mercoledì 1 luglio 2015

OGGI NACQUE UNA GRANDE PRINCIPESSA


















Diana Spencer nacque il 1° luglio 1961 da Edward Spencer, VIII conte Spencer, Visconte di Althorp e dalla sua prima moglie Frances Ruth Burke-Roche, Viscontessa di Althorp, figlia di Ruth Roche e di Edmond Burke Roche, quarto Barone Fermoy.
Nacque a Parkhouse, proprio vicino la residenza reale di Sandringham.
La madre, Lady Frances, lasciò la famiglia quando Diana ha solo sei anni e andò a vivere con un facoltoso proprietario terriero, Peter Shand Kydd.
Fin da piccola Diana soffrì della mancanza della figura materna: la madre era spesso assente e trascurava la famiglia.

A dodici anni Diana viene iscritta alle scuole secondarie presso l'istituto di West Heoth nel Kent; dopo poco lascia l'amatissima residenza di Parkhouse e si trasferisce nel castello di Althorp nella contea del Northamptonshire.
La famiglia degli Spencer, è addirittura più antica e blasonata di quella dei Windsor...
Il padre Lord John diventa l'ottavo Conte di Althorp.
Il figlio Charles diventa visconte e le tre sorelle DianaSarah e Jane sono elevate al rango di Lady.
Grazie al suo comportamento informale, Lady D. (come viene soprannominata dai tabloid con un tocco fiabesco), entra subito nel cuore dei sudditi e del mondo intero.
Nel 1977, giovanissima, ad una battuta di caccia conosce Carlo, che allora frequentava la sorella Sarah. Nel mese di luglio 1979 le due sorelle Spencer vengono invitate in Scozia nella residenza reale estiva e a febbraio del 1980, per la prima volta, Diana trascorre un fine settimana a Sandringham senza la compagnia delle sorelle.
Si susseguono una serie di incontri fino a che il 24 febbraio 1981 Buckingham Palace annuncia ufficialmente il loro fidanzamento.
Il matrimonio avviene nella St. Paul's Cathedral a Londra, mercoledì 29 luglio 1981, trasmesso in mondovisione. Diana veste un abito con un velo lungo ben sette metri.
 Alla cerimonia nella cattedrale partecipano 2500 invitati.
Il viaggio di nozze di Carlo e Diana è una crociera a bordo del panfilo reale Britannia, il più antico della Marina inglese. La prima tappa fu a Porto Cervo in Sardegna.
Dal matrimonio con il principe Charles, nacquero due figliWilliam e Harry.
Nel dicembre 1992 purtroppo viene annunciata ufficialmente la separazione.
 Lady Diana si trasferisce a Kensington Palace, mentre il principe Carlo continua a vivere ad Highgrove.
Nel novembre 1995 Diana rilascia un'intervista televisiva. Parla della sua infelicità e del rapporto con Carlo.
Carlo e Diana divorziano il 28 agosto 1996.
Numerose sono le sue attività di beneficenza e solidarietà in cui oltre a prestare la propria immagine, si impegna attivamente con l'esempio.
Con la sua immagine aiutò soprattutto i bambini poveri dell'Africa e fu accanto a personalità come Nelson Mandela, il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso, e la beata Madre Teresa di Calcutta con la quale strinse una fortissima amicizia (e che a distanza di 2 settimane la raggiunse nel regno celeste!)
Dopo la separazione Lady D continua ad apparire accanto alla famiglia reale nelle celebrazioni ufficiali.
Il 1997 è l'anno in cui Lady Diana sostiene attivamente la campagna contro le mine anti-uomo.
Il 31 agosto 1997 avviene il terribile incidente nel tunnel dell'Alma a Parigi: alla fine di un'estate trascorsa insieme, perdono la vita Lady Diana e Dodi al Fayed
Il corpo della principessa viene sepolto in un minuscolo isolotto al centro di un laghetto ovale che abbellisce la sua casa ad Althorp Park, a circa 130 chilometri a nord-ovest di Londra.
Ma la sua bellezza e la sua classe rimarrà sempre a imperitura memoria. 

sabato 23 maggio 2015

Il buonismo, la piaggeria e... la verità.

