Per
Sigmund Freud ci sono tre mestieri difficili: insegnante, politico e terapeuta.
In questo articolo oggi vorrei parlarvi della prima categoria.
Alzi la mano chi, nel corso dell’iter scolastico, non si è imbattuto in qualche
docente con un gran talento: quello di far passare la voglia di studiare e mandare
all’aria tutti i libri?
Per
questo parlano molto chiaro i numeri delle statistiche sulla popolazione degli
studenti all’Università.
percentuale di studenti
che interrompono gli studi prima della laurea: 25%;
percentuale di studenti che
si laureano nei tempi previsti: 14,5%;
percentuale di studenti
fuori corso: 43% (di cui: 32% sfora di 2anni; per il 40% il ritardo è di 5anni; il 28% supera i 5anni!)
Sono
tutti scansafatiche? Certo, una fetta considerevole lo sarà. C’è sempre
qualcuno che “prova” ad iscriversi all’università! È anche vera la diffidenza
verso le statistiche che Trilussa ha spiegato benissimo con il sonetto del
pollo-e-mezzo! Ma inequivocabilmente ci indicano un trend!
Il
prof. GianCarlo Nivoli, ex docente di clinica psichiatrica all’università di
Sassari ed autore del libro “Sopravvivere all’università” (2002, Centro Scientifico Editore) affermava che “quarant’anni di
attività accademica” lo portano "a puntare il dito verso i docenti per gli
scricchiolii del mondo dell’istruzione".
Non
si ferma lì!
Dall’alto della sua competenza professionale afferma che tali
colpe spesso “sono dovute alle loro psicopatologie”.
Il
prof. Nivoli ha elencato cinque tipologie di docenti pericolosi, tra cui il narcisista ed il sadico.
Il narcisista trova ogni occasione per
alludere e richiamare ripetutamente le sue ricerche, nonché le sue amicizie
altolocate del settore. È sempre stato il più bravo.
Poi c’è
il sadico: degno successore di Margherita Goundam, la maîtresse
parigina inventrice della “sedia di
contenzione” per clienti sadici. Quest'ultimo inchioda lo studente all’esame, lo umilia per gli errori (meglio se in pubblico!), gode delle sue incertezze, additandolo
come “fellone” se lo studente propone
di ripresentarsi all’appello successivo.
Purtroppo
questa è solo la punta di un iceberg sulla quale ogni anno tanti “Titanic” vanno
disintegrarsi!
Chi
diventa professore, subisce poi quello stesso meccanismo secondo il quale per gli
psichiatri, un bambino vittima di violenze e maltrattamenti diventerà un padre
violento. Inconsciamente vorrà far subire ad altri quanto lui stesso ha subìto!
Se
poi si aggiunge la crisi di panico che si scatena quando ci si “accomoda” sulla
sedia per essere interrogato, la frittata è bell’e fatta!
Io a malapena
ricordavo il mio nome, cognome e il luogo dove mi trovavo!
Io venivo, quindi,
valutato non per quello che sapevo, ma per quello che riuscivo “a far credere”
di sapere. E questo per molti studenti è un dramma.
Un criterio valutativo,
ahimè, affidato a ciò che “sembra”, non a ciò che “è”!
È come giudicare una persona,
stando affacciati alla finestra, in conformità a come è vestita o all’auto che
guida.
Ovvero la solita vecchia storia (ma quanto mai in vigore) dell’ESSERE e dell’APPARIRE.
Qualche
volta in sede d’esame mi è stato detto: “mettiti
nei nostri panni!”.
Perfetto!! c'è però un punto: mentre io, professore, non lo sono mai stato,
loro, invece, sono stati necessariamente studenti. Pertanto, io non posso
mettermi nei loro panni, mentre loro possono (e devono, o dovrebbero) mettersi nei panni studenteschi!
Ritengo
di poter affermare che, per superare brillantemente un esame occorre
soprattutto “saper vendere bene la propria merce”! Io, invece, a causa della
mia emozione, ero costretto a ritornare a casa con una preparazione eccellente
e senza voto nel libretto.
Ma
le storture cominciano ben prima dell’università.
Daniel
Pennac nel suo “Come un romanzo” afferma che il verbo “leggere” non gradisce l’imperativo. Come d’altronde il verbo “amare”, “sognare”, “studiare”…
Questo
concetto però non è stato colto da chi s’interessa di Istruzione (di ogni
ordine e grado!). L’amore per la lettura e per lo studio segue le stesse regole
dell’amore tra due persone.
