lunedì 1 luglio 2024

«SEMEL IN ANNO LICET INSANIRE» ...E VALE ANCHE PER GLI SCIENZIATI!

 




C’è una rivista bimestrale americana che ha pensato di pubblicare le ricerche più strampalate, improbabili. Il nome della rivista è «The Annals of Improbable Research» ovvero l’annuario delle ricerche improbabili. L’acronimo poi è decisamente illuminante: AIR ovvero aria. Aria fresca o fritta?
I curatori di tale rivista sono tutti professori universitari serissimi ma con una grande voglia di divertirsi! Quaranta studiosi di discipline scientifiche, mediche, tecniche compresi otto premi Nobel (e tra essi – ci tengono a farlo sapere! – anche un ex carcerato!). Gli studi riportati sono tutti autentici, editi da numerose testate scientifiche in tutto il mondo e ci dimostra che la scienza non è sempre così fredda e asettica come ci viene presentata con eminenti scienziati austeri con i loro camici bianchi appena stirati. Quindi il broccardo latino «semel in anno licet insanire» (una volta all’anno è lecito folleggiare) vale anche per gli scienziati.
Un articolo di qualche anno fa analizzò il quadro più famoso del mondo: Monna Lisa di Leonardo da Vinci. Nell’articolo “Monna Lisa: l’enigma del sorriso” pubblicato sulla rivista “Journal of Forensic Science”, l’autore Joseph Borkowsky, avanza una congettura davvero originale sul dipinto di Leonardo da Vinci il cui sorriso enigmatico ha stimolato la fantasia di molti: la Monna Lisa ha la classica espressione delle persone che evitano di sorridere perché sprovviste dei denti davanti.  «Analizzando bene le labbra da vicino si scopre una ferita che somiglia a quelle create con l’uso della forza bruta. E l’analisi della zona periorale confermerebbe che i denti incisivi sono saltati»
Gli argomenti sono vari: un altro articolo ha il titolo «Ricerca sui gabinetti delle istituzioni ospedaliere» di A. F. Travééers ed E. Burns cita una ricerca pubblicata su “British Medical Journal”; un altro tratta della «Prevenzione della caduta dei capelli nei topi» a cura di Kevin Ward pubblicata sull’autorevole rivista scientifica “Nature”; o il saggio «Quanto incide il peso delle galline sulle uova durante la cova» edito da “Experientia”. 
Ogni saggio è ovviamente supportato da tabelle, grafici, istogrammi, note a piè di pagina e accurate bibliografie per confermare quegli studi!
Ma il “Journal of Forensic Science” è davvero una miniera d’ora per queste ricerche. “A.I.R.” segnala una ricerca dal titolo «Fatalità dovute all’autoerotismo con attrezzi che creano il vuoto pneumatico» e sempre sullo stesso tema «Effetti dello sperma ingoiato sulla fertilità dei ratti» di R. A. Allardyce (Journal of Experimental Medicine).
Poi gli studiosi Jonathan Haidt, Sylvia Helena Koller e Maria Dias si chiedono «Affetto, cultura, moralità. Ovvero è sbagliato mangiare il proprio cane?» pubblicato su “Journal of Personality and Social Psicology”.
La ricerca si articola in tre dettagliati capitoli: Cane; Pollo; La storia delle caramelle. 
Nel primo capitolo un cane viene ucciso da un’auto che passa di fronte alla casa dei padroni. La padroncina sente una frenata, si affaccia e vede il povero cane esanime sull’asfalto. La signora ricorda che in TV sentì che la carne di cane è deliziosa e che in alcune zone del pianeta la mangiano e …ha un’idea (visto che il loro amato cagnolino è passato a miglior vita). Porta il corpo senza vita dell’animale a casa, lo seziona, lo cucina e lo porta a tavola e lo mangia a cena.
Nel secondo capitolo un uomo va al supermarket una volta alla settimana ed ogni volta acquista un pollo. Ogni volta prima di cucinarlo ha un rapporto sessuale con il pollo e poi… lo cucina e lo mangia.
Nel terzo capitolo infine un ragazzino adolescente divora caramelle fino a non poterne più finché va in bagno a vomitare. Poi torna in camera e …continua a mangiare altre caramelle. Non è dato sapere in conclusione cosa gli studiosi Jonathan Haidt, Sylvia Helena Koller e Maria Dias volessero dimostrare.
Tra le pagine del periodico bimestrale “Air” troviamo anche una pubblicità ribattezzata «Fragranza terminale» intitolata in origine «Non odora affatto come un obitorio» pubblicato sul “Consulting Engeneer”. «Ecco cosa dice la gente oggi: – leggiamo nell’annuncio – non c’è dubbio che il tanfo proveniente dalle autopsie e corpi decomposti sia un problema serio in ogni laboratorio di Medicina Legale. Eppure il “Cosatron Air Purification System riesce non solo a bloccare e soffocare questi odori ma riduce elettronicamente la sporcizia e i costi di pulizia”».
Ma i temi truculenti non finiscono qui. Il “Journal of Forensic Science” ci riferisce di uno studio (scientifico ovviamente) sul «dissotterramento da pavimentazioni asfaltate con l’ausilio di attrezzi pesanti per la riesumazione dei cadaveri» dove illuminante è la frase “nella nostra prova la sega circolare ha potuto essere immersa in un liquido detergente dopo l’uso ma non siamo riusciti a disinfettarla. In poche parole l’attrezzo – assai costoso – non è risultato facilmente pulibile dopo essere entrato a contatto con fluidi putridi e marcescenti. La conclusione sbalorditiva è stata che hanno preferito affittare l’attrezzatura e poi riportarla tranquillamente al negozio».
Sempre in tema di horror-scienza, ecco la ricerca «come usare pazienti appena deceduti per insegnare e praticare le tecniche di intubazione» a cura di George Kennotti e Maxwell Mehlmann pubblicato su “The New England Journal of Medicine” in cui possiamo continuare a leggere per spiegare meglio tale esperimento «la pratica dell’intubazione viene fatta in modo che non comporti rischi particolari per il corpo della persona deceduta».
La menzione d’onore però spetta con orgoglio tricolore a due scienziati italiani d.o.c. che “Air” non si è fatta sfuggire: Fabrizio Schifano e Guido Magni sul “Biological Psychiatry” hanno pubblicato una studio dal titolo «Abuso dell’ecstasy: caratteristiche psicopatologiche e brama impellente di assumere cioccolato». “Questa ricerca – viene illustrato nell’articolo con la dovuta dovizie di schemi e dati – analizza i comportamenti di alcuni soggetti, consumatori abituali di cioccolato in relazione all’aver assunto l’anfetamina allucinogena meglio nota come «ecstasy»”.
Tutti questi casi riportati sono tutti relativi a ricerche scientifiche, ma la vera forza di “A.I.R.” la troviamo nel sapere mischiare sapientemente veri e propri studi scientifici con altri studi un po’ meno credibili scientificamente ma perfettamente redatti con un linguaggio, una supponenza e un supporto terminologico scientificamente verosimile. In poche parole la redazione di “A.I.R.” ha inventato la supercazzola scientifica.
Ecco alcuni casi: «Gli effetti palliativi dell’osculazione nella prognosi delle ferite pediatriche»; «Il valore dell’amore usando come modello Bob Dylan»; «Il supporto della matematica nell’ambito della memorizzazione dei numeri di telefono» dove viene analizzata la possibilità di poter addizionare, sottrarre o moltiplicare i numeri presenti nell’elenco dei telefoni (ormai in disuso ma la ricerca risale a qualche decennio fa) combinandoli con il prefisso.
Passiamo poi al «Paradosso del paradigma»; «L’interpretazione quantistica del quoziente di intelligenza»; «Combinazione tra i tornado e le roulotte»; «Book review della guida telefonica di Nairobi»; «Comparazione spettrografica delle arance con le mele»; «Relazioni evoluzionistiche nel sapore dei formaggi in base alla loro densità»; «Come influiscono le nanotecnologie nei limiti fisici della tostabilità delle fette di pan carré»; «Studio del comportamento dei dinosauri in rapporto alla visione di film popolari»; «Capacità del picchio di incidere sul una superficie di celluloide»; «Variazioni acicliche della crescita dell’erba»;  «Il comportamento dei conigli che per strada tendono a bloccarsi davanti all’auto saltellando» e non poteva mancare una ricerca scientifica i cui esiti attendevamo fin da bambini «Gli effetti terapeutici del bacio della mamma sulla ferita di un bambino».
 

