domenica 14 gennaio 2018

SERIE TV O TV SERIE?

Quando uscite a cena con amici provate a mettere il cronometro per verificare dopo quanti minuti si inizia a parlare delle “serie tv”. 
Tutto ruota attorno ad esse. 
Puoi anche non farti il risvoltino, puoi anche non avere l’«iPhoneX» ma guai non sei abbonato a Netflix, non sei nessuno. 
Ti guarderanno con un’espressione da Farinata degli Uberti, tra il conato emetico imminente e sprezzo da prince George. 
Vi sentirete come se vi foste seduti in una tavolata di scienziati esperti nella teoria Wegeneriana della deriva dei continenti.
Ebbene sì, sappiatelo, è arrivato il momento di farVi un’imbarazzante confessione: io non sopporto le serie tv. 
Sia chiaro, ci ho provato. Non le sopporto. 
C’è chi ad esempio non sopporta i boxer? 
Bene, io non sopporto le serie tv. 

«Devi provare!!» risponderanno in coro mentre ti sentirai come la particella di sodio di un’acqua oligominerale
Per essere davvero “up-to-date” devi esserti sciroppato tutta la serie “The Crown”.
Inutile tentare di far notare di essere già un esperto di monarchie europee. 
Devi conoscere anche i dettagli di quella serie, se possibile anche versione “director's cut”. O ti sentirai escluso per tutta la serata da un entusiasmo così contagioso.
A questo punto come ho già rivelato, ci ho tentato.

Il percorso iniziatico fu su SkyAtlantic con “1992” la serie tv su Tangentopoli.
Ero davvero incuriosito da quella serie che, avrebbe dovuto ripercorrere in versione “docu-fiction”, fatti e avvenimenti che già conoscevo.
Ero quasi galvanizzato in attesa dell’esordio di questa serie tv. Mi ero informato sugli attori e su chi rappresentavano sulla scena, sui personaggi reali e su quelli inventati.
Emozione e adrenalina erano un cocktail per le mie vene.
Poi giunge l’assuefazione. Un po’ come accade per alcuni farmaci e per le emozioni. E devi aumentare le dosi per aver la stessa sensazione. Non ti basta un episodio.
Le serie tv sono come la droga: provocano dipendenza.

Nonostante la storia raccontata fosse già nota, capii subito, dopo qualche episodio, che  la soglia d’attenzione -inevitabilmente- calava drasticamente molto prima dei titoli di coda e la narcolessia aveva la meglio.
«Beh, conosci già la trama, Ecco perché ti annoi!» mi fu detto.
Provai con Downton Abbey.
Ma qualcosa si era spento.
E non era il televisore.
La fine della serie mi aveva lasciato addosso una sensazione sgradevole, tra il vuoto e la frustrazione per non essere riuscito a trattenerne alcun senso.
Nulla quæstio sulla sceneggiatura e sull’interpretazione.
Era come una sensazione di aver incontrato una donna per una serie di volte senza che questa relazione mi avesse lasciato dentro una sensazione che andasse oltre quell’effimero piacere temporaneo dato dal talamo.
Alcune relazioni possono restare dentro per tutta la vita.
Altre relazioni ad un certo punto finiscono così come sono iniziate. Proprio come la serie tv. Chiodo scaccia chiodo. 
Una relazione finita dà spazio ad una che inizia che riempiva il vuoto pneumatico lasciato come se da spettatore avessi pagato l’ultima rata di un mutuo acceso con l’abbonamento contratto.
È la “serialità” forse che è incompatibile con il mio personale senso del vita.
E questo infatti mi capita anche per le fiction che si protraggono per più di 4-5 episodi. 
E non parliamo poi sequel dei film.
Iniziavo a sentirmi a disagio, quasi in colpa. È tutta colpa mia, sono io il legno storto?

Conoscendo la mia bibliofilia, gli amici –con la solita espressione saccente da Farinata degli Uberti – mi rammentavano che «le serie tv erano la nuova letteratura». 
Altri tentavano di appigliarsi alla mia passione per la comunicazione creativa aggiunsero «le serie tv sono indispensabili per capire i nuovi modi di comunicare». Badate bene “indispensabili”, non utili! Indispensabili come un farmaco salvavita.

Ed io guardavo con desolazione mista a rassegnazione la mia libreria: con l’avvento della nuova letteratura, d’un tratto si era riempita di vecchi ed obsoleti volumi?

Ma c’è un dettaglio che rende le serie tv pericolosissime: come le droghe creano dipendenza.
Qualsiasi fiction su una tv (sia digitale che via cavo) è legata ad un palinsesto della rete, settimanale o quotidiano, ma c’è un numero di episodi fissi che vengono periodicamente mandati in onda finito il quale occorre attendere la prossima volta.
Le serie tv sui canali “non televisivi” offrono tutto l'intero pacchetto degli episodi e così facendo creano una fiumana di “binge-watchers” (ovvero "telespettatori seriali" che guardano diversi episodi consecutivamente di programmi televisivi senza soste,).
che scaricano episodi in massa per guardarli di seguito per serate intere. 
C’è lo shopping compulsivo? 
E c’è anche lo spettatore compulsivo che, in un crescendo di dipendenza, scarica serie dopo serie, episodi dopo episodi, intere stagioni, in una sorta di… un accanimento visuale.
Ecco la dimostrazione: creano dipendenza. 
Si inizia con un episodio, e poi basta poco per restare intere notti a lasciarsi obnubilare la mente.
Una statistica ha poi dimostrato che il “binge-watcher”tipico sarà pure un genietto digitale ma è anche semianalfabeta funzionale (per la vetusta e obsolescente letteratura). 
NO, NON CI STO!
Io preferisco guardare in tv un talk-show o uno spettacolo di musica sapendo che, per quanto lungo possa essere, avrà una fine coi titoli di coda. L’equivalente del “THE END” nei film.
Posso anche guardare un film (sebbene io ami vedere i film al cinema, mangiare la pizza in pizzeria, bere un cappuccio al bar!).
La puntata successiva del talk-show avrà altri protagonisti ed altri argomenti. E soprattutto, non si svolgerà immediatamente a ruota. Dovrò attendere una settimana o la sera successiva. L’emozione dell’attesa. Non posso scaricare un'altra puntata di quel programma. 
Ecco perché ad una SERIE TV preferisco... le TV SERIE
E in mancanza di queste, la mia libreria e il mio Kindle sapranno darmi le emozioni «con nuova e crescente ammirazione e soggezione e occupare persistentemente il mio pensiero»!


Nessun commento: