«C’è chi
crede che lealtà, amicizia e solidarietà siano missioni da compiere ogni
giorno».
Sembra un claim che possiamo leggere in qualche maxi-affissione nelle nostre vie in questi giorni di campagna elettorale
frenetica.
Per quale politico è stata ideata?
Tranquilli, non sono qui per fare
endorsement.
Quello è uno slogan di uno spot (tenetevi forte!) dell’Amaro Montenegro.
E
questo è una chiara e palese dimostrazione che i politici parlano sempre più
come prodotti, e i prodotti come politici.
Il
politico è un prodotto da posizionare nel mercato.
E
si usano le stesse strategie di marketing usate per un dentifricio.
Oggi la
candidatura per una carica politica istituzionale, dal Parlamento europeo al
Comune, come non può fare a meno del marketing strategico e della comunicazione
creativa professionale.
Bei tempi
quando il politico “scendeva in piazza” fisicamente, e ci metteva la faccia. Illustrava
il suo programma e …si esponeva anche ad eventuali contestazioni.
Oggi l’immagine
del candidato, i suoi messaggi è tutto studiato da uno spin doctor affiancando
i media tradizionali come le affissioni, interventi alla TV, radio o la direct
mailing, a quelli più innovativi come il web e mobile marketing, social media,
e-mailing, sms, ecc.
Dietro c’è
sempre un ufficio stampa, che con studi e ricerche, crea un’efficiente
organizzazione operativa in grado di ottimizzare tempi e costi, che sono alla
base di una campagna vincente.
Jacques
Séguéla, autore della campagna “La forza tranquilla per Francois Mitterand”
disse «Vorrei dire chiaro e tondo che un pubblicitario non ha il potere di
trasformare alcunché. I nostri amici ci chiamano creatori, i nostri nemici
mistificatori. In realtà siamo solo dei rivelatori».
Ecco
un creativo è un rivelatore.
Ma
non esiste alcun creativo che possa ideare un’ottima campagna che faccia
vendere un prodotto scadente. Una comunicazione che non rispetta la verità
di un prodotto o di un politico, avrà poca vita. Magari darà
buoni risultati nel breve periodo, dopodiché si trasformerà inevitabilmente nel
più disastroso boomerang.
E altrettanto
si dica per un pessimo candidato.
Se per un prodotto (scadente!)
si punterà soltanto su un «packaging» accattivante si andrà incontro ad un vero
terreno minato.
E nel caso delle
elezioni non si potrà ricorrere all'eventuale “garante per la pubblicità
ingannevole”.
Ma la "reclame" è sempre stata avanti: ci si concentra sul decantare i propri pregi e pur accettando talvolta la pubblicità comparativa, si ha un "codice deontologico" che impedisce di denigrare il prodotto concorrente. Almeno non apertamente.
Invece in politica assistiamo a vagonate di vetriolo misto a guano da scaricare sul partito che più da fastidio...
Ogni campagna elettorale è una storia a sè.
Invece in politica assistiamo a vagonate di vetriolo misto a guano da scaricare sul partito che più da fastidio...
Ogni campagna elettorale è una storia a sè.
Uno
che ultimamente ha saputo “giocare” coi social è stato il presidente degli
Stati Uniti d’America Donal Trump: prima di vincere le elezioni in Florida e
Pennsylvania, le aveva già vinte su Facebook e Twitter.
Ha
avuto per tutti gli ultimi sei mesi di campagna il doppio dei fan di Hillary
Clinton.
E tutti
a deriderlo immaginando un divario tra il reale e il virtuale.
Sia
chiaro che è davvero pericolosissimo affermare che chi “vince” sui social vince
nel Paese.
Ma è indubbio che i social hanno cambiato per sempre il terreno di
gioco e le regole della competizione elettorale, negli Stati Uniti come in
Italia.
Così
come è pericoloso il “copia-e-incolla”. Un modello che è stato essenziale per
far arrivare un politico all’Eliseo non si possa replicare tale e quale su un
candidato sindaco di Forlimpopoli o Pietraperzia.
Ogni parola deve
trasmettere professionalità e creatività e rispecchiare una passione per ciò che
si vuole fare
Non possiamo
scordare la new entry nelle nuove strategie: il «guru». Elabora slogan e strategie da far
ripetere al candidato. E poi elaborerà frase da far ripetere al politico nelle
interviste. Ma alla lunga i fili del burattinaio si vedranno. E talvolta si
potranno spezzare.
Poi c’è chi si affida ancora al rapporto
diretto, che studia le parole delle persone per strada, studia i post e i
commenti sui social, anche i più bizzarri, studia i mezzi di informazione,
studia il contesto, studia i sondaggi, i trend, i dati elettorali del passato.
Se fino a 30 –
40 anni fa, i politici scendevano in piazza ora scendono nelle …piazze virtuali
dei social che hanno completamente rivoluzionato il modo di presentarsi.
Anche perché in
piazza i “buuuuu” non si potevano cancellare con un click.
Ed un mondo
dell’apparenza, anche Photoshop può dare una mano.
Gianluca Giansante, docente di
comunicazione politica della Luiss mette in guardia: «il messaggio che prima con
la televisione era unidirezionale ora diventa bidirezionale. Ma se si chiede
solo consenso senza ascoltare, le persone se ne accorgono e non partecipano
affatto o addirittura criticano queste iniziative».
È pur vero che la politica ha talvolta anticipato i
social. Un tempo si potevano “acquistare” elettori con mezzo paio di scarpe
come oggi mettendo mano al portafogli si acquistano “follower” fasulli.
Partire da subito con un numero di centinaia
di migliaia di “amici” che hanno già espresso la loro preferenza su uno dei profili
social è un ottimo trampolino di lancio. Ma al di là di un piccolo effetto
d’immagine, sulla lunga distanza una scelta di questo tipo può solamente
danneggiarvi qualora si dimostri che ai “like” non corrispondono i voti
verificati dagli uffici del Ministero degli Interni.
Ma guai a scordarsi che alle elezioni vince
la politica, che viene prima, molto prima, della comunicazione.
L'ultima chance è quella suggerita da un grandissimo maestro della comunicazione. Vota Antonio La Trippa