sabato 27 gennaio 2018

NON SOLO SHOAH!

Oggi, 27 gennaio, abbiamo festeggiato la giornata della memoria della Shoah, cioè lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei durante l’Olocausto.
Dopo più di 70 anni ancora è una ferita che gronda sangue.
Ma non esiste solo la Shoah!
Mi domando quando verrà istituita, ad esempio, una giornata in memoria dell’olocausto dei bambini sterminati con l’aborto. 
Tutto legale, sia chiaro, in base ad una legge dello stato, proprio come avveniva in Germania.
Tutto avveniva alla luce del sole in base ad una legge. Sei milioni di futuri uomini e donne (solo in Italia!) ai quali è stato impedito di esistere con una legge

Lo scopo –se osserviamo bene! – è esattamente lo stesso. 
C’era allora chi selezionava i bambini “non ariani” e ora c’è chi seleziona per convenienza perché «c’è un remoto pericolo che non nasca sano» o molto peggio «perché non me lo posso permettere». E c’è anche chi parla di un paese con natalità zero?
Quando ci sarà un Capo di Stato che in modo austero ricorderà durante una cerimonia pubblica che «l’aborto non portò nulla di buono!»
E quando verrà istituita una giornata in memoria dell’olocausto delle vittime dei partigiani dopo (e sottolineo dopo!) la fine della guerra nel famigerato triangolo rosso di Reggio Emilia? 
C’è olocausto e olocausto? 
Quando ci sarà un Capo di Stato che in modo austero ricorderà durante una cerimonia pubblica che «i partigiani non fecero nulla di buono!».
E non parlo delle centinaia di milioni di morti causati dai regimi comunisti (tutti storicamente appurati!).

E non tralasciamo chi vorrebbe sterminare persone malate in stato terminale facendolo passare per un gesto di pietà. 
Facciamo finta di non vederli perché “non ci tocca”
Proprio come 70 anni fa molti lo accettavano perché “tanto non siamo ebrei!”. 
Io non ne faccio un problema ideologico per fare una "gara a chi ne ammazzava di più" ma i morti sono morti sempre, gli stermini sono stermini sempre. 
Dobbiamo attendere altri anni prima di vedere giustamente ricordati anche questi abominevoli stermini?

domenica 14 gennaio 2018

SERIE TV O TV SERIE?

Quando uscite a cena con amici provate a mettere il cronometro per verificare dopo quanti minuti si inizia a parlare delle “serie tv”. 
Tutto ruota attorno ad esse. 
Puoi anche non farti il risvoltino, puoi anche non avere l’«iPhoneX» ma guai non sei abbonato a Netflix, non sei nessuno. 
Ti guarderanno con un’espressione da Farinata degli Uberti, tra il conato emetico imminente e sprezzo da prince George. 
Vi sentirete come se vi foste seduti in una tavolata di scienziati esperti nella teoria Wegeneriana della deriva dei continenti.
Ebbene sì, sappiatelo, è arrivato il momento di farVi un’imbarazzante confessione: io non sopporto le serie tv. 
Sia chiaro, ci ho provato. Non le sopporto. 
C’è chi ad esempio non sopporta i boxer? 
Bene, io non sopporto le serie tv. 

«Devi provare!!» risponderanno in coro mentre ti sentirai come la particella di sodio di un’acqua oligominerale
Per essere davvero “up-to-date” devi esserti sciroppato tutta la serie “The Crown”.
Inutile tentare di far notare di essere già un esperto di monarchie europee. 
Devi conoscere anche i dettagli di quella serie, se possibile anche versione “director's cut”. O ti sentirai escluso per tutta la serata da un entusiasmo così contagioso.
A questo punto come ho già rivelato, ci ho tentato.

Il percorso iniziatico fu su SkyAtlantic con “1992” la serie tv su Tangentopoli.
Ero davvero incuriosito da quella serie che, avrebbe dovuto ripercorrere in versione “docu-fiction”, fatti e avvenimenti che già conoscevo.
Ero quasi galvanizzato in attesa dell’esordio di questa serie tv. Mi ero informato sugli attori e su chi rappresentavano sulla scena, sui personaggi reali e su quelli inventati.
Emozione e adrenalina erano un cocktail per le mie vene.
Poi giunge l’assuefazione. Un po’ come accade per alcuni farmaci e per le emozioni. E devi aumentare le dosi per aver la stessa sensazione. Non ti basta un episodio.
Le serie tv sono come la droga: provocano dipendenza.