«Abbi rispetto di ********!!!» (alzi la mano chi di voi lettori, non ha sentito mai questa frase, con l’indice alzato d’ordinanza, e al posto degli asterischi, aggiunga a propria discrezione la mamma, il papà,  i nonni, la maestra o gli zii!).
Per decenni abbiamo sempre sentito parlare di rispetto. Ci viene inculcato fin da bambini, ma in verità nessuno ha mai rispettato nessuno, segno che serve a ben poco e ognuno rispetta solo quello che può.
Per una sorta di nemesi culturale poi, sono proprio gli insofferenti (da pargoli) al rispetto, che esigono poi – raggiunta una posizione di padre, madre, capufficio! – a imporlo agli altri.
La retorica. Ecco come spiegare tutto. 
Piaggeria. 
Demagogia. 
Retorica.
Prendiamo il rispetto per le religioni, (non per la religione!) che però –per coerenza– sarebbero tenute, anche a  rispettarsi fra di loro, visto che per una Gesù Cristo è il figlio di Dio e il Messia, per l’altra un profeta qualsiasi, per l’altra ancora non rappresenta nessuno, perché loro puntano solo al Nirvana, e per far questo non hanno bisogno di intermediari!
Poi guai a cambiare una sola virgola della Costituzione, perché grava su tutti i cittadini Italiani come una scimitarra il rispetto per le istituzioni.  E passi se questo poi però confligga con il rispetto della maggioranza parlamentare, che confligge a sua volta con il rispetto della minoranza parlamentare.
Poi si arriva alle minoranze umane in generale, al rispetto per il lavoratori, ma anche il rispetto per i datori di lavoro, e –last but not least- il rispetto per il lavoro stesso.
Esiste poi il rispetto per i possessori di animali, che contrasta però con un altro rispetto, quello per i clienti dei locali che gradirebbero di mangiare affianco ad un pastore tedesco scodinzolante…o ringhiante?
E i mangiatori di carne rispettano i vegetariani? (e sono poi rispettati dagli stessi amanti delle insalatine?). Essi parlano del rispetto della natura, rispettano i panda, il gabbiano corso, la tigre albina e poi? Le zanzare, che tormentano le nostre notti con le loro vuvuzelas in miniatura, come sono considerate? Un moscerino che ha ben sedicimila geni, mi pare debba pretendere questo rispetto. Altrimenti avremo un razzismo di specie, una mancanza di rispetto biologica.
C’è il rispetto per gli extracomunitari. Ma poi c’è il sempre più grave problema dei quartieri dormitori e dei campi-rom.
C’è il rispetto per i writer che impreziosiscono i muri grigi delle periferie urbane e anche il rispetto per i muri bianchi, e di chi persa che quei disegni siano scarabocchi.
Non puoi più dire neppure a una ragazza che dal punto di vista estetico è eccezionale perché così facendo stai mancando di rispetto alle racchie. In questo gli islamici sono molto avanti: hanno inventato il burqa! (sotto la palandrana può nascondersi una modella-svedese-bionda-alta-occhi-verdi oppure la versione antropizzata di un comò e nessuno se ne accorgerebbe!)
E per quanto riguarda l’infibulazione possiamo parlare di rispetto delle religioni? O di rispetto dei popoli e delle tradizioni popolari?
Non si finisce più.
Il rispetto per l’infanzia. Benissimo…. Ma da quale momento? Fin da quando è ancora un embrione?
Il rispetto per gli anziani? Fantastico! Purché se ne stiano in una casa di riposo.
Il rispetto per i malati? Ineccepibile! ...anche per quelli che vogliamo sopprimere con l’eutanasia?
Il mondo è infestato dal rispetto! 
Anche il rispetto per i caduti. Ma dipende dalla parte in cui sei caduto! E ogni 25 aprile lo scopriamo!
Quando stai per morire raggiunto da una schippettata, fermati a pensare, e decidi di cadere solo dalla parte “politically correct”.