Ma un premio per la ricerca più interessante per eccellenza è quello per trovare una soluzione atavica al problema del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Tim Stoughton, professore a South Sioux City (Nebraska) dopo varie premesse è arrivato alla conclusione che “pieno” e “vuoto” sono aggettivi relativi ai verbi “riempire” e “vuotare”. Per cui se prendo un bicchiere e verso del liquido fino alla metà del suo contenuto sarà “mezzo pieno”. Poi se lo riempio fino all’orlo e ne sottraggo metà del contenuto il bicchiere sarà “mezzo vuoto”. Tutto supportato da due foto di bicchieri perfettamente uguali con metà del loro contenuto con la didascalia “bicchiere mezzo pieno a destra e bicchiere mezzo vuoto a sinistra”.
Ma poiché i redattori di “A.I.R.” sono dei burloni il numero successivo alla pubblicazione dello studio era riportata una nota: «Ci scusiamo con i nostri lettori ma per un disguido tecnico nella didascalia il bicchiere mezzo pieno è quello a sinistra mentre il bicchiere mezzo vuoto è a destra”.

giovedì 20 giugno 2024

LA PERFEZIONE DELL'IMPERFEZIONE


Tra le tracce scelte per l’esame di maturità 2024, il tema di attualità (tipologia C) proponeva un brano di “Elogio dell’imperfezione” di Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986. «La perfezione non appartiene all’uomo e mai gli apparterrà. Ed è giusto così. Allora perché tanti si affannano, tentano in ogni modo possibile di adeguarsi a un modello? – si domanda la professoressa Levi Montalcini – e poi si chiede perché, semplicemente, ognuno di noi non si limita a lavorare sulle proprie caratteristiche, sui propri punti di forza? Tutti noi ne abbiamo, forse basterebbe solo fermarci e conoscerci».
E leggendo questa traccia ho avuto un sussulto di orgoglio. Infatti qualche tempo fa ho scritto una mia riflessione intitolata «La perfezione dell’imperfezione». Peccato che io l’esame di maturità l’ho sostenuto quarant’anni fa.
Nella mia riflessione contenuta insieme a tante altre in un libro intitolato «scrivo come mangio»
(L’Universale, 2024) evoco un aneddoto citato da Vittorio Buttafava che mi ha sempre colpito e che ritengo che possa darci un quadro davvero chiaro ed esaustivo della nostra società (...sempre più alla deriva).
«Un professore sale in cattedra e, prima di iniziare la lezione, toglie fuori dalla sua cartella un grande foglio bianco con una piccola macchia d’inchiostro. Poi rivolto agli studenti, domanda: “Che cosa vedete qui?”.
“Una macchia d'inchiostro”, rispondono quasi tutti in coro.
“Ecco!”, continua il professore, “Così sono gli uomini: vedono soltanto le macchie, anche le più piccole e non il grande e stupendo foglio bianco che è la vita”».
Buttafava inquadrò profeticamente ed in modo eccellente la malattia che affligge il nostro mondo. Ci concentriamo a cercare sempre il pelo nell’uovo, a voler fare le pulci a tutto, alle persone, alle azioni, alle cose, come nel “Trova l’errore” nella Settimana Enigmistica! Ci fossilizziamo solo sulle piccole sbavature di inchiostro, ci roviniamo la giornata in una ricerca affannosa dei difetti tralasciando invece di soffermarsi sull’aspetto globale di «quel grande e stupendo foglio bianco che è la vita».
 
