domenica 4 marzo 2018

L'EMOZIONE NON HA REGOLE


Anche la felicità obbedisce a regole matematiche? Parrebbe di sì. E può essere calcolata con una formula neanche tanto complessa. La felicità –spiega il professor Paolo Gallina, docente di Meccanica alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Trieste ed esperto di robotica– è «la variazione rispetto al tempo dello stato di una persona».
In altre parole, la felicità è il passaggio da una condizione peggiore a una migliore, ed è tanto più intensa quanto più in fretta avviene questo cambiamento.
Ultimamente ho letto un articolo sul sito di “Tribù Narrante” sulle regole essenziali per un racconto breve, partendo dal «voyeurismo» in Julio Cortàzar
Lo scrittore ed editore algherese Claudio Calisai, (ma soprattutto un carissimo amico e persona speciale!) in questa riflessione butta un sasso (senza nascondere la mano) che ha disseminato il lago della mia mente di innumerevoli cerchi concentrici trasformando la sua superficie in un impetuoso mare in tempesta.
«Per conoscere Julio Cortàzar, bisogna leggere un racconto di Julio Cortàzar» scrivere Calisai. E se voleva creare suspence… c’è riuscito. Colpito e affondato.
Rifacendosi al «Bestiario» di Cortàzar ha analizzato in particolare «Le porte del cielo» individuando alcuni punti da tenere a mente quando si scrive un racconto.
La password dovrebbe essere racchiusa in questa frase: «Il romanzo vince sempre ai punti, mentre un racconto deve vincere per knock out».
Per Cortàzar occorre che il segmento di vita o di vite descritte nel racconto sia congelato, ma come in un ossimoro, deve  essere vivo e mantenere la sensazione di movimento tipica del romanzo e dei film. Poi si arriva all’espediente definito “intensità” che consiste «nell’eliminazione di tutte le idee o le situazioni intermedie, di tutti i riempitivi o le frasi di transizione che il romanzo permette o addirittura esige».
Per Cortàzar il narratore deve farci guardare (con cinismo!) dal buco della serratura per capire e sapere e capire e far scattare la tensione narrativa.
Ma allora esiste davvero la formula del trasmettere un’emozione? Per un racconto o un romanzo? Per un quadro? Per una sinfonia?
Possiamo fissare dei paletti per rinchiudere ciò che -per dogma- è sinonimo di libertà come la fantasia?
Esistono regole per incardinare ciò che per sua natura serve a rompere le catene e i cardini della banalità quotidiana?
Possiamo costruire una barriera per la fantasia?
O per citare un grande cantautore «può uno scoglio arginare il mare?»

Da questo tsunami elucubrativo mi è subito venuto in mente una frase del Dalai Lama «dobbiamo imparare bene le regole in modo da infrangerle nel modo giusto».
Un altro grande genio come Pablo Picasso, disse che occorre «imparare le regole come un professionista, in modo da poterle rompere come un artista».
È più importante un decalogo di regole o sapere trasmettere emozioni?
Molti libri sono stati scritti non tanto perché leggendoli venga trasmesso il sapere dell’autore, bensì per far sapere quanto grande fosse il sapere dell’autore”. 
Questa potrebbe essere la posizione di uno studente frustrato, invece è l’opinione di un certo Wolfgang Johannes Goethe.

Il mondo del cinema -ad esempio- ha tante attrici non certo bellissime secondo i canoni classici della bellezza ma con carisma da vendere.
E l’arte della fotografia ha le sue regole? O anche una foto sfocata può trasmettere emozioni?
E lo “storytelling ha le sue regole?
La traduzione in italiano sarebbe “racconto” (story) e “narrare” (telling) ma per la nostra esterofilia storytelling fa più cool ops volevo dire, è più intrigante di “narrare un racconto”.
Lo storytelling contiene l’elemento aggiuntivo di raggiungere un obbiettivo di comunicazione. E qui torniamo a bomba: ci sono regole perché il messaggio trapassi ogni barriera e diventi narrazione personale dello spettatore?
Quindi Pablo Picasso e il Dalai Lama vs Julio Cortàzar in singolar tenzone. 
The winner is...

