giovedì 19 ottobre 2017

Hollywood ha scoperto l'acqua calda?

A Hollywood hanno scoperto l’acqua calda? 
Si sono svegliati e all’improvviso si sono ricordati che Harvey Weinstein, produttore cinematografico fondatore col fratello della casa di produzione Miramax, è un orco. 
Non mi stupisce la notizia in se. 
Purtroppo questo marciume è la norma in ambiti artistici come il cinema, la musica e la moda. 
«Do ut des». 
E ammettiamo che spesso accade anche –con le dovute proporzioni!– anche in un normalissimo ufficio… 
E sia ben chiaro che non lo sto giustificando. Tutt’altro… 

Mi stupisce e mi irrita invece il silenzio pluridecennale che viene adottato in questi casi, salvo poi gli “oooh” di stupore più falso di una “Monna lisa triste”. Pian pianino si sta scoprendo, infatti, che, nel mondo del cinema, tutti conoscevano bene i modi di fare di Weinstein fino a ieri applaudito e oggi definito «orco insaziabile uscito dalle favole dei fratelli Grimm», ma tutti hanno deciso di tacere per circa trenta anni. 
Tutti sapevano dei suoi comportamenti aggressivi ed arroganti ma era una gallina dalle uova d’oro: un film prodotto da lui aveva già un Golden Globe (e forse un Oscar!) in mano. 
Particolarmente interessante il silenzio sulla vicenda di una “pasionaria” dei diritti femminili come Meryl Streep (pronta a fare aspre intemerate al presidente Donald Trump additato come “sessista”). 
Sarà che lei deve a Weinstein buona parte del suo Oscar come miglior attrice per «The Iron Lady» film prodotto –incredibile dictu– da Weinstein. 
Nel 2012 durante la cerimonia dei Golden Globe l’aveva definito «un dio». 
Ora fa marcia indietro e parla di un «disgustoso ed imperdonabile abuso di potere». 
I 54 membri del «Academy of Motion Picture Arts and Sciences Award board» (la giuria del premio Oscar, per intenderci!) lo ha escluso dal comitato. Emmanuel Macron ha immediatamente avviato la procedura per annullare la “Légion d'honneur” attribuita al produttore nel 2012 dall’allora presidente Nicolas Sarkozy. 
Silenzio anche dalle parti di casa Clinton visto che “l’orco” è stato uno dei maggiori finanziatori di Hillary Clinton quando tentò di insediarsi alla Casa Bianca (nonché finanziatore delle spese legali del consorte Bill nell’affaire della «sala Orale» ...ehm volevo dire «Sala Ovale»)
Neanche loro sapevano questo “Pulcinella’s secret”?
Ma l’Oscar… per la coerenza va al regista Woody Allen che definisce “triste” l'intera vicenda. Proprio lui che ha sposato la figlia adottiva?

mercoledì 18 ottobre 2017

DE AMICITIA (...altro che "friendzone")

L’amicizia e l’amore sono importantissimi per la vita umana. E su questo non ci piove.
Cos’è l’amore? 
Cos’è l’amicizia? 
Bella domanda.
Per il sociologo Francesco Alberoni «nessuna forma di amore ha tanto rispetto della libertà dell’altro come l’amicizia».
Per George Gordon Byron «Friendship is love without his wings» (l’amicizia è l’amore senza le sue ali).
Secondo una definizione comune, l’amore rispetto all’amicizia, implica anche l’attrazione fisica verso l’altro, passione, tenerezza, desiderio di unione completa con l’altra persona, però... io son sempre restio alle schematizzazioni troppo nette tagliate con il machete.

Secondo un’altra definizione, l’amore implica la diversità sessuale mentre l’amicizia è in genere tra persone dello stesso sesso.

Ecco un altro luogo comune. 
Chi lo dice che tra un uomo e una donna non ci possa essere amicizia?
È difficile, ma possibile.
Io per primo ho avuto le prove che spesso ciò sia quasi impossibile. Quasi. Posso vantare tantissime amiche.

L’amico è qualcuno con cui confidarsi, che non giudica e con cui non ci si vergogna delle proprie insicurezze. 
L’intesa in amicizia può arrivare alla perfezione: bastano alcuni gesti d’intesa per capirsi.