La mia riflessione continua con un altro esempio.
Un’insegnante scrive alla lavagna la tabellina del 7.
7x1=7
7x2=14
7x3=21
7x4=26
7x5=35
7x6=42
7x7=49
7x8=56
7x9=63
7x10=70
Tutti gli alunni sogghignano sotto i baffi (che ancora non hanno!) e si danno gomitate. «Pazzesco, la prof. non sa la tabellina del 7. Che vergogna! E vorrebbe anche insegnarcela a noi!».
L’insegnante attende un po’, li lascia divertire e poi dice «io so bene che 7x4 fa 28. Ma ho scritto 26 appositamente perché voglio che voi impariate una lezione importante che vi servirà nella vita. Io ho scritto 9 risultati corretti su 10 e nessuno mi ha fatto i complimenti e mi ha detto “brava!”. Tutti però avete notato l’unico errore compiuto: quel 7x4=26. Ecco l’insegnamento che voglio darvi. Il mondo si concentrerà solo sul criticare l’unica cosa sbagliata che avete fatto. Vi attenderà al varco stizzosamente per farvela pagare. E non aspettatevi mai i complimenti per le migliaia di cose giuste che avrete compiuto! Resterà impressa nella memoria collettiva quell’unico passo falso compiuto!».
Ecco quindi due lezioncine per chi vorrà riflettere!
Siamo (anzi… se permettete, sono!) diventati tutti acidi, cinici, velenosi e sarcastici, sempre meno capaci di “saper godere ed apprezzare” anche le imperfezioni di ciò che ci circondano. La vita è fantastica perché è piena di cose imperfette.
Poi prendo spunto dal “Wabi-Sabi” è un termine giapponese per indicare una visione estetica del mondo. Letteralmente potremmo tradurlo con “la bellezza dell’imperfezione”. È riferito sia ad elementi naturali che a quelli che hanno un carattere incompleto o impermanente. Anziché cercare la simmetria perfetta, si cerca di apprezzare l’asimmetria, la semplicità e la naturalezza.
Applicato alla vita quotidiana, questo concetto giapponese, ci incoraggia a cercare la bellezza nelle imperfezioni della vita, accettando tranquillamente il ciclo naturale di crescita e decadimento umano, accettando le nostre “crepe”, che sono quelle che ci rendono unici e dimostrano ciò che abbiamo vissuto.
Il concetto di Wabi-Sabi ha impregnato così tanto la mentalità giapponese da esprimersi attraverso diversi canali, tra cui l’arte del “kintsugi”. Quando i pezzi di ceramica di un certo valore si screpolano o si rompono invece di cercare di nascondere le “imperfezioni”, l’artigiano giapponese le riempie con una lacca dorata in contrasto. In questo modo il difetto non solo non viene camuffato e nascosto ma addirittura evidenziato come espressione della storia unica dell’oggetto che perdura, sebbene non integro, come fosse un segno della sua bellezza imperfetta.
Per me tutto questo è straordinario! Alla base di tutto questo c’è l’antica cultura del Giappone per la tradizione da perpetuare nel tempo che dev’essere tramandata e rinnovata. Si tratta di porre l’attenzione proprio su quelle crepe, evidenziandole ed utilizzandole come elementi che aggiungono valore all’oggetto anziché considerarle difetti da nascondere di cui vergognarsi. Aggiustato ma sempre utile.
La nostra società occidentale – purtroppo – è indirizzata esattamente verso la direzione opposta, tendiamo maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza e dalla fredda perfezione. E come diretto corollario il consumismo compulsivo ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto ed integro: del piatto sbeccato, del pullover smagliato, del paio di scarpe da risuolare (salvo poi acquistare jeans o T-shirt già strappati!). O più semplicemente qualcosa di cui ti sei stufato: quando non li usi più, li getti via!
C’è una splendida campagna di comunicazione della gloriosa penna BIC dove si vedono tre penne rimaste sempre uguali nel design dal 1955 in poi. Il payoff è chiaro: «non provare a cambiare qualcosa finché non smette di funzionare».
Un altro esempio viene dalla Francia dove è stato introdotto «bonus réparation» che potremmo tradurre con «bonus rammendo» e consiste in un contributo per riparare quella giacca che avevamo lasciato nell’armadio da anni o un giubbotto o un paio di scarpe. È la migliore risposta alla nuova tendenza del “usa e dai via” suggerita da tante app che conosciamo bene.
Il discorso non cambia per le nostre case. Ci viviamo benissimo? Chi se ne frega: devi fare il cappotto, devi cambiare termosifoni, devi rifare gli infissi, devi mettere le pompe di calore…
Al diktat dell’efficienza non ci si può opporre, pena l’accusa di essere i veri colpevoli dello stato di salute del nostro pianeta. Una società che avesse davvero a cuore i propri componenti, elaborerebbe premi incentivanti con forti agevolazioni per coloro che mantengono un’auto per almeno 15 anni, per coloro che aggiustano il tetto soltanto quando appaiono le prime crepe o c’è un’infiltrazione, quando non cambiano il termosifone finché si sta al calduccio perché quelle persone stanno dimostrando di saper gestire i propri denari. Il mondo potrà pur essere razionale nei suoi effetti ma mettiamoci la testa in pace che noi – come ci conferma la prof.ssa Levi Montalcini, siamo esseri “imperfetti” e non riusciamo ad analizzare asetticamente quello che ci circonda, esseri legati alle intuizioni, ai sentimenti, agli istinti e alla memoria storica. Piuttosto che cercare un’immaginaria ed irraggiungibile perfezione programmando al millimetro tutti i possibili eventi del mondo che ci circonda dovremmo accettare noi stessi proprio perché imperfetti e riempire le nostre crepe con vernice dorata. Dovremmo ammettere quanto siamo fallibili, fragili ed incoerenti e andarne fieri. E non c’è nulla di male nell’esserlo: siamo unici in quanto unicamente imperfetti. Infine non dovremmo dimenticarci mai che l’Universo, per chi non lo sapesse, è nato dal Caos.

martedì 16 aprile 2024

Le case green e la saggezza del kintsugi!

 


L’Europa si ostina a imporci di avere una casa a emissioni zero entro il 2050. E ciò significa per ogni italiano una spesa che oscilla tra i 35mila e i 60mila euro!
Chi se ne frega se ancora ci vive benissimo: devi fare il cappotto, devi cambiare termosifoni, devi rifare gli infissi, devi mettere le pompe di calore… anzi no, devi sostituirle.
E nel caso poi decidesse di non obbedire, c’è sempre un ricatto sotto forma di una bella tassa per la classe energetica non adeguata e l’accusa di essere i veri colpevoli dello stato di salute del nostro pianeta.
Zitto e paga (o per nuovi acquisti o per le imposte ma devi pagare!).
«Lo devi fare per la salute del pianeta» ci dicono. Ovvero come quando alcuni genitori dicono ai figli «lo faccio per il tuo bene».
La nostra società occidentale tende maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza e della perfezione. E come diretto corollario il consumismo compulsivo ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto ed integro dal piatto sbeccato, dal pullover smagliato, del paio di scarpe da risuolare (salvo poi acquistare jeans o T-shirt già strappati!). O più semplicemente qualcosa di cui ti sei stufato: quando non li usi più, li getti via!
Poi arriva anche il metodo ancora più subdolo dell’“obsolescenza programmata” ovvero quella strategia commerciale decisamente scorretta e disonesta, per accorciare “artificialmente” il ciclo di vita naturale dei rispettivi prodotti, mantenendo alta la domanda e, di conseguenza, gli acquisti di nuovi modelli.
Fino a qualche tempo fa quando una lavatrice, una lavastoviglie, una aspirapolvere si ribellava e non funzionava più, si chiamava il tecnico e sostituiva il pezzo. Ora il tecnico, ci informa che non si può più aggiustare e, con una pacca sulla spalla, ci dice: «guardi… se lo acquista nuovo spenderà meno della sostituzione del pezzo!».
E le auto? Le normative ambientali europee ci obbligano a cambiare la nostra auto che abbiamo da dieci anni ma che ancora cammina perché su di essa grava la colpa dell’allargamento del buco dell’ozono. E chi se ne frega se – seppur con qualche scricchiolio – funziona ancora perfettamente!
 

C’è una splendida campagna di comunicazione della gloriosa penna BIC dove c’erano tre penne sempre uguali negli anni dal 1955 in poi. Il payoff era chiaro: «non provare a cambiare qualcosa finché non smette di funzionare».
 




In Francia da qualche anno è stato introdotto «bonus réparation» che potremmo tradurre con «bonus rammendo». È l'ultima iniziativa messa in campo dal ministro francese per l'Ecologia Bérangère Couillard per contrastare gli sprechi e consiste in un contributo che può variare dai 6 ai 25 euro presso alcuni laboratori di sartoria o calzoleria convenzionati per riparare quella giacca che avevamo lasciato nell’armadio da anni per rifocillare le tarme e i pesciolini d’argento (ovvero Lepisma saccharina) o un giubbotto o un paio di scarpe.
E cosa c'è di più romantico (e soprattutto sostenibile) del ridare vita ai propri abiti? Oltre evitare gli sprechi si sosterrebbero anche le piccole botteghe sartoriali. È la migliore risposta alla nuova tendenza del “usa e dai via” creata da tante app che conosciamo bene.
 

Dovremmo prendere esempio dall’antica cultura del Giappone del “kintsugi”. Quando i pezzi di ceramica di un certo valore si screpolano o si rompono invece di cercare di nascondere le “imperfezioni”, le riempiono con una lacca dorata in contrasto. Il difetto non solo non viene camuffato e nascosto ma addirittura evidenziato come espressione della lunga storia unica dell’oggetto che perdura, sebbene non integro, segno della sua bellezza imperfetta. Per me tutto questo è straordinario!
 
Io penso che una società che avesse davvero a cuore i propri componenti, elaborerebbe premi incentivanti con forti agevolazioni per coloro che mantengono un’auto per almeno 15 anni, coloro che aggiustano il tetto soltanto quando appaiono le prime crepe o c’è un’infiltrazione, quando non cambiano il termosifone finché si sta al calduccio. Perché quelle persone stanno dimostrando di saper gestire i propri denari!!
 