Proviamo
ad immaginare questa scena:
Esterno.
Pomeriggio.
Su una panchina di un
parco si trovano seduti un ragazzo ed una ragazza. “AMAMI!”
dice lui!
È forse
credibile?
Possiamo forse imporre un sentimento?
Certo che no!
Bisogna
invece creare le “condizioni per amarsi”.
Il ragazzo metterà in atto una serie di azioni e comportamenti affinché la
ragazza decida spontaneamente di amarlo!
Lo
studio o la lettura richiedono lo stesso “meccanismo”: stimolare lo studente a
leggere quel romanzo, quella poesia. Nelle
scuole invece i più grandi capolavori della letteratura vengono sottoposti a torture
atroci con l’obbligo della lettura.
Capolavori
come l’Eneide, l’Odissea, la
Divina Commedia, i Promessi Sposi vengono infilati nel tritacarne dei
commenti e delle versioni in prosa di torme di studenti, trasformati in
filastrocche degne di una recita di Natale:
“eifusiccomeimmobile/datoilmortalsospiro/stettelaspogliaimmemore/orbaditantospiro”.
Proviamo
poi a chiedere a questi studenti cosa volesse dire il Manzoni con quelle
parole!!!
Non
si insegna ad assaporare il senso della bellezza di una poesia. “Interrogato sulla poesia”. Che
contraddizione!
Come dire: obbligato a dimostrare amore!
Ecco come uccidere la
poesia!
A scuola ci si va per prendere un voto. Tutto questo è agghiacciante.
Se
entro in una libreria, girando fra gli scaffali verrò attratto dalle copertine
o dal titolo di qualche volume (ecco che ancora si ripresenta una similitudine
con l’amore tra due persone: se vedo una bella ragazza, prima di sapere se è
intelligente, simpatica, oca, svampita, rimarrò attratto dall’aspetto fisico)
quindi lo sfoglierò e verificherò se anche nei contenuti sommari è avvincente
come la copertina.
Avete
presente la copertina o il titolo di un libro di testo alle superiori o all'università? Provate a ricordare
qualche titolo. “Lezioni di…”, “Manuale di….”
E
le copertine? Non si va oltre il grigio, beige, e bianco con al centro il
titolo…
Evviva l'originalità...
Volete
la controprova? Prendete un classico in uso nelle scuole secondarie (l’Eneide,
l’Odissea, la Divina
Commedia, i Promessi Sposi) e lo stesso classico comprato in
una libreria…
Nel
secondo caso la copertina sarà molto più spartana, austera, triste: lo studente
deve studiare, non divertirsi!
Quei libri sono ideati col solo ed unico scopo di essere studiati (…non letti!)
dallo studente.
Quel
libro non serve allo studente per approfondire la propria conoscenza ma solo
per consentirgli/le di superare l’esame.
“Molti libri sono stati scritti non tanto
perché leggendoli venga trasmesso il sapere dell’autore, bensì per far sapere
quanto grande fosse il sapere dell’autore”. Questa potrebbe essere la
posizione di uno studente frustrato, invece è l’opinione di un certo Wolfgang
Johannes Goethe.
La
quasi totalità dei libri parte dal presupposto: “IO SO E SCRIVO, TU
NON SAI E STUDIA!”
I
libri letti liberamente danno libertà (vi siete mai soffermati sul termine
latino di “libro” e “libero”? entrambi sono “liber”. Sarà solo una coincidenza?)
Un libro regala sempre la
patente di fantasia al lettore.
Immagina la scena, integra la descrizione di
quel paesaggio, dei lineamenti di quel personaggio, con particolari differenti
per ogni lettore. Forse le copertine grigie, i titoli asettici servono come
agenti di polizia per sequestrare quella patente di fantasia.
A scuola la
fantasia non può e non deve esistere!
Il
tasto dolente però è l’università!
Anni fa Stenio Solinas ne“il Giornale” fece un’interessante inchiesta sulle
università da cui scaturirono elementi molto interessanti.
Oramai le università
sono solo “stazioni ferroviarie e aeroportuali per i professori, dove tra un
treno (o un aereo) e l’altro svolgono lezioni, e nelle quali gli studenti
cercano di intercettarli “al volo”.
Possiamo
forse parlare di “trasmissione di sapere”?? Certo che no.