Pochi colgono che in un rapporto di amicizia, non essendoci segreti, si possa affrontare qualsiasi argomento.
Infatti, quando ci si trova in preda a questioni di cuore (spezzati!), spesso ci si confida con il proprio amico o amica. 
È molto più raro che accada il contrario. Ecco perché l’amicizia è più forte dell’amore.

La fedeltà inoltre è una prerogativa dell’amore, ma è una fedeltà esclusiva.
L’amicizia si basa più che altro sulla fiducia reciproca ed incondizionata, ma non esclusiva.
Io posso anche avere 4 o 5 amici, fedelissimi, e tale pluralità di amici non inficia il sentimento.
In amore, no. 
In amore la fedeltà deve essere in esclusiva. Non posso avere 2 o più compagne. Almeno... apertamente!
Ecco, forse il solo elemento comune tra l’amore e l’amore è la reciprocità.

Mi sono lasciato abbandonare a questo genere di elucubrazione leggendo l’ennesimo post ironico sul tema FRIENDZONE sui social network dove si tende a declassare l’amicizia o peggio ancora a ironizzare come se fosse una capitis deminutio rispetto all’amore.
Sulla rete ci si può sbizzarrire a trovare decaloghi del tipo “come evitare la friend zone”, “come capire se sei stato friendzonato”, “cosa fare una volta che sei stato friendzonato” come se si sia perso di vista cosa significhi essere amici.
Quando gli uomini usano il termine friendzone, stanno esplicitamente cercando di accusare le donne per aver ferito i loro sentimenti. Dire di essere stati friendzonati è una velata accusa alle donne per aver esercitato il proprio diritto di dire no.

Secondo me quelli che pubblicano sui social-networks, frasi o immagini sulle varie occasioni in cui sono ritrovati/e «friendzoned» non hanno mai provato che cosa sia davvero l’amicizia.

L’amicizia è un sentimento sublime, che in modo ossimorico può essere profondo ed etereo. 
Nulla a che vedere con l’amore che –per sua natura– è invece terreno e materiale.
L’amicizia è il dono più prezioso che io possa dare ad una persona.
L’amicizia quella vera è senza limiti come l’amore. Ma è anche senza fini e senza scopi.

«Ma io della tua amicizia non so che farmene» mi sono sentito dire una volta da una cara amica che sperava che il sentimento iniziando per «am–» terminasse in «–re» anziché in «–zia».

Ed ho avuto immediatamente la sensazione di un’amputazione bilaterale degli arti superiori.
Un po’ come se inviti una persona in un ristorante pluristellato con un menù a base di ostriche, caviale, champagne e ti sentissi dire «andiamo in pizzeria: io ho fame!».
Ecco, l’amicizia è un menù raffinato, l’amore è un piatto ipercalorico da consumare velocemente.
Entrambi sono utili per l’alimentazione, ma il primo è molto più delicato.

Aristotele (che di saggezza se ne intendeva!) ci lasciò detto che «due amici non sono altro che una sola anima divisa in due corpi»… altro che friendzone

venerdì 6 ottobre 2017

Questione di etichetta

Ci sono trattati di psicologia comportamentale che vorrebbero insegnarci le regole e le consuetudini per uniformarci alla società e – in caso di trasgressione – la sanzione è rappresentata dall'estromissione dalla stessa società.
Il dilemma amletico è, quindi, essere sé stessi o far parte della società?
E pazienza se il simbolo universale della mitezza, il Dalai Lama, una volta affermò che «dobbiamo imparare bene le regole in modo da saperle infrangerle nel modo giusto».
Gli esperti ci mettono sull'avviso – ad esempio – di non incrociare mai le braccia e le gambe durante un colloquio di lavoro perché, secondo le regole di comportamento indicherebbe un segno di volere tenere le distanze e di chiusura, ma ad esempio – personalmente – a me incrociare le gambe mi rilassa.
Io incrocio le gambe al cinema (infatti cerco sempre la fila di metà corridoio!). 
Idem quando seduto a casa davanti alla TV, o sono seduto al ristorante, in situazioni quindi in cui sono calmissimo e rilassato. 
Io ad una conferenza, nel momento di maggior attenzione, per accentuare l’ascolto, incrocio le braccia.
Non sarà che le regole – come dice il Dalai Lama – occorre saperle infrangere?
Sempre sul tema delle regole un grande genio dell’arte come Pablo Picasso, ha lasciato il consiglio di «imparare le regole come un professionista, in modo da poterle rompere come un artista».
Tutto ruota sulla necessità di apporre un’etichetta.
Tutto deve essere etichettato.