E ciò che è ancora più triste e questa tendenza si applica anche per le persone. Anziché trovare un compromesso ci si lascia ancor prima della crisi del settimo anno. E non parliamo poi dei genitori che ci hanno dato la vita: quando non sono più efficienti, c’è un RSA ad accoglierle.
Era il 1991 quando il grandissimo Renato Zero sul palcoscenico di Sanremo cantò “Spalle al muro” e gridava «Vecchio! Diranno che sei vecchio! Con tutta quella forza che c’è in te […] Vecchio sì, quando non è finita, hai ancora tanta vita e tu lo sai che c’è! Con quello che hai da dire, non vali quattro lire, dovresti già morire…». Le parole erano di Mariella Nava ma la sua interpretazione era davvero toccante.
Almeno per chi – per citare ancora Zero - «frugando nella sua giacca scopre che dietro il portafogli ancora un cuore c’è». Vabbè.
E io non posso non ricordare che anche in questi casi, la nemesi è là dietro, in agguato, paziente. Perché la nemesi non ha fretta. Attende calma e mite. Ma al momento giusto arriverà. E quando arriverà è troppo tardi per porvi rimedio e trovare una soluzione

lunedì 15 aprile 2024

13 aprile 2013


Quel 13 aprile 2013 era un sabato come quest’anno.
Era un normalissimo sabato come tanti sabato prodromici al dì di festa.
Mi alzai e iniziai a prepararmi il mio solito cappuccino e il croissant per fare la colazione. Predisposi tutto sulla tovaglietta all’americana, mi accomodai a tavola e, tra uno sbadiglio e l’altro, iniziai a sorseggiare il cappuccino. Immediatamente notai che dal lato sinistro della bocca mi era colato addosso sulla T-shirt il latte che avevo appena iniziato a bere.
«Mmmh! Sono ancora mezzo addormentato» mi dissi. Bevvi ancora un altro sorso di latte e notai che mi colava ancora il latte dalla bocca.
Andai davanti ad uno specchio e ammutolii sbigottito: la parte sinistra del mio viso era come di plastica, piallata, completamente inespressiva. Non potevo inarcare le sopracciglia. O meglio riuscivo ad incarcare normalmente il sopracciglio destro ma quello sinistro restava completamente immobile. Come se fosse in un’altra faccia! Non riuscivo a chiudere completamente l’occhio sinistro che restava sbarrato (ho imparato poi che in termini medici si chiama “lagoftalmo”).
Contattai immediatamente il dott. Tonino Demurtas, un eccellente neurologo che già conoscevo in qualità di marito di una cara amica. Mi ricevette tempestivamente nel suo studio e fece immediatamente la diagnosi: «PARALISI FACCIALE IDIOPATICA UNILATERALE DEL VII NERVO CRANICO» meglio conosciuta come “PARESI DI BELL”. Ma di “Bell” non c’era proprio nulla!
È una forma di paralisi facciale unilaterale che provoca l'incapacità di controllare i muscoli del viso dal lato colpito, nel mio caso il sinistro (…questo evento mi diede l’ennesima conferma che le sciagure spesso provengano dalla sinistra)!
Lo specialista mi spiegò è identificata come “idiopatica”, termine medico usato per designare quei processi patologici che si instaurano senza un’evidente causa nota o dimostrabile. Ovvero è accaduta per caso. Senza motivo! Caddi nel panico più assoluto. Era difficile fare anche cose più banali che facciamo quotidianamente come mangiare o bere in quanto impossibilitato a controllare i movimenti delle labbra e della lingua.
Nella parte sinistra del viso era scomparso qualsiasi segno di espressione.
Poiché sono stato sempre curioso, iniziai a informarmi su questo malanno che mi era successo e venni a sapere che il settimo nervo cranico controlla una serie di funzioni, come l'apertura e la chiusura degli occhi, il sorridere, l'accigliarsi, la lacrimazione, la salivazione, l'innalzamento delle sopracciglia e l'alitamento delle narici (il movimento laterale di apertura e chiusura).
Non solo: coinvolge anche i muscoli stapedi (muscoli stabilizzatori dei movimenti della staffa) nell'orecchio medio che veicolano le sensazioni del gusto provenienti dai due terzi anteriori della lingua. Senza contare che il famigerato VII nervo cranico controlla anche i movimenti della lingua e quindi avevo difficoltà ad emettere alcuni fonemi come ad esempio le parole contenenti la lettera “P” o la “F” che richiedono una padronanza del movimento delle labbra.
La fronte era priva di rughe d’espressione! Era come se mi fossi “fatto il botox” ma solo nella parte sinistra del viso.
Ho avuto però la grande fortuna di poter contare su alcuni cari amici medici specialisti!
Oltre il dott. Demurtas, ricordo la dott.ssa Laura De Luca, specializzata in otorinolaringoiatria, che mi consigliò di sottopormi subito ad una visita specialistica poiché – come in realtà era accaduto – questo tipo di paresi poteva causare qualche problema di ipoacusia ovvero un abbassamento della percezione sensoriale dell’udito.
E poi la dott.ssa Adele Pes, eccellente medico oculista, nonché una mia carissima amica, che mi suggerì di proteggere l’occhio sinistro che – restando spalancato – era esposto ad eventuali contatti con corpi esterni. Scoprii che l'incompleta chiusura della rima palpebrale lasciava parte della cornea e della congiuntiva scoperte e quindi esposte all'azione degli agenti esterni. Ciò poteva favorire varie conseguenze, quali congiuntivite, cheratite ed abrasioni corneali.
Occorreva proteggere l’occhio anche dal rischio di una eccessiva secchezza che avrebbe potuto danneggiare la cornea in modo permanente. Infatti anche il riflesso involontario del battito delle ciglia risente di tale paresi e bisognava fare attenzione quindi a proteggere l'occhio da un eventuale infortunio.
Nonostante questo problema che sconvolse le mie giornate, non mi scoraggiai! A quel tempo curavo una rassegna stampa online per una associazione nazionale, e continuai a fare quel lavoro sebbene con un occhio bendato per motivi di igiene oculare fosse tutto molto più problematico! The life must go on!
Il problema era la notte. L’occhio restava socchiuso e poteva essere esposto a frizioni con la federa del cuscino e movimenti involontari della mano durante il sonno.
Ma se da un lato avevo trovato qualche amico disponibile e sensibile, c’è stato anche qualcuno che ha manifestato tutta la sua evidente e superficiale insensibilità. Ricordo che proprio la sera di quel 13.04.13 – come spesso facevo il sabato – andai alla Santa Messa con mia madre. Al termine del rito mi avvicinai al frate che aveva appena celebrato, sperando di trovare una qualche parola di conforto per ciò che mi era successo. Quel frate – che mi conosceva abbastanza bene – mi squadrò in viso e dopo mi disse «e che è quel mezzo sorriso storto e sghembo che hai!». Io raggelai. Non seppi cosa rispondere! Un caro amico che era di fianco a me gli spiegò ciò che avevo avuto. La risposta del frate fu un semplice «Hmm!!».
La ripresa dai postumi di tale paresi non fu affatto semplice. Il mio neurologo – per non creare allarmismo – non volle esprimersi sull’eventualità di poter riacquistare totalmente la padronanza dei movimenti facciali. Tanto meno indicare un periodo necessario per riacquistare pienamente tali facoltà.
Nell’85% dei casi si notano i primi segni di ripresa entro tre settimane dall'esordio. Ma non fu il mio caso. Passò qualche mese e il neurologo considerando che era arrivata la bella stagione, mi consigliò di andare a rilassarmi nella mia casa al mare a Stintino dove – complice il relax, il mare e un po’ di serenità – iniziai pian piano a riuscire a muovere la bocca, inarcare le sopracciglia, corrugare la fronte.
Ma c’è un però! Durante la rigenerazione i nervi sono in grado – in genere – di tracciare il percorso originale verso il corretto territorio interessato, ma alcuni nervi possono deviare dal corretto percorso preesistente, portando a una condizione nota come “sincinesia”. Ad esempio, la ricrescita dei nervi che controllano i muscoli collegati all'occhio potrebbe fare una deviazione e ricollegarsi alle connessioni che raggiungono i muscoli della bocca. In questo modo, il movimento di un distretto influenza anche l'altro. Ecco che, per esempio, quando si chiude l'occhio, l'angolo della bocca si può muovere involontariamente verso l'alto. Capita quindi che sorridendo davanti a qualcuno, si possa avere l’impressione che gli stia facendo l’occhiolino.
Capite bene che tutto ciò può creare spesso dei qui-pro-quo un po’ imbarazzanti. E non parliamo della «sindrome di Bogorad» detta “sindrome delle lacrime di coccodrillo”: in pratica a causa di una difettosa rigenerazione del nervo facciale, il ramo che controlla le ghiandole lacrimali e salivari si intercambiano le funzioni, quando si mangia si ha quindi il riflesso della lacrimazione oltre a quello della salivazione. Quindi se mentre mangio, notate che ho gli occhi lucidi, sappiate bene che non sono commosso per ciò che sto mangiando!
Mi è stato spiegato (ma solo dopo essermi ripreso!) di aver riacquistato circa il 70% della gestione dei movimenti facciali e che – tenuto conto del grado acuto della mia paresi facciale – devo anche considerarmi fortunato in quanto la percentuale di riacquisizione dei movimenti originari in una paresi grave (e la mia lo era!!) è decisamente bassa.
Ecco perché quel 13 aprile 2013 non potrò levarmelo più dalla mente. Evito poi di tirare in ballo la scaramanzia e la cabala ma la presenza di tutti quei “13” nella data non è certo molto esaltante. È vero che era un sabato 13 e non un venerdì, ma nella Cabala ebraica gli spiriti maligni sono tredici, questo numero si associa anche con il montone che Abramo sacrificò a Dio invece del figlio Isacco, ed è per estensione un numero di sciagura. Nel cristianesimo poi tredici erano i convitati all'Ultima Cena; pare che Gesù sia stato crocifisso un venerdì 13 e, infine, nel libro dell'Apocalisse, l'Anticristo appare nel tredicesimo capitolo. Ma io non sono superstizioso!
In Giappone e in Cina poi è il numero quattro a portare sfortuna, visto che la sua pronuncia originale è shi, un termine impiegato anche per indicare la catastrofe.
E – che combinazione! – il mese aprile è proprio il quarto mese!
Sommando 13+4 (giorno più mese) fa 17 e chiudiamo il cerchio! Ma io non sono superstizioso! Semmai tutto ciò mi conferma la veridicità della frase di Friedrich Nietzsche che era ed è sempre il mio motto: «ciò che non ti uccide, ti renderà più forte!».