Nonostante la storia raccontata fosse già nota, capii subito, dopo qualche episodio, che  la soglia d’attenzione -inevitabilmente- calava drasticamente molto prima dei titoli di coda e la narcolessia aveva la meglio.
«Beh, conosci già la trama, Ecco perché ti annoi!» mi fu detto.
Provai con Downton Abbey.
Ma qualcosa si era spento.
E non era il televisore.
La fine della serie mi aveva lasciato addosso una sensazione sgradevole, tra il vuoto e la frustrazione per non essere riuscito a trattenerne alcun senso.
Nulla quæstio sulla sceneggiatura e sull’interpretazione.
Era come una sensazione di aver incontrato una donna per una serie di volte senza che questa relazione mi avesse lasciato dentro una sensazione che andasse oltre quell’effimero piacere temporaneo dato dal talamo.
Alcune relazioni possono restare dentro per tutta la vita.
Altre relazioni ad un certo punto finiscono così come sono iniziate. Proprio come la serie tv. Chiodo scaccia chiodo. 
Una relazione finita dà spazio ad una che inizia che riempiva il vuoto pneumatico lasciato come se da spettatore avessi pagato l’ultima rata di un mutuo acceso con l’abbonamento contratto.
È la “serialità” forse che è incompatibile con il mio personale senso del vita.
E questo infatti mi capita anche per le fiction che si protraggono per più di 4-5 episodi. 
E non parliamo poi sequel dei film.
Iniziavo a sentirmi a disagio, quasi in colpa. È tutta colpa mia, sono io il legno storto?

Conoscendo la mia bibliofilia, gli amici –con la solita espressione saccente da Farinata degli Uberti – mi rammentavano che «le serie tv erano la nuova letteratura». 
Altri tentavano di appigliarsi alla mia passione per la comunicazione creativa aggiunsero «le serie tv sono indispensabili per capire i nuovi modi di comunicare». Badate bene “indispensabili”, non utili! Indispensabili come un farmaco salvavita.

Ed io guardavo con desolazione mista a rassegnazione la mia libreria: con l’avvento della nuova letteratura, d’un tratto si era riempita di vecchi ed obsoleti volumi?

Ma c’è un dettaglio che rende le serie tv pericolosissime: come le droghe creano dipendenza.
Qualsiasi fiction su una tv (sia digitale che via cavo) è legata ad un palinsesto della rete, settimanale o quotidiano, ma c’è un numero di episodi fissi che vengono periodicamente mandati in onda finito il quale occorre attendere la prossima volta.
Le serie tv sui canali “non televisivi” offrono tutto l'intero pacchetto degli episodi e così facendo creano una fiumana di “binge-watchers” (ovvero "telespettatori seriali" che guardano diversi episodi consecutivamente di programmi televisivi senza soste,).
che scaricano episodi in massa per guardarli di seguito per serate intere. 
C’è lo shopping compulsivo? 
E c’è anche lo spettatore compulsivo che, in un crescendo di dipendenza, scarica serie dopo serie, episodi dopo episodi, intere stagioni, in una sorta di… un accanimento visuale.
Ecco la dimostrazione: creano dipendenza. 
Si inizia con un episodio, e poi basta poco per restare intere notti a lasciarsi obnubilare la mente.
Una statistica ha poi dimostrato che il “binge-watcher”tipico sarà pure un genietto digitale ma è anche semianalfabeta funzionale (per la vetusta e obsolescente letteratura). 
NO, NON CI STO!
Io preferisco guardare in tv un talk-show o uno spettacolo di musica sapendo che, per quanto lungo possa essere, avrà una fine coi titoli di coda. L’equivalente del “THE END” nei film.
Posso anche guardare un film (sebbene io ami vedere i film al cinema, mangiare la pizza in pizzeria, bere un cappuccio al bar!).
La puntata successiva del talk-show avrà altri protagonisti ed altri argomenti. E soprattutto, non si svolgerà immediatamente a ruota. Dovrò attendere una settimana o la sera successiva. L’emozione dell’attesa. Non posso scaricare un'altra puntata di quel programma. 
Ecco perché ad una SERIE TV preferisco... le TV SERIE
E in mancanza di queste, la mia libreria e il mio Kindle sapranno darmi le emozioni «con nuova e crescente ammirazione e soggezione e occupare persistentemente il mio pensiero»!


venerdì 12 gennaio 2018

MERCI BEAUCOUP, CATHERINE!