Perfino il conte Giacomo Leopardi scriveva che «se uno conoscesse i propri lettori uno a uno non scriverebbe più», ma lo scriveva nello Zibaldone, sapendo che sarebbe uscito postumo. 
Quindi anche Leopardi provava rispetto… per i suoi lettori.

giovedì 7 maggio 2015

Un graffito tra le nuvole


Da poco discutevo su facebook con una cara amica sulla street art e i writers.Mi è venuto in mente un articolo che scrissi in occasione di una tragedia che coinvolse un giovanissimo writers milanese. Ora ho deciso di pubblicarlo in questo mio blog.

Stamattina, come ogni mattina, ho spalancato le finestre. 
Il cielo era di un azzurro accecante inframmezzato –artisticamente- qua e là da alcuni stratocumuli, come se un bimbo dispettoso si fosse divertito a spargere per il cieloi batuffoli di cotone trovati nella stanza del bagno.
Il tutto era molto coreografico!
Erano nuvole strane. Assomigliavano ai disegni “cicciottelli” dei graffiti! 
I benpensanti li detestano, sono l’incubo degli amministratori dei condomini, le giunte comunali elaborano strategie per debellarli quasi fossero topi o scarafaggi. 
Sono chiamati in tanti modi diversi: “writers”, graffitari, imbrattamuri! 
Per me sono degli artisti. E so di attirarmi gli stessi strali dei benpensanti…. 
Mi conforta Louis Aragon che nel suo “Traitè du style” affermava che “la funzione del genio è quella di fornire idee ai cretini… 50anni dopo”. 
Non ci deve stupire quindi che la stragrande maggioranza non vede in questi scarabocchi spigolosi una forma d’arte: è normale! Ben pochi artisti sono stati “capiti” in vita! 

Purtroppo è un dato di fatto: c’è sempre qualche critico che aspetta qualche lustro (di solito quando l’artista passa a miglior vita!) prima di poter dire tronfiamente: “è stato un grande artista!”. Ma è un mistero il perché, quello stesso critico, quando l’artista era ancora in vita, spesso e volentieri l’ha bistrattato e umiliato... 

Ricordo quando qualche anno fa, in un freddo tunnel della linea “B” della Metropolitana Milanese, un neòfita di questa nuova arte, perse tragicamente la vita. Ricordo anche il nome: Marco. 
Forse sarebbe stato un bravissimo wall-painter, forse avrebbe potuto raggiungere la fama di Jean-Michel Basquiat o di Keith Haring, invece ha terminato la sua breve esistenza a 15anni, in un tunnel della metropolitana, perdendo l’equilibrio e cadendo su un binario dell’alta tensione. 

I loro occhi d’artisti, liberi dalla coltre della piaggeria e demagogia che inonda di grigiore la nostra vita, vedono i muri delle città come immense tele bianche. 
Grigi muri di periferia senza storia, vagoni anonimi, che non hanno niente da raccontare. Esprimono la loro inquietudine con spruzzi di colore. 
Nessuno li vede. 
Vedono solo i loro disegni: si muovono come foglie per le vie delle città, lasciando un segno per “gridare” che loro esistono! 
Arte strana questa: comincia e finisce tra i 15 e i 20 anni, comincia alle scuole medie, e finisce entro il liceo! 
Non sono etichettabili politicamente, anzi loro sono apolitici! 

Si comincia con la propria “tag” ovvero la propria firma (spesso un incomprensibile scarabocchio!) ovvero un vero e proprio “copyright”
Per noi sono scritte insensate che deturpano il grigiore dei palazzi, imbrattano le vie cittadine, per loro sono “un codice a barre”. 
Il loro segno di riconoscimento! 

I “writers” nascono negli anni ’80 in USA come forma di protesta, nei quartieri popolari delle grandi metropoli. 
I ragazzi (spesso di colore o ispanici) “affrescavano” le facciate deprimenti dei loro palazzi. 
Dietro questo fenomeno troviamo gente del calibro di Keith Haring e Jean Michel Basquiat
A molti questi nomi non diranno niente, ma adesso le più importanti gallerie di New York e del mondo si contendono a colpi di migliaia di dollari qualche loro disegno! 
Tanto per intenderci: Haring è quello che ha inventato quei disegnini che la Renault ha usato per il lancio della Megàne qualche stagione fa (un bambino che pasticciava fuori dal foglio!); Basquiat è stato il più grande amico e compagno di Andy Warhol …quest’ultimo almeno lo conoscerà qualcuno… 