domenica 12 novembre 2023

L'idea geniale del "bonus rammendo"


In Francia si chiama «bonus réparation» che potremmo tradurre con «bonus rammendo». È l'ultima iniziativa messa in campo dalla ministro francese per l'Ecologia Bérangère Couillard per contrastare gli sprechi e consiste in un contributo che può variare dai 6 ai 25 euro presso alcuni laboratori di sartoria o calzoleria convenzionati per riparare quella giacca che avevamo lasciato nell’armadio da anni per rifocillare le tarme e i pesciolini d’argento (ovvero Lepisma saccharina) o un giubbotto o un paio di scarpe. E cosa c'è di più romantico (e soprattutto sostenibile) del ridare vita ai propri abiti? Oltre evitare gli sprechi si sosterrebbero anche le piccole botteghe sartoriali. È la migliore risposta alla nuova tendenza del “usa e dai via” creata da tante app che conosciamo bene.

Ma questa idea si fonda sulla saggezza dall’arte giapponese del “kintsugi”: quando i pezzi di ceramica di un certo valore si screpolano o si rompono invece di cercare di nascondere le “imperfezioni”, l’artigiano giapponese le riempie con una lacca dorata in contrasto. Il difetto non solo non viene camuffato e nascosto ma addirittura evidenziato come espressione dell’oggetto che perdura, sebbene non integro, come fosse un segno della sua bellezza imperfetta. La nostra società occidentale – purtroppo – è indirizzata esattamente verso la direzione opposta, tendiamo maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza. E poi si aggiunge anche il consumismo compulsivo che ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto dal piatto sbeccato, al pullover smagliato, al paio di scarpe da risuolare (…salvo poi acquistare jeans o T-shirt già strappate!). O più semplicemente qualcosa di cui ci siamo stufati dopo poco tempo: non li usi più? Mettili sull’app ci consiglia uno spot”!

Il discorso non cambia per le nostre case. Ci viviamo benissimo? Chi se ne frega: devi fare il cappotto, devi cambiare termosifoni, devi rifare gli infissi, devi mettere le pompe di calore… La chiamano efficientamento energetico. E vorrebbero anche farci credere che tutto ciò avverrà gratuitamente! Una società che avesse davvero a cuore i propri componenti, elaborerebbe invece dei premi incentivanti con forti agevolazioni economiche per coloro che dimostrino di saper mantenere un’auto a lungo tempo, che aggiustano il tetto di casa soltanto quando appaiono le prime crepe o cambiano gli infissi quando c’è un’infiltrazione, quando finché si sta al calduccio non cambiano il termosifone perché quelle persone stanno dimostrando di saper gestire i propri denari, anziché sprecare le proprie risorse approfittando degli specchietti per le allodole che gravano su tutti gli italiani. E ciò che è ancora più triste e questa tendenza si applica anche per le persone. Ecco perché le coppie scoppiano: anziché trovare un compromesso ci si lascia ancor prima della crisi del settimo anno. E non parliamo poi dei genitori che ci hanno dato la vita: quando non sono più efficienti, c’è un RSA ad accoglierle. 
Era il 1991 quando il grandissimo Renato Zero sul palcoscenico di Sanremo cantò “Spalle al muro” e gridava «Vecchio! Diranno che sei vecchio! Con tutta quella forza che c’è in te […] Vecchio sì, quando non è finita, hai ancora tanta vita e tu lo sai che c’è! Con quello che hai da dire, non vali quattro lire, dovresti già morire…». Le parole erano di Mariella Nava ma la sua interpretazione era davvero toccante. Almeno per chi – per citare ancora Zero - «frugando nella sua giacca scopre che dietro il portafogli ancora un cuore c’è». Vabbè.
E io non posso non ricordare che anche in questi casi, la nemesi è là dietro, in agguato, paziente. Perché la nemesi non ha fretta. Attende calma e mite. Ma al momento giusto arriverà. E quando arriverà è troppo tardi per porvi rimedio e trovare una soluzione


