Quando uscite a cena con
amici provate a mettere il cronometro per verificare dopo quanti minuti si
inizia a parlare delle “serie tv”.
Tutto ruota attorno ad esse.
Puoi anche non farti il risvoltino, puoi anche non
avere l’«iPhoneX» ma guai non sei abbonato a Netflix, non sei nessuno.
Ti
guarderanno con un’espressione da Farinata degli Uberti, tra il conato emetico imminente
e sprezzo da prince George.
Vi sentirete come se vi foste seduti in una tavolata di
scienziati esperti nella teoria Wegeneriana della
deriva dei continenti.
Ebbene sì, sappiatelo, è
arrivato il momento di farVi un’imbarazzante confessione: io non sopporto le
serie tv.
Sia chiaro, ci ho provato.
Non le sopporto.
C’è chi ad esempio non
sopporta i boxer?
Bene, io non sopporto le serie tv.
«Devi provare!!»
risponderanno in coro mentre ti sentirai come la particella di sodio di
un’acqua oligominerale
Per essere davvero “up-to-date” devi esserti
sciroppato tutta la serie “The Crown”.
Inutile tentare di far notare
di essere già un esperto di monarchie europee.
Devi conoscere anche i dettagli di
quella serie, se possibile anche versione “director's
cut”. O ti sentirai escluso per tutta la serata da un entusiasmo
così contagioso.
A questo punto come ho già rivelato, ci ho tentato.
Ero davvero incuriosito da
quella serie che, avrebbe dovuto ripercorrere in versione “docu-fiction”, fatti e
avvenimenti che già conoscevo.
Ero quasi galvanizzato in
attesa dell’esordio di questa serie tv. Mi ero informato sugli attori e su chi
rappresentavano sulla scena, sui personaggi reali e su quelli inventati.
Emozione e adrenalina erano
un cocktail per le mie vene.
Poi giunge l’assuefazione. Un po’ come accade per alcuni farmaci e per le emozioni. E devi aumentare le dosi
per aver la stessa sensazione. Non ti basta un episodio.
Le serie tv sono come la
droga: provocano dipendenza.
Nonostante la storia
raccontata fosse già nota, capii subito, dopo qualche episodio, che la soglia d’attenzione -inevitabilmente- calava drasticamente molto prima dei titoli di coda e la narcolessia
aveva la meglio.
Provai con Downton Abbey.
Ma qualcosa si era spento.
E non era il televisore.
La fine della serie mi aveva lasciato addosso una sensazione sgradevole,
tra il vuoto e la frustrazione per non essere riuscito a trattenerne alcun
senso.
Nulla
quæstio sulla sceneggiatura e sull’interpretazione.
Era come una sensazione di
aver incontrato una donna per una serie di volte senza che questa relazione mi
avesse lasciato dentro una sensazione che andasse oltre quell’effimero piacere
temporaneo dato dal talamo.
Alcune relazioni possono
restare dentro per tutta la vita.
Altre relazioni ad un certo
punto finiscono così come sono iniziate. Proprio come la serie tv. Chiodo scaccia chiodo.
Una relazione finita dà spazio ad una che inizia che
riempiva il vuoto pneumatico lasciato come
se da spettatore avessi pagato l’ultima rata di un mutuo acceso con l’abbonamento
contratto.
È la “serialità” forse che è
incompatibile con il mio personale senso del vita.
E questo infatti mi capita anche
per le fiction che si protraggono per più di 4-5 episodi.
E non parliamo poi sequel
dei film.
Iniziavo a sentirmi a
disagio, quasi in colpa. È tutta colpa mia, sono io il legno storto?
Conoscendo la mia
bibliofilia, gli amici –con la solita espressione saccente da Farinata degli
Uberti – mi rammentavano che «le serie tv erano la nuova letteratura».
Altri tentavano
di appigliarsi alla mia passione per la comunicazione creativa aggiunsero «le
serie tv sono indispensabili per capire i nuovi modi di comunicare». Badate bene
“indispensabili”, non utili! Indispensabili come un farmaco salvavita.
Ed io guardavo con desolazione
mista a rassegnazione la mia libreria: con l’avvento della nuova
letteratura, d’un tratto si era riempita di vecchi ed obsoleti volumi?
Ma c’è un dettaglio che rende
le serie tv pericolosissime: come le droghe creano dipendenza.
Qualsiasi fiction su una tv (sia
digitale che via cavo) è legata ad un palinsesto della rete, settimanale o quotidiano, ma
c’è un numero di episodi fissi che vengono periodicamente mandati in onda finito il quale occorre attendere la prossima volta.
Le serie tv sui canali “non
televisivi” offrono tutto l'intero pacchetto degli episodi e così facendo creano una fiumana di “binge-watchers” (ovvero "telespettatori seriali" che guardano diversi episodi consecutivamente di programmi televisivi senza soste,).
che scaricano episodi in massa per guardarli di seguito per serate intere.
che scaricano episodi in massa per guardarli di seguito per serate intere.
C’è lo shopping compulsivo?
E c’è anche
lo spettatore compulsivo che, in un crescendo di dipendenza, scarica serie dopo
serie, episodi dopo episodi, intere stagioni, in una sorta di… un accanimento visuale.
Si inizia con un episodio, e poi basta poco per restare intere notti a lasciarsi
obnubilare la mente.
Una statistica ha poi
dimostrato che il “binge-watcher”tipico sarà pure un genietto digitale ma è
anche semianalfabeta funzionale (per la
vetusta e obsolescente letteratura).
NO, NON CI STO!
Io preferisco guardare in tv
un talk-show o uno spettacolo di musica sapendo che, per quanto lungo possa essere, avrà una
fine coi titoli di coda. L’equivalente del “THE END” nei film.
Posso anche guardare un film (sebbene io ami vedere i film al cinema, mangiare la pizza in pizzeria, bere un cappuccio al bar!).
La puntata
successiva del talk-show avrà altri protagonisti ed altri argomenti. E soprattutto,
non si svolgerà immediatamente a ruota. Dovrò attendere una settimana o la sera
successiva. L’emozione dell’attesa. Non posso scaricare un'altra puntata di quel programma.
Ecco perché ad una SERIE TV
preferisco... le TV SERIE.
E in mancanza di queste, la mia libreria e il mio
Kindle sapranno darmi le emozioni «con nuova e crescente ammirazione e soggezione e occupare
persistentemente il mio pensiero»!
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