Ma l’etichetta è come strettissima catena che ci costringe a comportarsi come tanti cyborg preprogrammati seguendo un novello pifferaio di Hamelin.
È (forse) proprio per questo motivo che ho sempre avuto un’allergia per l’adesione a gruppi politici, ideologici, religiosi pur accogliendone i loro principi generali. Accettarli globalmente mi crea una sensazione di asfissia. 
Io sono io, non un numero di tessera.

La celebre massima, attribuita ad Ulpiano, “Pacta sunt servanda” (nota a chiunque abbia studiato giurisprudenza) ci insegna come non ci si possa liberare unilateralmente dagli obblighi assunti per contratto.
Poi però 
Charles-Maurice principe di Talleyrand-Périgord, ci lasciò un consiglio. «l'eccesso di zelo provoca effetti peggiori della non applicazione della norma». 
A chi dare ascolto, dunque?
Una regola è da applicare in modo ferreo o va interpretata e plasmata rendendola applicabile al caso in questione?

Un esempio: il divieto di portare bottigliette a bordo dell’aeromobile e al controllo di sicurezza ci obbligano a gettarle via. 
E non c’è spazio di trattativa (l'ottusità regna e impera!)
Il divieto è ca-te-go-ri-co.
Ho visto anche bimbi in passeggino che frignavano obbligati a separarsi dalla loro bottiglietta di succo di frutta.
Ottusità o elasticità?

Prendiamo ad esempio un farmaco, non agisce allo stesso modo in tutti. 
Perché non siamo tutti uguali. 
Non siamo un esercito di cyborg (come le convenzioni vorrebbero indurci a essere). 

Ecco dunque l’esigenza delle etichette, di invisibili “codici a barre” per arrivare alla massificazione, alla standardizzazione umana.
Un po’ come le mele, le pere, le carote o i cetrioli per i quali i nostri legislatori a Bruxelles stabiliscono anche il diametro e la lunghezza per essere appunto catalogati ed etichettati.
Non ci si rende conto della forza dell’individuo.

Ayn Rand, scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa, ci ha lasciato scritto che «La più piccola minoranza al mondo è l'individuo. Chiunque neghi i diritti dell'individuo non può sostenere di essere un difensore delle minoranze». 
E nessuno parla dell’importanza del singolo individuo.

Passiamo al mondo dell'arte. 
Che ne sarebbe del genio di Vincent van Gogh se prendessimo come regola aurea la tecnica di pittura di Caravaggio?
Che fine farebbero Picasso, Klimt o Mondrian, a loro modo veri geni dell’arte.
O che ne sarebbe delle poesie ermetiche di Ungaretti se accettassimo come parametro lo stile di Giacomo Leopardi o Dante?

«Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido” disse il genio del '900 per eccellenza, Albert Einstein