sabato 8 aprile 2023

FESTINA LENTE - OVVERO RIAPPROPRIAMOCI DELLA CALMA




Oggi nella mia cassetta delle lettere ho trovato una cartolina. Ero felice quando ho scoperto che ...non era una bolletta da pagare o qualcosa del genere. Ma doppiamente felice perchè era la cartolina di una cara amica dalla splendida Toscana.
Che emozione!
Questo mi ha fatto riflettere sul crepaccio che si è creato tra generazioni nell’ambito della comunicazione e soprattutto per ciò che riguarda la trasmissione della sensibilità.
Oggi abbiamo sempre fretta, tutto dev’essere velocissimo, immediato, in tempo reale, le nuove generazioni hanno tutto su una “app” sullo smartphone. La colonna sonora delle nostre giornate sono il “plin plon” delle notifiche dei messaggi che mandiamo e riceviamo freneticamente in un modo quasi esasperante.
Abbiamo perso il gusto di assaporare il tempo, vogliamo tutto e subito perché non abbiamo paura di perdere tempo.
Oramai le cartoline non esistono più, soppiantate da un effimero quanto vano selfie. Fino a qualche decennio fa quando si andava 
n vacanza (da soli o con la propria famiglia) le cartoline patinate dei luoghi visitati con i propri saluti, ad amici e parenti erano un rito immancabile. E poco importa se quasi sempre arrivavano dopo giorni (o anche dopo settimane) quando la vacanza era finita!. Pensiamoci bene: questo rito richiedeva per tanti versi anche una certa cura: la scelta di una cartolina quanto più adatta al destinatario, talvolta ironica o più “ufficiale”, poi l’elaborazione di un messaggio che andasse oltre il banale “saluti da…”. E tutto ciò richiedeva del tempo.
Vi ricordate poi le lettere via posta tradizionale al nostro amico o alla ragazzina conosciuta in spiaggia l’estate precedente? Occorreva sederci, trovare le parole giuste, semmai riscriverle in bella copia se c’erano troppi scarabocchi.
Poi la fremente attesa della risposta e la gioia di trovare una lettera nella cassetta, aprirla e leggere una risposta. Volete mettere l’attesa della risposta contando i giorni? Come disse Gotthold Ephraim Lessing “l’attesa del piacere è anch’essa piacere”. E le cartoline e le lettere potevi conservarle e riprenderle dopo anni in mano emozionandoti…
Ora invece è meglio condividere qualche stories su Instagram dei tuoi viaggi o mandare le foto via Whatsapp ad amici e parenti! In un paio di secondi è presto fatto e al massimo riceveremo qualche “like”. Pochi secondi per inviarlo e pochi secondi per leggerlo per poi cadere nell’oblio più squallido privandoci delle nostre emozioni!
A questo proposito mi è venuta alla mente una storiella.
Un giorno un signore chiese ad un bambino di indicargli la strada migliore per raggiungere la piazza del paese dove aveva un appuntamento. Il bimbo disse «seguimi, ti accompagno!». Camminarono per oltre 20 minuti passando in molte vie del paese ed alla fine arrivarono alla piazza centrale del paese. Il signore ringraziò il bambino e si diresse all’appuntamento consapevole di arrivare in ritardo. Per puro caso poi scoprì che era possibile arrivare alla piazza in pochi minuti in un modo più diretto. Qualche giorno dopo quel signore, rincontrò il bambino che giocava nella piazza e gli chiese come mai gli avesse fatto girare mezzo paese per arrivare in piazza. Il bambino allargando le braccia rispose serafico «beh … lei mi ha chiesto la via “migliore” non quella più breve: io l’ho fatta passare nelle zone più belle per farle conoscere il mio bellissimo paese. Si ricorda? Siamo passati su quel promontorio da dove si vedeva il paese vicino, poi siamo passati davanti alla chiesa antica e poi le ho fatto vedere la statua del santo patrono che è famosa e che percorrendo la via più breve non avrebbe visto!». La morale della storia è molto semplice: siamo ossessionati dalla frenesia quotidiana che ci fa confondere ciò che è più veloce con quello che è migliore. E la fretta è la peggior nemica della qualità.
Poi vogliamo parlare di come il lessico si stia impoverendo. Siamo talmente abituati a comunicare i nostri stati d’animo per mezzo di emoji e non siamo più in grado di descriverli a parole. Non descrivendoli, quindi, non siamo nemmeno più allenati a riconoscere le emozioni e i nostri stati d’animo e neppure a saperli affrontare.
Un vero genio della comunicazione Marshall McLuhan sosteneva che “Il medium è il messaggio” vale a dire che il messaggio ed il mezzo con cui possiamo trasmetterlo sono una cosa sola, o perlomeno, si influenzano in un modo profondissimo.
Le nuove tecnologie avrebbero dovuto aiutarci a trasmettere e divulgare le emozioni e i pensieri in modo più semplice ma paradossalmente hanno invece ostacolato questa trasmissione! La televisione prima e poi internet ha dato accesso alla possibilità di raccontare le nostre storie, nei modi e tempi più vicini al nostro essere, ma pretendiamo di farlo velocemente!
 Ma dobbiamo ritornare alla domanda di tutte le domande: perché sentiamo il bisogno di raccontarci, di leggere, di guardare o ascoltare storie narrate? Credo che i racconti ci aiutino a dare senso alla nostra esperienza, ai nostri vissuti, a rileggere le nostre emozioni. Il racconto delle nostre esperienze definisce non solo chi siamo, nel senso più riflessivo e profondo, ma ha anche un’importante funzione sociale perché ci permette di comprendere e comunicare con gli altri, facilitando anche una lettura e una narrazione condivisa del mondo circostante. I racconti ci aiutano a ricordare, a riscrivere, ad esplorare il mondo, a definire valori, rileggere avvenimenti, attribuire un significato all’esperienza.
Sia chiaro che non mi sto affatto opponendo alla velocità della tecnologia (che mi permette di scrivere questa riflessione e renderla immediatamente leggibile da voi!) ma vorrei solo invitarVi a non lasciarci fagocitare dalla frenesia o dal “logorio della vita moderna” come diceva uno spot di un noto amaro… cinquant’anni fa!
Volete un esempio? Quando viaggiamo in navigatore ci porta esattamente nel punto in cui noi abbiamo programmato. Quasi fossimo un cyborg. È vero che arriviamo prima ma volete mettere il piacere di fermarsi in un paesino sperduto e chiedere «…mi scusi buon uomo, per andare a …. Questa strada è giusta?». Ci stiamo privando delle relazioni umane…?
Da bambino – questo è un altro esempio – mi regalarono un organo elettrico e seguendo i numeretti sulla tastiera abbozzavo qualche musichetta famosa. E non posso certo dire che io – che suono solo il videocitofono – sapessi suonare.
Una politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense, Hannah Arendt ci ha lasciato detto che «la narrazione rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi».
Quando scriviamo, ascoltiamo o guardiamo una storia, in qualche modo quello che ci colpisce è sempre qualcosa che ci riguarda, che parla di noi, che ci aiuta a dare significato alle nostre emozioni e vissuti, a riguardare la nostra esperienza da distante, a dare un senso e un ordine, ma non possiamo che osservarlo dal nostro punto di vista e con il nostro sguardo.
Oggi, siamo sommersi da storie, ma la vera sfida educativa è quella di insegnare a raccontare storie che ci permettono di fare vedere quella parte del mondo che ancora non conosciamo.
Ben venga quindi una mail o un WhatsApp per metterci d’accordo per incontrarci o tenerci in contatto con un amico in Nuova Zelanda, ma non perdiamo mai la gioia di esprimere i sentimenti. Con calma. Non per nulla il mio motto per eccellenza è “FESTINA LENTE” ovvero “AFFRETTATI LENTAMENTE!”