I professori sono
rimasti all’epoca di “Lascia o Raddoppia?” dove io studente devo essere
valutato per ciò che riesce a dimostrare di sapere in una manciata di minuti e
non per ciò che effettivamente sa!
Per
Stefano Zecchi, ordinario di Estetica all’università Statale di Milano sono
solo “un esamificio”, un “liceo di 2° categoria”.
Come
si può valutare la preparazione di uno studente in poche domande?
Come si può
valutare in 20/30 minuti la preparazione di uno studente durata almeno 4/5
mesi?
L’università
è un pianeta a sé, con proprie leggi fisiche e temporali:
l’anno dura sei mesi;
il mese tre settimane;
la settimana quattro giorni; l’ora dura 45minuti…
Immaginiamo
di trovarci all’aeroporto di Stansted (Londra) per uno scalo tecnico e che la
sosta si protragga per 7/8ore.
Decidiamo quindi di approfittare per arrivare a
Londra!
Visitare
Londra in 8ore? Impossibile!
Però possiamo affidarci ad un taxi e farci un
“giro panoramico”.
Certo, non potremmo fermarci in nessun luogo. Vedremo tutto
dal taxi.
Oppure potremmo affittare un
elicottero (utopisticamente per i comuni
mortali, ma come esempio può essere funzionale!) per una visione
panoramica.
Anche in questo caso, non potremmo vedere dettagliatamente nessun
luogo, ma avremmo una visione globale della città inglese.
Se poi Londra ci
colpirà e vorremmo visitarla meglio… beh, allora dovremmo fermarci almeno per
una settimana.
Allo
stesso modo, per un esame.
Impossibile conoscere e verificare in dettaglio la
preparazione di uno studente in pochi minuti. Dobbiamo optare per la “visita in
taxi” o “la visione panoramica dall’elicottero”.
Per
una “visita accurata”, ovvero una verifica approfondita della preparazione
dello studente, non resta che elaborare l’equivalente del soggiorno di una
settimana, che nel nostro caso può essere una tesina, delle verifiche lungo
l’intero corso delle lezioni…
Ma
col taxi possiamo avere “intoppi”: ad esempio il traffico.
Allo stesso modo,
possiamo trovare “traffico” nell’esame! Ovvero l’ansia, il panico, lo stress
che può impedire allo studente di dimostrare ciò che effettivamente sa!
Ripetere
è molto facile (lo fanno anche i bimbi alla scuola materna con le poesie), ben
diverso è “sapere”… e gli studenti (volponescamente!) si sono adeguati a questo
metodo di studio!
Il target è solo superare l’esame, non conoscere la materia.
Il
combustibile non è la voglia di sapere, ma la speranza di trovare il modo di
“far credere di sapere”…
È
il cane che si morde la coda.
Negli insegnanti manca il sacro fuoco della
trasmissione del sapere, e come giusto corollario, gli studenti manca il sacro
fuoco della voglia di sapere.
Se
gli insegnanti fossero animati dalla passione per la materia, parlerebbero con
trasporto e con fervore scatenando interesse negli studenti. Come Platone nel "Simposio", ad esempio.
Le lezioni
sarebbero coinvolgenti e i 45minuti volerebbero…
Invece
al di qua della cattedra c’è il trasporto tipico dell’impiegato statale che
aspetta (come il rag. Ugo Fantozzi) l’ora di uscita; al di là della cattedra
non potrà che avere come risposta una serie di sbadigli!
La
conclusione dell’inchiesta di Stenio Solinas è che l’università è morta.
Tra i
mandanti troviamo l’impunibilità di un corpo docente non sottoposto ad alcun
controllo e l’impossibilità di un ricambio!
Raffaele
Simone, ordinario di Linguistica Generale a Roma fu molto lungimirante: dodici
anni fa scrisse un pamphlet “L’università dei tre tradimenti”.
Una requisitoria
fine e acuta che non lascia scampo.
Egli accusava l’università di tradimento nei
confronti degli studenti (non selezionati, non curati e abbandonati al loro
destino);
verso lo Stato (per il disordine e la confusione in cui l’università
sguazza);
verso la ricerca che permette vere emorragie di cervelli, ma non
agevola un afflusso nelle nostre università.
Tanti laureati vanno all’estero
per la specializzazione, nessuno viene in Italia!
Non
posso che concludere quindi con un’altra frase di Wolfgang Johannes Goethe: “TUTTO QUELLO
CHE SO, NON L’HO IMPARATO A SCUOLA!”