Qualche settimana fa, quando scoppiò la “bomba Weinstein” mi domandai se a Hollywood avessero scoperto l’acqua calda. Tutto ad un botto, era tutta una cascata di stars dalle nuvole e tutti scoprirono che il co-fondatore della casa di produzione Miramax, era un (p)orco,
Che scoperta: questo marciume è ciò accade in tutti gli ambiti artistici come il cinema, la musica e la moda. «Do ut des» è il paradigma.
E ammettiamo che spesso accade anche –con le dovute proporzioni!– anche in un normalissimo ufficio…
E sia ben chiaro che non lo sto giustificando. Tutt’altro…
Tutti sapevano dei suoi comportamenti aggressivi ed arroganti ma era una gallina dalle uova d’oro: un film prodotto da lui aveva già un Golden Globe (e forse un Oscar!) in mano ma tutti hanno deciso di tacere per circa trenta anni.
Particolarmente interessante il silenzio sulla vicenda di una “pasionaria” dei diritti femminili come Meryl Streep (sempre pronta a fare in ogni occasione utile aspre intemerate al presidente Donald Trump additato come “sessista”). La stessa che durante la cerimonia dei Golden Globe nel 2012 definì Weinstein «un dio», salvo poi parlare ora di un «disgustoso ed imperdonabile abuso di potere»…
Colsi l’occasione per far notare che ormai ogni avance è scambiata per molestia sessuale: un baciamano, un gesto di cortesia, un mazzo di fiori, un caffè offerto al bar, un complimento corre il rischio di essere etichettato come un disgustoso tentativo di avance. E io invece sottolineai che la galanteria non è mai avance. (http://entelechia4ever.blogspot.it/2017/11/la-galanteria-non-e-mai-unavance.html)
Poi si è aggiunta, buon ultima,  la anchor-woman più famosa degli USA, Oprah Winfrey  per cavalcare la tigre e candidarsi alla Casa Bianca, sempre appoggiandosi all'argomento del giorno. Peccato che -quasi in tempo reale- qualcuno si ricordò di una foto in cui la giornalista osannava e coccolava il produttore.
In mezzo a tante oche starnazzanti, finalmente ora prende la parola una grande attrice e una grande donna, Catherine Deneuve che si rifiuta di seguire il mainstream di facciata e, con una lettera aperta pubblicata su «Le Monde» insieme ad un altro centinaio di donne, si ribella contro il "nuovo puritanesimo" imperante.
«Lo stupro è un crimine –afferma la star francese–  ma tentare di sedurre qualcuno, anche in maniera insistente o maldestra, non è un reato, né la galanteria è un’aggressione del maschio».
Merci, Catherine. Merci beaucoup.
Perché dobbiamo sempre pesare col bilancino le parole ed i nostri gesti per paura di essere fraintesi?
Quella stessa paura che, pian piano, si è insinuata in tutti noi uomini come un veleno di Mitridate, inibendo i nostri gesti galanti per il timore che possano essere interpretati come una molestia "in nuce", quella paura di apparire stalker, quella paura di essere additati come molestatori temendo di finire sui giornali , quella paura ci sta trasformando in cyborg glaciali incapaci di manifestare sentimenti.
Gli uomini hanno paura di corteggiare le donne e le donne non sono più abituate ad essere corteggiate.
Io dico NO! Un “NO” stentoreo.
«Difendiamo la libertà di importunarci» conclude il suo appello la Deneuve ed io vorrei rivolgere un appello alle donne: riscoprite il piacere di essere donne e di essere corteggiate, non toglieteci il gusto di un gesto galante.
Siamo uomini, non cyborg…