mercoledì 14 dicembre 2022

La magia del cinema


Qualche settimana fa decisi di andare al cinema per vedere lo splendido film «La stranezza». Era la prima volta che mi recavo al cinema dopo più di tre anni ed è stato davvero emozionante ritornare in una sala cinematografica. Il cinema resta sempre un’emozione unica, una forma di comunicazione assoluta, che dai fratelli Lumiere ad oggi, ha fatto sognare migliaia e migliaia di generazioni.
Complice la pandemia è infatti dilagata l’abitudine accidiosa e indolente di “scaricare” i film e guardarli in streaming sdraiati sul divano.
Ma non c’è storia: vedere un film in sala è tutta un’altra cosa.
Scaricare un film è un po' come farsi portare una pizza a casa (da qualche rider sottopagato) e mangiarla squallidamente sul cartone! (…mentre magari si guarda un film in streaming mollemente distesi sul divano con il pigiamone). Ovviamente ci sono delle eccezioni ad esempio nel caso uno sia impossibilitato ad uscire!
Trovo tutto questo tristissimo.
Non è semplicemente "guardare" un film o "mangiare" una pizza ma “andare” a vedere un film o “mangiare” una pizza: tutto il piacere ruota attorno a quel “moto a luogo”!
Le emozioni della sala cinematografica, del grande schermo, del dolby surround, dei suoni, delle immagini, creano emozioni uniche che permettono di immergersi completamente nella storia, come se lo spettatore fosse parte di essa. Il cinema (come luogo) trasmette una magia particolare incomparabile con la comodità di stare accucciato sul divano.
I dati dimostrano che la spesa al botteghino è crollata dai 2.7 miliardi di euro del 2019 (ultimo anno di normalità pre-Covid) agli 870 milioni di euro nel 2021. Un calo del 72% degli spettatori.
Occorre una strategia per rilanciare il cinema: ad esempio un divieto di trasmettere i film nelle piattaforme online per un certo periodo a partire dalla loro uscita nelle sale!


martedì 13 dicembre 2022

La deriva dei social network

 


Era il 2008 quando decisi di iscrivermi a Facebook. 
Allora era una vera novità che permetteva di contattare amici persi di vista per mille motivi. E infatti riuscii a entrare in contatto con alcuni compagni di scuola delle elementari …dopo più di quarant’anni. 
Grazie a Facebook mi sono messo in contatto con un compagno delle scuole medie che ora vive in Florida (USA). 
Oramai Facebook è il social dei boomer
Lo conferma il report “The Global State of Digital 2022”: Facebook è scomparso dal podio dei social preferiti per i ragazzi fra i 16 e i 24 anni (scavalcato da Instagram e TikTok). 
E questo cambio di preferenze dimostra chiaramente le nuove strategie di comunicazione. Non voglio fare un’analisi sociologica ma al centro dei post su Facebook c’è il testo scritto e, solo se si vuole, si può aggiungere una foto o un video. 
Instagram invece ruota – come evoca il nome – una crasi tra “Instant camera” e “Telegram” – su un’immagine o un video e, solo se si vuole, si può aggiungere anche un breve testo. Ma al centro del post c’è la foto. 
Questo dimostra quindi in modo evidente la abulia e l’accidia comunicativa fra i giovani che evita la fatica di leggere un testo e si accontenta di “guardare” e mettere un cuoricino per il “like”. 
Se ci pensiamo bene d’altronde è ciò che succede da sempre per i libri: quelli per i bambini in età pre-scolare danno maggior spazio all’immagine o alla vignetta e poi aggiungono una brevissima didascalia. Poi quando si impara a leggere troviamo i libri con la preponderanza del testo e qualche illustrazione.
TikTok poi è un vero palcoscenico su cui esibirsi davanti ad una platea sconfinata. 
Contenuti brevi da guardare e “scrollare” (far scorrere) che hanno un effetto ipnotico sull'utenza e penalizzano i contenuti noiosi che non puntino dritti al punto. 
La statistica dice che la soglia d’attenzione per un video è di 7 secondi! Mordi e fuggi!
A questo si aggiunge che il contatto è sempre più unidirezionale (io seguo qualcuno che non necessariamente segue me!) in particolare per i personaggi noti sui social ai quali i “followers” nelle diretti chiedono – anzi implorano –  di essere salutati. 
«Mi saluti?» è diventata, infatti, la frase più gettonata dalle dirette Instagram. Che equivale ad un selfie senza però alcun contatto!
Andy Warhol cinquant’anni fa parlò di “un quarto d’ora di celebrità”, ora i giovani si accontentano di molto meno: mezzo secondo mentre il loro idolo li saluta!

lunedì 12 dicembre 2022

I numerosi "gatto e volpe" di Pinocchio.


Qualche tempo fa sentii una barzelletta molto simpatica che faceva più o meno così:

 Ci troviamo nell’aldilà. Un ragazzino incontra un vecchietto, fanno amicizia e ciascuno incomincia a raccontare la propria storia.
Il vecchietto esordisce: “Io ero un povero falegname. Ero vecchio e solo. Poi finalmente arrivò a farmi compagnia un bambino. Era molto vivace, poi anche lui se ne andò e non seppi più niente di lui!”
A questo punto il ragazzino dice:“Anche il mio babbo era falegname, era molto povero...”
Il vecchietto trasognante disse: “mio figlio era un bambino molto speciale. Non era come tutti gli altri. Lui era un bambino speciale.”
“Babbino”- gridò il ragazzo.
“Gesù!”- esclamò con le lacrime il vecchietto.

Di Pinocchio in questi 137 anni s’è detto tutto da quando Carlo Collodi (pseudonimo dello scrittore Carlo Lorenzini) scrisse «Storia di un burattino» pubblicato nel 1883

Tanti hanno voluto trovare di una "chiave di lettura": filosofica, politica, pedagogica, teologica, psicologica, giuridica, etc.

Anche il card. Biffi, arcivescovo emerito di Bologna e fine letterato, analizzò il capolavoro di Collodi secondo una visione “cristiana” (e, tutto sommato non ci stiamo allontanando dalla barzelletta con cui ho esordito) facendo emergere moltissimi punti di contatto tra “Le avventure di Pinocchio” e la Bibbia. Per esempio:

  • in Pinocchio esiste una sola figura femminile: la Fata Turchina; nella Bibbia si parla di più figure femminili, ma in posto di rilievo è quello di Maria;
  • in Pinocchio si parla di 4 monete d’oro, nella Bibbia ci sono 30 denari (ed in entrambi i casi, le monete portano verso cattive vie!)
  • in Pinocchio troviamo il “Grillo Parlante” come simbolo della coscienza, di ciò che “si deve fare ” e ciò che “non si deve fare”, beh, nella Bibbia c'è Mosè e le XII tavole per indicarci le regole!;
  • …e Lucignolo? Non potremo vederlo nei panni del diavolo tentatore;
  • ... vi ricordate dove finisce Geppetto? In pancia ad un pescecane. E il profeta Giona? Dov’era finito? In una balena!;
  •  ... il Gatto e la Volpe dopo aver “scucito” le quattro monete d’oro a Pinocchio come si sbarazzano dell’ex burattino? Lo “appendono” ad un albero! E nella Bibbia come finisce chi ha “maneggiato” i 30 denari? appeso ad un albero.
  • Pinocchio viene arrestato e finisce davanti ai giudici. Anche Gesù Cristo finisce davanti a Ponzio Pilato!
  • Pinocchio appeso all’albero, capendo oramai di essere in cattive acque esclama: «Babbino, babbino, perché non sei qui!», Gesù Cristo sulla croce esclama «Eloi, Eloi, lamma sabactani!», "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?"