L’artista è sempre stato una persona particolarmente sensibile e, in quanto tale, sente prima degli altri, e in maniera più forte, l’inquietudine e il malessere dell’umano vivere. Ogni artista esprime questa sua sensibilità a suo modo. 
Pensate a qualche artista: nella letteratura, nella pittura, nella scultura, ha sempre espresso un malessere. 
Pensiamo ai “poeti maledetti”: Verlaine, Baudelaire, Rimbaud. 
Pensiamo a Toulose-Lautrec, VanGogh e perfino Caravaggio per i suoi tempi aveva la fama di “persona strana”. 



Quella dei wall writers, pertanto è una forma d’arte! 
Esprimono le proprie idee attirando l’attenzione (degli altri writers) con un loro disegno ovvero “spaccando” per usare un termine del loro “slang”. 
Se quel disegno verrà apprezzato, si “passa l’esame”, si entra nella “crew” (ovvero squadra, equipaggio). 
In caso contrario accanto al proprio disegno verrà appioppato il drastico e insindacabile giudizio “toy” (giocattolo!!), ovvero non degno di “passare l’esame” alla categoria superiore! 

D’accordo, non vogliamo elevarla a “forma d’arte”?  Va bene, ma per lo meno contribuisce inequivocabilmente a smussare e correggere il grigiore delle periferie urbane. 
O forse qualcuno preferisce le anonime facciate grigie (in tutti i sensi) dei quartieri periferici dell’hinterland delle grandi città?? 
Personalmente davanti ad un muro grigio e anonimo preferisco un muro con “quegli scarabocchi incomprensibili” colorati, solari, allegri e gioiosi. 

Per me, le amministrazioni dovrebbero invitare anziché perseguire tali artisti per contribuire ad abbellire e rendere più solare alcune vie tristi delle città. 
Non è follia pura: hanno delle regole, un loro “codice di autoregolamentazione”: ad esempio non si disegna su un altro disegno (“to cross”), non si scrive sulle chiese o monumenti o portoni antichi. (…purtroppo ci sono anche le eccezioni!!), ma, avete mai visto un monumento coi graffiti? 
O qualche opera d’arte? Io no! 
Quante volte, invece, ho visto facciate di chiese, monumenti e opere d’arte deturpate da scritte di natura politica e/o sportiva… (forza Juve, Luca ama Sandra, Hasta la victoria!).

Quelli sì, che andrebbero perseguiti, bloccati, quelli sì che possono essere chiamati vàndali! imbrattamuri! 
…senza contare molti sovrintendenti alla salvaguardia dei beni architettonici e artistici che hanno rovinato molte piazze italiane…ma questo merita un altro articolo! 

Mi viene alla mente un verso di un grande poeta: Fabrizio dèAndrè: “…e come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose!”. 
E Marco Z., a quindici anni, come una rosa ha perso tragicamente la vita, per la sua grande passione per i graffiti!
Ho ancora alzato il mio sguardo al cielo, quelle nuvole sembrano disegnate da un writers. Mi piace pensare che siano state disegnate da Marco o da qualche altro writer! 

Mi piace pensare che quei pochi disegni che ha sparso per i muri di Milano, renderanno qualcuno meno grigio e più solare, e per questo tutti dovremmo ringraziare Marco Z. 
Mi piace pensare che, in mezzo alle nuvole, continuino a dilettarsi esprimendo la sua arte con una nuvole strana, tondeggiante o spigolosa! 
Continuo a guardare bene il cielo… sono sicuro di trovare da qualche parte la “tag” di Marco.

domenica 26 aprile 2015

Quanto tempo occorre per ri-stabilire una verità?

