Non riuscivo a chiudere completamente l’occhio sinistro che restava sbarrato (ho imparato poi che in termini medici si chiama “lagoftalmo”).
Contattai immediatamente il dott. Tonino Demurtas, un eccellente neurologo che già conoscevo in qualità di marito di una cara amica. Mi ricevette tempestivamente nel suo studio e fece immediatamente la diagnosi: «PARALISI FACCIALE IDIOPATICA UNILATERALE DEL VII NERVO CRANICO» meglio conosciuta come “PARESI DI BELL”. Ma di “Bell” non c’era proprio nulla!
È una forma di paralisi facciale unilaterale che provoca l'incapacità di controllare i muscoli del viso dal lato colpito, nel mio caso il sinistro (…questo evento mi diede l’ennesima conferma che le sciagure spesso provengano dalla sinistra)!
Lo specialista mi spiegò è identificata come “idiopatica”, termine medico usato per designare quei processi patologici che si instaurano senza un’evidente causa nota o dimostrabile. Ovvero è accaduta per caso. Senza motivo! Caddi nel panico più assoluto. Era difficile fare anche cose più banali che facciamo quotidianamente come mangiare o bere in quanto impossibilitato a controllare i movimenti delle labbra e della lingua.
Nella parte sinistra del viso era scomparso qualsiasi segno di espressione.
Poiché sono stato sempre curioso, iniziai a informarmi su questo malanno che mi era successo e venni a sapere che il settimo nervo cranico controlla una serie di funzioni, come l'apertura e la chiusura degli occhi, il sorridere, l'accigliarsi, la lacrimazione, la salivazione, l'innalzamento delle sopracciglia e l'alitamento delle narici (il movimento laterale di apertura e chiusura).
Non solo: coinvolge anche i muscoli stapedi (muscoli stabilizzatori dei movimenti della staffa) nell'orecchio medio che veicolano le sensazioni del gusto provenienti dai due terzi anteriori della lingua. Senza contare che il famigerato VII nervo cranico controlla anche i movimenti della lingua e quindi avevo difficoltà ad emettere alcuni fonemi come ad esempio le parole contenenti la lettera “P” o la “F” che richiedono una padronanza del movimento delle labbra.
La fronte era priva di rughe d’espressione! Era come se mi fossi “fatto il botox” ma solo nella parte sinistra del viso.
Ho avuto però la grande fortuna di poter contare su alcuni cari amici medici specialisti!
Oltre il dott. Demurtas, ricordo la dott.ssa Laura De Luca, specializzata in otorinolaringoiatria, che mi consigliò di sottopormi subito ad una visita specialistica poiché – come in realtà era accaduto – questo tipo di paresi poteva causare qualche problema di ipoacusia ovvero un abbassamento della percezione sensoriale dell’udito.
E poi la dott.ssa Adele Pes, eccellente medico oculista, nonché una mia carissima amica, che mi suggerì di proteggere l’occhio sinistro che – restando spalancato – era esposto ad eventuali contatti con corpi esterni. Scoprii che l'incompleta chiusura della rima palpebrale lasciava parte della cornea e della congiuntiva scoperte e quindi esposte all'azione degli agenti esterni. Ciò poteva favorire varie conseguenze, quali congiuntivite, cheratite ed abrasioni corneali.
Occorreva proteggere l’occhio anche dal rischio di una eccessiva secchezza che avrebbe potuto danneggiare la cornea in modo permanente. Infatti anche il riflesso involontario del battito delle ciglia risente di tale paresi e bisognava fare attenzione quindi a proteggere l'occhio da un eventuale infortunio.
Nonostante questo problema che sconvolse le mie giornate, non mi scoraggiai! A quel tempo curavo una rassegna stampa online per una associazione nazionale, e continuai a fare quel lavoro sebbene con un occhio bendato per motivi di igiene oculare fosse tutto molto più problematico! The life must go on!
Il problema era la notte. L’occhio restava socchiuso e poteva essere esposto a frizioni con la federa del cuscino e movimenti involontari della mano durante il sonno.