Anche Sigmund Freud, che ha messo il ...naso fra i sogni degli esseri umani, pretendendo di decifrarli, poteva forse fermarsi davanti a quel burattino famoso proprio per il suo naso? Certo che no! E siccome il padre della psicoanalisi che è riuscito a trovare anche nei sonni infantili più innocenti, alcuni aspetti legati alla sfera sessuale, ecco dunque che in questo caso, non si discosta dal suo amato leit-motiv intravvedendo in quel “naso che si allunga davanti alla Fata Turchina” quello che noi tutti immaginiamo, alimentando innumerevoli proverbi o storielle popolari di molte regioni della nostra Italia…

Poteva ora mancare una chiave politica?
Pinocchio è di destra o di sinistra? Pinocchio è un ribelle, pertanto è di sinistra!
Ci ha pensato Guillermo Del Toro che ha voluto rivestire il burattino col suo tipico tratto caratteristico macabro e un po’ funereo a partire dall’ambientazione: l’Italia ai tempi del fascismo con contenuti quindi fortemente politicizzati.
Il regista messicano ha messo le mani avanti affermando che non sia un adattamento ma sia "liberamente tratto" dal racconto dello scrittore toscano. Resta allora un mistero sul perché il titolo sia "Pinocchio".
Già nel 1940 Walt Disney lo rivestì come un bambino tirolese, ma per lo meno la trama restò quella originale di Carlo Lorenzini in arte Collodi! Nel 2001 poi, anche Steven Spielberg si ispirò – su suggerimento di Stanley Kubrick – a questa favola per «A. I. Artificial Intelligence» ambientandola in un mondo futuro popolato da robot. Ma ha avuto il buongusto di non citarlo nel titolo!
La fantasia del regista messicano immagina un Geppetto ubriaco e collerico che sradica un tronco cresciuto vicino alla tomba del figlioletto, Carlo, intagliandolo in modo da dargli la parvenza di un burattino che durante una notte prende vita in un modo molto dark simile al dottor Frankenstein. Poi ha pensato anche di sbarazzarsi della figura materna della Fata Turchina. Così come per il Gatto e la Volpe.
Lucignolo, il tentatore, poi è il figlio del Podestà locale che non trascinerà Pinocchio nel paese dei balocchi ma in un campo di addestramento fascista per "balilla".
Il regista infine fa passare la disobbedienza tipica di Pinocchio come una forma di ribellione ai condizionamenti ideologici imposti dal regime del tempo: quindi Pinocchio è ovviamente un antifascista!
È già tanto che non l’ha mandato in montagna come partigiano! Io penso che qualche sussulto nel loculo a Collodi ci sia stato!
 
Tanto si è scritto sulle licenze di fantasia sfrenata di alcuni registi per quanto riguarda la trasposizione di un libro in film stravolgendone spesso il senso. Io ritengo che debba esistere una sorta di "copyright ideologico": il regista può fare un adattamento di un testo purché rispetti il senso che l’autore ha voluto dare all’opera.
Chissà se Carlo Lorenzini in arte Collodi, nel suo villaggio toscano vicino a Pescia, nel lontano 1881, iniziando con il suo «C’era una volta… ,“Un re” – direte voi!» immaginava quanti si sarebbero ispirati alla sua storia di quel burattino disobbediente?
 
 

mercoledì 9 marzo 2022

9 MARZO 1959: ARRIVA NEI NEGOZI BARBIE.


Il primo giocattolo glamour della storia. Un ricercatissimo oggetto da collezione. Un modello estetico per tre generazioni di ragazzine confermando il suo successo senza tempo.


Nella prima metà del XX secolo le bambole hanno ancora sembianze da neonati e solo dopo la II guerra mondiale cominciano ad essere prodotte in plastica. 
Uno scenario che lascia scontente la maggior parte delle bambine, che, nell'epoca della prima conquista dello spazio, si aspettavano qualcosa di più moderno e sofisticato con cui giocare. Tra di loro c'è Barbara, figlia di Ruth ed Elliot Handler, quest'ultimo cofondatore della Mattel, società produttrice di giocattoli fondata nel 1945.

Nel corso di un viaggio in Europa, Ruth scopre l'esistenza di “Bild Lilli”, una bambola adulta e dall'aspetto decisamente più smaliziato rispetto alle precedenti, tratta dal personaggio di un fumetto tedesco. Da essa trova l'ispirazione per un nuovo modello da proporre al marito, suggerendo come nome il diminutivo della figlia, “Barbie”Vinte le iniziali riserve, Elliot propone il progetto agli altri soci che l'accolgono con entusiasmo.

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Il debutto sul mercato arriva nel marzo del 1959 alla fiera dei giochi di New York. La nuova bambola, il cui nome completo è Barbara Millicent Roberts, è un'indossatrice alta 29 cm, ha capelli biondi (o scuri) legati con una lunga coda, occhi azzurri e un corpo da donna, su cui indossa un costume zebrato. Costo della versione base 3 $ più altri 5 per vestirla e altrettanti per il kit guardaroba. In molti rivedono nelle sue forme e nel trucco le grandi dive dell'epoca, quali Elizabeth Taylor e Marilyn Monroe.

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Presentata in tv e sulla stampa, la Barbie diventa il primo giocattolo supportato da una capillare campagna pubblicitaria, con il risultato che nel primo anno di vita ne vengono venduti 350.000 esemplari. Il successo spinge la Mattel ad arricchirla di ulteriori dettagli introducendo negli anni altri personaggi della sua famiglia e della sua cerchia di amici.

Nel 1961 debutta Ken (diminutivo di Kenneth, nome del figlio maschio degli Handler) che rimane per lungo tempo il suo fidanzato, tre anni dopo tocca alla sorella Skipper.


La stessa Barbie si rinnova continuamente lanciando sempre nuove mode e avendo come sarti d'eccezione stilisti del calibro di Jean-Paul Gaultier e Yves Saint Laurent.

Nel contempo, cambia il suo status professionale: da principessa a ballerina, da astronauta a dottoressa, da ginnasta a fotografa (2000-07). In ciò sono chiare le ambizioni dei produttori della bambola, intenzionati a proporre con essa un modello da seguire nell'idea di donna artefice del proprio destino e come standard di eleganza e femminilità.

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Proprio come modello la Barbie entra più volte nel mirino di associazioni genitoriali e organismi per l'infanzia, che ne giudicano negativamente ora il fisico eccessivamente magro (paventando il rischio anoressia), ora lo stereotipo di donna bella e stupida, costringendo la casa produttrice rispettivamente ad aumentare le misure del corpo o nel secondo caso a ritirare dal mercato la versione parlante che manifesta difficoltà di apprendimento della matematica.

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A dispetto delle critiche, delle grane legali e delle numerose concorrenti, la Barbie non perde mai il suo appeal e il suo essere fuori dal tempo rispetto alle mode e i costumi di ogni epoca. Ciò giustifica i numeri esponenziali delle vendite: in mezzo secolo oltre un miliardo di esemplari venduti in più di 150 paesi.


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Il 2009, l'anno del 50° anniversario della sua nascita, vede uscire una versione speciale. I modelli più antichi e quelli rari sono oggi ricercati da frotte di collezionisti, disposti a pagarli a peso d'oro, al punto che qualcuno arriva a sborsare 27.000 $ per aggiudicarsi all'asta la versione originale del 1959!