domenica 12 novembre 2023

L'idea geniale del "bonus rammendo"


In Francia si chiama «bonus réparation» che potremmo tradurre con «bonus rammendo». È l'ultima iniziativa messa in campo dalla ministro francese per l'Ecologia Bérangère Couillard per contrastare gli sprechi e consiste in un contributo che può variare dai 6 ai 25 euro presso alcuni laboratori di sartoria o calzoleria convenzionati per riparare quella giacca che avevamo lasciato nell’armadio da anni per rifocillare le tarme e i pesciolini d’argento (ovvero Lepisma saccharina) o un giubbotto o un paio di scarpe. E cosa c'è di più romantico (e soprattutto sostenibile) del ridare vita ai propri abiti? Oltre evitare gli sprechi si sosterrebbero anche le piccole botteghe sartoriali. È la migliore risposta alla nuova tendenza del “usa e dai via” creata da tante app che conosciamo bene.

Ma questa idea si fonda sulla saggezza dall’arte giapponese del “kintsugi”: quando i pezzi di ceramica di un certo valore si screpolano o si rompono invece di cercare di nascondere le “imperfezioni”, l’artigiano giapponese le riempie con una lacca dorata in contrasto. Il difetto non solo non viene camuffato e nascosto ma addirittura evidenziato come espressione dell’oggetto che perdura, sebbene non integro, come fosse un segno della sua bellezza imperfetta. La nostra società occidentale – purtroppo – è indirizzata esattamente verso la direzione opposta, tendiamo maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza. E poi si aggiunge anche il consumismo compulsivo che ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto dal piatto sbeccato, al pullover smagliato, al paio di scarpe da risuolare (…salvo poi acquistare jeans o T-shirt già strappate!). O più semplicemente qualcosa di cui ci siamo stufati dopo poco tempo: non li usi più? Mettili sull’app ci consiglia uno spot”!

Il discorso non cambia per le nostre case. Ci viviamo benissimo? Chi se ne frega: devi fare il cappotto, devi cambiare termosifoni, devi rifare gli infissi, devi mettere le pompe di calore… La chiamano efficientamento energetico. E vorrebbero anche farci credere che tutto ciò avverrà gratuitamente! Una società che avesse davvero a cuore i propri componenti, elaborerebbe invece dei premi incentivanti con forti agevolazioni economiche per coloro che dimostrino di saper mantenere un’auto a lungo tempo, che aggiustano il tetto di casa soltanto quando appaiono le prime crepe o cambiano gli infissi quando c’è un’infiltrazione, quando finché si sta al calduccio non cambiano il termosifone perché quelle persone stanno dimostrando di saper gestire i propri denari, anziché sprecare le proprie risorse approfittando degli specchietti per le allodole che gravano su tutti gli italiani. E ciò che è ancora più triste e questa tendenza si applica anche per le persone. Ecco perché le coppie scoppiano: anziché trovare un compromesso ci si lascia ancor prima della crisi del settimo anno. E non parliamo poi dei genitori che ci hanno dato la vita: quando non sono più efficienti, c’è un RSA ad accoglierle. 
Era il 1991 quando il grandissimo Renato Zero sul palcoscenico di Sanremo cantò “Spalle al muro” e gridava «Vecchio! Diranno che sei vecchio! Con tutta quella forza che c’è in te […] Vecchio sì, quando non è finita, hai ancora tanta vita e tu lo sai che c’è! Con quello che hai da dire, non vali quattro lire, dovresti già morire…». Le parole erano di Mariella Nava ma la sua interpretazione era davvero toccante. Almeno per chi – per citare ancora Zero - «frugando nella sua giacca scopre che dietro il portafogli ancora un cuore c’è». Vabbè.
E io non posso non ricordare che anche in questi casi, la nemesi è là dietro, in agguato, paziente. Perché la nemesi non ha fretta. Attende calma e mite. Ma al momento giusto arriverà. E quando arriverà è troppo tardi per porvi rimedio e trovare una soluzione