Passiamo un attimo in cucina.
Quando preparate un nuovo manicaretto seguite in modo ferreo le regole del ricettario o aggiungete qualcosa di personale?
Anche nella vita quotidiana siamo obnubilati da regole.
Pacta sunt servanda” (diceva Ulpiano) e ci insegna come non ci si possa liberare unilateralmente dagli obblighi assunti per contratto. Poi però Charles-Maurice principe di Talleyrand-Périgord, ci lascia un consiglio che «l'eccesso di zelo provoca effetti peggiori della non applicazione della norma»
A chi dare ascolto, dunque?

Gli esperti ci ricordano di non incrociare mai le braccia e le gambe davanti al proprio selezionatore in un colloquio di lavoro perché indicherebbe la volontà di tenere le distanze e di chiusura, ma –personalmente– incrociare le gambe mi rilassa. Io incrocio le gambe al cinema (infatti cerco sempre la fila di metà corridoio!) o seduto al ristorante, in situazioni, quindi, in cui sono calmo e rilassato; io ad una conferenza, nel momento di maggior attenzione, incrocio le braccia per concentrarmi sull’ascolto.

Tutto ruota sulla percezione individuale.
Fiumi di inchiostro sono stati sprecati per ammonire i comunicatori di usare un certo font, un certo colore, una certa impaginazione, per stupire il cliente, il quale però ragiona con il suo cervello.
È (forse?) questo il motivo per cui, ho sempre avuto un’allergia per l’adesione a gruppi politici, ideologici, religiosi (pur accogliendone i loro principi generali). Accettarli globalmente e insindacabilmente mi crea una sensazione di asfissia. Io non sono un numero di tessera.
Ad esempio, vige il divieto di portare bottigliette a bordo dell’aeromobile e al controllo di sicurezza dobbiamo gettarle via. E non c’è spazio di trattativa. Il divieto è categorico.
Ho visto anche bimbi in passeggino davanti al “gate” che frignavano obbligati da un integerrimo controllore a separarsi dalla loro bottiglietta di succo di frutta.
Ottusità o elasticità?
Prendiamo un farmaco: non agisce allo stesso modo in tutti. Perché non siamo tutti uguali (mettetevelo in testa!). Non siamo un esercito di cyborg (come le convenzioni vorrebbero indurci a essere). 
Lo stesso Picasso ha lasciato un altro aforisma «A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino».

Non sarà che occorre trovare una password per liberarci di tutte le infrastrutture e le “regole auree” che –come strettissime catene– ci costringono a comportarsi come tanti cyborg preprogrammati seguendo un novello pifferaio di Hamelin.
E a questo punto aggiungiamo il detto evangelico “sinite parvulos venire ad me» (ovvero «lasciate che i bambini vengano a me»), dove i bambini sono un esempio di libertà da regole prefabbricate.
Una regola è da applicare in modo ferreo o va interpretata e plasmata rendendola applicabile al caso in questione?
Ed allora continuo a ripetere: ma la letteratura e l’arte in genere hanno bisogno di regole?
Non ci si rende conto della forza dell’individuo. E l’emozione nel leggere un racconto o un romanzo è quanto di più individuale possa esistere.
Ayn Rand, scrittrice, filosofa e sceneggiatrice statunitense di origine russa, ci ha lasciato scritto che «La più piccola minoranza al mondo è l'individuo. Chiunque neghi i diritti dell'individuo non può sostenere di essere un difensore delle minoranze». 
E qui continuo a ripetere: la letteratura, la pittura, la comunicazione e l’arte in genere hanno bisogno di regole?
Che ne sarebbe del genio di Vincent van Gogh se prendessimo come regola aurea la tecnica di pittura di Caravaggio?
Che fine farebbero PicassoKlimt Mondrian, a loro modo veri geni dell’arte.
O che ne sarebbe delle poesie ermetiche di Ungaretti se accettassimo come parametro lo stile di Giacomo Leopardi Dante?
L’emozione può forse essere ammanettata da ceppi glaciali delle regole?
«Se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido» disse il genio del '900 per eccellenza, Albert Einstein…


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