Gli ambientalisti ci ricordano spesso che per “smaltire” una gomma da masticare occorrono 5 anni, una lattina d’alluminio fino a 100 anni, per un contenitore di polistirolo addirittura non bastano 1000 anni.
E io aggiungo per ri-stabilire una verità non bastano 30 anni!
Infatti ancora oggi, 26 aprile 2015, a distanza di 29 anni esatti, si ricorda l’episodio di Chernobyl,  come un elemento per dimostrare la pericolosità dell’energia nucleare.
A nulla è servito in questi decenni il parere di uno fra i più grandi scienziati che il mondo della Scienza ci invidia: il prof. Antonino Zichichi.
Leggendo i suoi libri si può scoprire cosa successe –da un punto di vista tecnico– a Chernobyl.
Innanzitutto dobbiamo tornare rapidamente indietro con la memoria al 1986 quando ancora i muri dell’Europa dell’Est erano ancora belli saldi e forti.
Gli ingegneri della centrale nucleare Lenin di Chernobyl volevano realizzare un esperimento mai fatto prima per dimostrare, al mondo intero, la loro eccellente scienza: ovvero staccare tutti i dispositivi di sicurezza dei reattori.
Purtroppo quel 26 Aprile 1986, la situazione sfuggì loro di mano ed in piena notte, all’1:23’58”, il reattore “4” della centrale nucleare saltò in aria facendo uscire una radioattività equivalente a dieci volte quella sprigionata ad Hiroshima e inquinando una superficie pari a cinque milioni di ettari.
Il prof. Antonino Zichichi ci spiega chiaramente che “un reattore nucleare è come un elefante. Funziona bene se lo si lascia andare alla sua velocità naturale. Il pericolo inizia quando lo si vuol far correre o andare troppo lentamente”.

Quindi di chi sarà la colpa? Dell’elefante o di chi lo ha istigato a correre?

Per gli ingegneri che verificarono subito lo stato dei fatti, il reattore era ancora intatto. Infatti esplose solo il recipiente di soccorso e fu questo dettaglio –unito alla totale cortina di silenzio sull'accaduto– che provocò il vero disastro.
Sul posto mandarono dei giovani laureandi che ricevettero un tale flusso di radiazioni da rimetterci poi la vita.
Purtroppo, questo fatto ha creato nell'opinione pubblica un’idea totalmente negativa del “nucleare” e l’8 novembre 1987, l’88% degli Italiani impressionato e senza esser stati informati di dettagli esatti, disse NO al referendum sulle centrali nucleari! (senza contare dell’assurdità di porre ad una popolazione di cultura media un quesito che richiede competenza tecnica  profondissima).
Questa scelta popolare ha tolto al nostro paese un primato tecnologico:
La sicurezza delle nostre centrali nucleari aveva raggiunto livelli tra i più alti. Non eravamo secondi a nessuno.
L’incidente del reattore “4” nella centrale Lenin di Chernobyl è costato all’Italia decine di migliaia di miliardi, per via degli investimenti sul “nucleare pacifico” che invece fu subito  smantellato.

Chernobyl insegna –questa è la seconda parte della lezione del prof. Zichichi nel suo libro “Scienza ed emergenze planetarie– che esistono altri problemi di natura culturale: «l’opinione pubblica va stimolata, aiutata, capita e educata ad accettare le grandi innovazioni tecnologiche».
Basterebbe poi ricordare che le centrali nucleari francesi distano 1 ora di strada da confine italiano... e che noi dipendiamo –energeticamente parlando– da quelle centrali
Potrei citare grandi nomi ma sentite cosa dice il dottor James F. Lovelock, famoso biologo e fra i “guru” più ascoltati del movimento ambientalista, nonché autore dell’«Ipotesi Gaia» secondo cui la Terra è considerato come un organismo vivente.
«Solo l’energia nucleare può salvare il mondo dal surriscaldamento- afferma il dott. Lovelock – evitare il ripetersi di estati torride, impedire lo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia. Un ricorso intensivo dell’energia nucleare preverrà un futuro apocalittico nel quale il Polo Nord sarà ridotto a poco più di un gigantesco iceberg e la Foresta Amazzonica sarà sommersa dalle acque»
Senza contare che con l’energia nucleare si risolvono anche le emissioni di CO2, vero imputato della salute del Pianeta Terra.
Spero che presto l’Italia capisca che quei “demonizzatori” dell’energia nucleare, sono da ascrivere – di diritto – tra i peggiori nemici non soltanto dell’indipendenza energetica nazionale ma anche della nostra prosperità.