sabato 8 aprile 2023

FESTINA LENTE - OVVERO RIAPPROPRIAMOCI DELLA CALMA




Oggi nella mia cassetta delle lettere ho trovato una cartolina. Ero felice quando ho scoperto che ...non era una bolletta da pagare o qualcosa del genere. Ma doppiamente felice perchè era la cartolina di una cara amica dalla splendida Toscana.
Che emozione!
Questo mi ha fatto riflettere sul crepaccio che si è creato tra generazioni nell’ambito della comunicazione e soprattutto per ciò che riguarda la trasmissione della sensibilità.
Oggi abbiamo sempre fretta, tutto dev’essere velocissimo, immediato, in tempo reale, le nuove generazioni hanno tutto su una “app” sullo smartphone. La colonna sonora delle nostre giornate sono il “plin plon” delle notifiche dei messaggi che mandiamo e riceviamo freneticamente in un modo quasi esasperante.
Abbiamo perso il gusto di assaporare il tempo, vogliamo tutto e subito perché non abbiamo paura di perdere tempo.
Oramai le cartoline non esistono più, soppiantate da un effimero quanto vano selfie. Fino a qualche decennio fa quando si andava 
n vacanza (da soli o con la propria famiglia) le cartoline patinate dei luoghi visitati con i propri saluti, ad amici e parenti erano un rito immancabile. E poco importa se quasi sempre arrivavano dopo giorni (o anche dopo settimane) quando la vacanza era finita!. Pensiamoci bene: questo rito richiedeva per tanti versi anche una certa cura: la scelta di una cartolina quanto più adatta al destinatario, talvolta ironica o più “ufficiale”, poi l’elaborazione di un messaggio che andasse oltre il banale “saluti da…”. E tutto ciò richiedeva del tempo.
Vi ricordate poi le lettere via posta tradizionale al nostro amico o alla ragazzina conosciuta in spiaggia l’estate precedente? Occorreva sederci, trovare le parole giuste, semmai riscriverle in bella copia se c’erano troppi scarabocchi.
Poi la fremente attesa della risposta e la gioia di trovare una lettera nella cassetta, aprirla e leggere una risposta. Volete mettere l’attesa della risposta contando i giorni? Come disse Gotthold Ephraim Lessing “l’attesa del piacere è anch’essa piacere”. E le cartoline e le lettere potevi conservarle e riprenderle dopo anni in mano emozionandoti…
Ora invece è meglio condividere qualche stories su Instagram dei tuoi viaggi o mandare le foto via Whatsapp ad amici e parenti! In un paio di secondi è presto fatto e al massimo riceveremo qualche “like”. Pochi secondi per inviarlo e pochi secondi per leggerlo per poi cadere nell’oblio più squallido privandoci delle nostre emozioni!
A questo proposito mi è venuta alla mente una storiella.
Un giorno un signore chiese ad un bambino di indicargli la strada migliore per raggiungere la piazza del paese dove aveva un appuntamento. Il bimbo disse «seguimi, ti accompagno!». Camminarono per oltre 20 minuti passando in molte vie del paese ed alla fine arrivarono alla piazza centrale del paese. Il signore ringraziò il bambino e si diresse all’appuntamento consapevole di arrivare in ritardo. Per puro caso poi scoprì che era possibile arrivare alla piazza in pochi minuti in un modo più diretto. Qualche giorno dopo quel signore, rincontrò il bambino che giocava nella piazza e gli chiese come mai gli avesse fatto girare mezzo paese per arrivare in piazza. Il bambino allargando le braccia rispose serafico «beh … lei mi ha chiesto la via “migliore” non quella più breve: io l’ho fatta passare nelle zone più belle per farle conoscere il mio bellissimo paese. Si ricorda? Siamo passati su quel promontorio da dove si vedeva il paese vicino, poi siamo passati davanti alla chiesa antica e poi le ho fatto vedere la statua del santo patrono che è famosa e che percorrendo la via più breve non avrebbe visto!». La morale della storia è molto semplice: siamo ossessionati dalla frenesia quotidiana che ci fa confondere ciò che è più veloce con quello che è migliore. E la fretta è la peggior nemica della qualità.