Ma se da un lato avevo trovato qualche amico disponibile e sensibile, c’è stato anche qualcuno che ha manifestato tutta la sua evidente e superficiale insensibilità. Ricordo che proprio la sera di quel 13.04.13 – come spesso facevo il sabato – andai alla Santa Messa con mia madre. Al termine del rito mi avvicinai al frate che aveva appena celebrato, sperando di trovare una qualche parola di conforto per ciò che mi era successo. Quel frate – che mi conosceva abbastanza bene – mi squadrò in viso e dopo mi disse «e che è quel mezzo sorriso storto e sghembo che hai!». Io raggelai. Non seppi cosa rispondere! Un caro amico che era di fianco a me gli spiegò ciò che avevo avuto. La risposta del frate fu un semplice «Hmm!!».
La ripresa dai postumi di tale paresi non fu affatto semplice. Il mio neurologo – per non creare allarmismo – non volle esprimersi sull’eventualità di poter riacquistare totalmente la padronanza dei movimenti facciali. Tanto meno indicare un periodo necessario per riacquistare pienamente tali facoltà.
Nell’85% dei casi si notano i primi segni di ripresa entro tre settimane dall'esordio. Ma non fu il mio caso. Passò qualche mese e il neurologo considerando che era arrivata la bella stagione, mi consigliò di andare a rilassarmi nella mia casa al mare a Stintino dove – complice il relax, il mare e un po’ di serenità – iniziai pian piano a riuscire a muovere la bocca, inarcare le sopracciglia, corrugare la fronte.
Ma c’è un però! Durante la rigenerazione i nervi sono in grado – in genere – di tracciare il percorso originale verso il corretto territorio interessato, ma alcuni nervi possono deviare dal corretto percorso preesistente, portando a una condizione nota come “sincinesia”. Ad esempio, la ricrescita dei nervi che controllano i muscoli collegati all'occhio potrebbe fare una deviazione e ricollegarsi alle connessioni che raggiungono i muscoli della bocca. In questo modo, il movimento di un distretto influenza anche l'altro. Ecco che, per esempio, quando si chiude l'occhio, l'angolo della bocca si può muovere involontariamente verso l'alto. Capita quindi che sorridendo davanti a qualcuno, si possa avere l’impressione che gli stia facendo l’occhiolino.
Capite bene che tutto ciò può creare spesso dei qui-pro-quo un po’ imbarazzanti. E non parliamo della «sindrome di Bogorad» detta “sindrome delle lacrime di coccodrillo”: in pratica a causa di una difettosa rigenerazione del nervo facciale, il ramo che controlla le ghiandole lacrimali e salivari si intercambiano le funzioni, quando si mangia si ha quindi il riflesso della lacrimazione oltre a quello della salivazione. Quindi se mentre mangio, notate che ho gli occhi lucidi, sappiate bene che non sono commosso per ciò che sto mangiando!
Mi è stato spiegato (ma solo dopo essermi ripreso!) di aver riacquistato circa il 70% della gestione dei movimenti facciali e che – tenuto conto del grado acuto della mia paresi facciale – devo anche considerarmi fortunato in quanto la percentuale di riacquisizione dei movimenti originari in una paresi grave (e la mia lo era!!) è decisamente bassa.
Ecco perché quel 13 aprile 2013 non potrò levarmelo più dalla mente. Evito poi di tirare in ballo la scaramanzia e la cabala ma la presenza di tutti quei “13” nella data non è certo molto esaltante. È vero che era un sabato 13 e non un venerdì, ma nella Cabala ebraica gli spiriti maligni sono tredici, questo numero si associa anche con il montone che Abramo sacrificò a Dio invece del figlio Isacco, ed è per estensione un numero di sciagura. Nel cristianesimo poi tredici erano i convitati all'Ultima Cena; pare che Gesù sia stato crocifisso un venerdì 13 e, infine, nel libro dell'Apocalisse, l'Anticristo appare nel tredicesimo capitolo. Ma io non sono superstizioso!
In Giappone e in Cina poi è il numero quattro a portare sfortuna, visto che la sua pronuncia originale è shi, un termine impiegato anche per indicare la catastrofe.
E – che combinazione! – il mese aprile è proprio il quarto mese!
Sommando 13+4 (giorno più mese) fa 17 e chiudiamo il cerchio! Ma io non sono superstizioso! Semmai tutto ciò mi conferma la veridicità della frase di Friedrich Nietzsche che era ed è sempre il mio motto: «ciò che non ti uccide, ti renderà più forte!».