Ognuno
di noi ha una persona che ammira a cui ispirarsi per il proprio lavoro o
anche per un personale percorso di vita.
Io da qualche tempo sono rimasto folgorato dalla figura e dall'opera di Bill Bernbach.
«Bill
chi?» diranno molti di voi.
A molti quel nome dirà poco. Forse nulla.
(e
mi raccomando, non “googlate”, vi tengo d’occhio!).
Ma
state sereni, la quasi totalità delle persone è nelle vostre condizioni.
Eppure, senza di lui si
sgretolerebbe oltre metà dell’advertising pubblicitario
del secolo appena trascorso.
Non appaia un azzardo se sto per paragonare la sua attività dal punto di vista della comunicazione creativa a quella di Galileo Galilei nell’astronomia, o Dante nella letteratura Italiana.
Non appaia un azzardo se sto per paragonare la sua attività dal punto di vista della comunicazione creativa a quella di Galileo Galilei nell’astronomia, o Dante nella letteratura Italiana.
Dopo di lui nulla è stato più come
prima.
William
Bernbach nacque in pieno Bronx nel 1911, iniziò a lavorare nell’ufficio
spedizioni delle Distillerie Schenley ma, la sua vera grande passione era
quella di scrivere annunci per la pubblicità per i prodotti di quella stessa
azienda.
Un giorno, sfogliando il New
York Times, Bill
notò che per il lancio dell’American Cream Whiskey era stata pubblicata una sua idea, tale e quale, senza
che però l’agenzia gli avesse riconosciuto alcun merito…
Ora sospendo per un attimo la narrazione.
Ve lo dico molto chiaramente: io
sono certo di non essere un genio e tanto meno posso paragonarmi con Bernbach (Domine non sum dignus) ma questo è capitato anche me e credetemi che la rabbia che
nasce dentro è irrefrenabile come una bibita gassata che venga agitata…
Il boss della Schenley venne a saperlo e lo volle promuovere all’ufficio marketing.
Nel 1949, fondò la DDB - Doyle Dane Bernbach.
I tre partirono con le idee ben
chiare: «Proviamo al mondo che il buon gusto, la buona arte, la buona
scrittura possono creare una buona vendita!”
Nel 1960 insegnarono agli americani
a “pensare in piccolo”: con una pagina quasi vuota con in alto a sinistra il “Beetle”
Volkswagen piccolo piccolo e la scritta “think small”.
Una filosofia folle e provocatoria
per un'America sempre più malata di gigantismo del “think big”, un paese la cui
parola d’ordine era “to be number one” e loro proponevano di “pensare in piccolo”.
Questa fu una delle indimenticabili campagne pubblicitarie di Bill Bernbach, il pubblicitario più geniale del XX secolo.
Qualche anno dopo, un'altra scritta campeggiava nei quotidiani in una pagina senza foto: «Non c’è motivo di mostrarvi la nuova Volkswagen ’62. Sarà ancora la stessa!”
Questa fu una delle indimenticabili campagne pubblicitarie di Bill Bernbach, il pubblicitario più geniale del XX secolo.
Qualche anno dopo, un'altra scritta campeggiava nei quotidiani in una pagina senza foto: «Non c’è motivo di mostrarvi la nuova Volkswagen ’62. Sarà ancora la stessa!”
I clienti della DDB erano del calibro di American Airlines, Seagram, International Silver, Heinz, Sony, Uniroyal, Lever, Gillette.
Sembra paradossale ma, fedele all’idea che non ci si deve intrappolare in formule, un grande comunicatore come lui raramente rilasciava interviste e non pubblicherà mai nulla circa le proprie teorie pubblicitarie.
Da ciò che ci resta di lui possiamo distillare una frase che rivela
la sua filosofia: «Le regole sono quelle che l’artista spezza;
nulla di memorabile è mai uscito da una formula».
Per il panificio Levy’s, ideò la foto di un bimbo di colore con il pay-off «non devi essere ebreo per
amare Levy’s, vero pane di
segale ebreo».
La campagna per i magazzini Orbach’s, pensò alla
foto di un bambino corrucciato e la scritta «Siamo spiacenti di informarti
che la tua roba per la scuola è pronta da Orbach’s».
«Dal 23 dicembre l'Oceano Atlantico
sarà più piccolo del 20%» rendeva noto che linea aerea EL AL accorciava i
tempi della traversata atlantica.
Idee semplici ed efficaci.
Considerava come un grande nemico la standardizzazione: alla DDB, lasciava i creativi alle sue dipendenze liberi
di agire, dando a ciascuno la possibilità di crescere a proprio modo.
Per
entrare alla DDB, aveva fissato due essenziali condizioni:
1.
avere talento;
2.
essere una persona perbene.
In mancanza di una delle due, la
sua risposta era cortese ma negativa.
Le pubblicità da lui create contenevano caratteristiche che oggi stentiamo a definire qualità, ma erano destinate a perdurare nella memoria del pubblico (non è un caso che adesso le stiamo citando ad esempio!) mentre invece scordiamo rapidamente gli effetti speciali più roboanti delle campagne pubblicitarie dei nostri giorni con “art-directors” di grido alla ricerca di dare “pugni nello stomaco” pur di attirare il cliente.
Le pubblicità da lui create contenevano caratteristiche che oggi stentiamo a definire qualità, ma erano destinate a perdurare nella memoria del pubblico (non è un caso che adesso le stiamo citando ad esempio!) mentre invece scordiamo rapidamente gli effetti speciali più roboanti delle campagne pubblicitarie dei nostri giorni con “art-directors” di grido alla ricerca di dare “pugni nello stomaco” pur di attirare il cliente.
Anche il suo epitaffio nel necrologio sul New York Times fu una perla di rara genialità creativa:
«I veri giganti sono sempre
stati dei poeti,
uomini che saltavano dai puri fatti
al regno dell’immaginazione e delle
idee».
Alla luce di tutto ciò, ora che sappiamo un po’ di più di Bill Bernbach io abbando ad alcune considerazioni, e mi chiedo:
-Dove sono finiti ai nostri giorni
gli imprenditori acuti, intelligenti e lungimiranti come William Bernbach che
per la propria azienda non cercava un “neolaureato, max 28anni, 4anni
d’esperienza” ma puntava
semplicemente su una brava persona
con talento,
passione, interesse per ciò che doveva fare?
-Dove son finiti oggi, in questo iperattivo XXI
secolo, i Bill Bernbach che danno più importanza a quello che potrai
fare con il tuo talento e non a quello che hai già fatto?
D’altronde, si sa, che i Galileo, i Manzoni, i Dante, gli Einstein non nascono ogni giorno, ma, accantonando per un momento l’orgoglio e la superbia, sapendo di non essere né Galileo, né Manzoni o Dante, e tanto meno Einstein, si potrebbe almeno prendere l’esempio, no?
P. S. Mentre
do un ritocco finale a questo testo, mi vengono in mente il Titanic e l’Arca
di Noè.
Due imbarcazioni, due destini.
Un’imbarcazione costruita da un dilettante senza pretese ma con tanta passione, l’altra costruita da un team di ingegneri per passare alla storia come il transatlantico più bello.
Un’imbarcazione costruita da un dilettante senza pretese ma con tanta passione, l’altra costruita da un team di ingegneri per passare alla storia come il transatlantico più bello.
Ebbene,
a bocce ferme, la storia chi ha voluto favorire?
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