giovedì 5 ottobre 2017

LIKE ERGO SUM

Tutti cercano affannosamente il plauso pubblico. E i social-networks ci hanno dato un potente ricostituente per il nostro ego. Il “like”. 
Post, foto, video, opinioni. L’obiettivo principale è solo quello di essere visto e apprezzato da tutti su un social. 
Like ergo sum. 
Non si pubblica un post per esprimere un parere su un fatto o una foto per il gusto di condividere un momento o un’esperienza della propria vita ma solo per ottenere i famosi “mi piace”. 
Guai dissentire! Se lo fai sei polemico e vieni scaraventato lontano (e attorno a te solo terra bruciata!)
Manca un confronto, serio, pacato ma schietto.
§§§
Leggo sul dizionario Treccani «confrónto s. m. [der. di confrontare]. – 1. L’atto, l’operazione, il fatto di confrontare, di essere confrontato: fare il c. di due oggetti; (…)». 
Si quindi presume che tale raffronto o paragone vada fatto tra cose differenti. E così anche per le opinioni. 
A che serve un confronto tra due posizioni identiche?
George Bernard Shaw disse «Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce le scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu hai un'idea, ed io ho un'idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee».
§§§
da PensieriParole <https://www.pensieriparole.it/aforismi/saggezza/frse-10703>
Mi ritorna in mente una favolosa gag teatrale del grandissimo attore Ettore Petrolini che è giunta fino a noi anche grazie al recupero ad alcuni artisti, come ad esempio Gigi Proiettiche hanno riportato sulle scene il suo repertorio,  reinterpretando molti dei suoi testi. 
Sul palcoscenico Petrolini era un vulcano di battute, doppi sensi, sfottò, parole storpiate e freddure, spesso inventate al momento in un rapporto molto diretto, a tu per tu, col pubblico che affollava i teatri. 
Uno dei suoi personaggi era Nerone che sta a casa sua e il popolo lo attacca ferocemente perché ha incendiato Roma. 
Allora lui va alla finestra e fa un discorso molto affabulante per calmare gli animi. 
Il popolo gli grida “bravo!” e Nerone risponde "grazie!"
Ed inizia così un geniale gioco vicendevole di  botta e risposta, di “bravooo-grazieeeee” che si ripete più volte creando un effetto comico esilarante.
§§§
E che altro è il “like” se non un’edizione (molto meno geniale!) di questo dialogo?
Pubblicano solo foto con lo sguardo giusto e restano delusi se non raggiungono il numero sperato di “like”.
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In questo vortice di autopromozione e ammirazione, secondo uno studio dell’Università di Firenze, si rischia di diventare dipendenti da Facebook e Twitter. I social networks, infatti, sono il terreno ideale per far proliferare il narcisismo.
Lo studio, condotto da Silvia Casale, Giulia Fioravanti e Laura Rugai e pubblicato sulla rivista “Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking”, ha preso in esame un campione di 535 studenti che hanno completato un questionario per valutare la relazione tra propensione al narcisismo e l’uso di Internet. Ne è emerso che i “narcisisti vulnerabili”, cioé quelli insicuri e con meno autostima, sono quelli più propensi a preferire le interazioni attraverso lo schermo piuttosto che faccia a faccia, e corrono il rischio di diventarne dipendenti.
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Poi ci sono i “narcisisti megalomani’ o grandiosi, invece, cioè che tendono all’esibizionismo e vanno apertamente a caccia di consensi. Dal punto di vista dell’utilizzo dei social network, inoltre, non sono state riscontrate differenze significative tra i narcisisti grandiosi e i non-narcisisti.
La macchina dei like sta influenzando notevolmente l’umore dei più giovani e si rischia di rimanerne vittime ed incastrati.
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Ammetto che adoro molto stare su facebook e ammetto anche di essere un po’ polemico e controcorrente. Non cerco like.
È un social network ovvero una rete sociale dove confrontarmi su alcuni argomenti. Io esprimo ciò che penso, poi ascolto le altre opinioni al riguardo senza però prevaricare. Non ho come obiettivo quello di avere ricevere “like” come una cartina tornasole dell’essere accettati, per poter pensare di essere “importanti”.
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Poi noto che basta un’opinione contraria, un “like” mancato, un “invece no”, un “se permetti, io penso che…” per scattare inesorabile il cartellino rosso, l’eliminazione. 
Bannato. Bloccato. Eliminato!
Non potendo eliminare fisicamente chi dissente e chi pensa in modo differente, i social networks offrono la possibilità di eliminarlo virtualmente per potersi beare tra i like, gli applausi, i “braaaavo/grazieeee”. 
Abbiamo perso il piacere del confronto. E quando non si è più in grado di accettare un’opinione diversa dalla nostra ci aspetta un destino crudele. 
Ma attenti, su facebook c’è il tasto “blocca” ma nella vita reale non c’è…