Poi vogliamo parlare di come il lessico si stia impoverendo. Siamo talmente abituati a comunicare i nostri stati d’animo per mezzo di emoji e non siamo più in grado di descriverli a parole. Non descrivendoli, quindi, non siamo nemmeno più allenati a riconoscere le emozioni e i nostri stati d’animo e neppure a saperli affrontare.
Un vero genio della comunicazione Marshall McLuhan sosteneva che “Il medium è il messaggio” vale a dire che il messaggio ed il mezzo con cui possiamo trasmetterlo sono una cosa sola, o perlomeno, si influenzano in un modo profondissimo.
Le nuove tecnologie avrebbero dovuto aiutarci a trasmettere e divulgare le emozioni e i pensieri in modo più semplice ma paradossalmente hanno invece ostacolato questa trasmissione! La televisione prima e poi internet ha dato accesso alla possibilità di raccontare le nostre storie, nei modi e tempi più vicini al nostro essere, ma pretendiamo di farlo velocemente!
 Ma dobbiamo ritornare alla domanda di tutte le domande: perché sentiamo il bisogno di raccontarci, di leggere, di guardare o ascoltare storie narrate? Credo che i racconti ci aiutino a dare senso alla nostra esperienza, ai nostri vissuti, a rileggere le nostre emozioni. Il racconto delle nostre esperienze definisce non solo chi siamo, nel senso più riflessivo e profondo, ma ha anche un’importante funzione sociale perché ci permette di comprendere e comunicare con gli altri, facilitando anche una lettura e una narrazione condivisa del mondo circostante. I racconti ci aiutano a ricordare, a riscrivere, ad esplorare il mondo, a definire valori, rileggere avvenimenti, attribuire un significato all’esperienza.
Sia chiaro che non mi sto affatto opponendo alla velocità della tecnologia (che mi permette di scrivere questa riflessione e renderla immediatamente leggibile da voi!) ma vorrei solo invitarVi a non lasciarci fagocitare dalla frenesia o dal “logorio della vita moderna” come diceva uno spot di un noto amaro… cinquant’anni fa!
Volete un esempio? Quando viaggiamo in navigatore ci porta esattamente nel punto in cui noi abbiamo programmato. Quasi fossimo un cyborg. È vero che arriviamo prima ma volete mettere il piacere di fermarsi in un paesino sperduto e chiedere «…mi scusi buon uomo, per andare a …. Questa strada è giusta?». Ci stiamo privando delle relazioni umane…?
Da bambino – questo è un altro esempio – mi regalarono un organo elettrico e seguendo i numeretti sulla tastiera abbozzavo qualche musichetta famosa. E non posso certo dire che io – che suono solo il videocitofono – sapessi suonare.
Una politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense, Hannah Arendt ci ha lasciato detto che «la narrazione rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi».
Quando scriviamo, ascoltiamo o guardiamo una storia, in qualche modo quello che ci colpisce è sempre qualcosa che ci riguarda, che parla di noi, che ci aiuta a dare significato alle nostre emozioni e vissuti, a riguardare la nostra esperienza da distante, a dare un senso e un ordine, ma non possiamo che osservarlo dal nostro punto di vista e con il nostro sguardo.
Oggi, siamo sommersi da storie, ma la vera sfida educativa è quella di insegnare a raccontare storie che ci permettono di fare vedere quella parte del mondo che ancora non conosciamo.
Ben venga quindi una mail o un WhatsApp per metterci d’accordo per incontrarci o tenerci in contatto con un amico in Nuova Zelanda, ma non perdiamo mai la gioia di esprimere i sentimenti. Con calma. Non per nulla il mio motto per eccellenza è “FESTINA LENTE” ovvero “AFFRETTATI LENTAMENTE!”