Con la legge n° 92 del 30/04/04, è stato istituito per
il 10 febbraio il «Giorno del ricordo» per
rinnovare la memoria di una grandissima tragedia che colpì gli italiani,
tenuta -purtroppo- nascosta per decenni: le foibe
titine.
3 5 0 . 0 0 0 esuli istriani, giuliani e dalmati furono cacciati costretti a lasciare le loro terre ed i loro averi e sottoposti alle angherie del regime comunista di Josip Broz (conosciuto ai più con il famigerato soprannome di Maresciallo Tito) e poi barbaramente trucidati.
3 5 0 . 0 0 0 esuli istriani, giuliani e dalmati furono cacciati costretti a lasciare le loro terre ed i loro averi e sottoposti alle angherie del regime comunista di Josip Broz (conosciuto ai più con il famigerato soprannome di Maresciallo Tito) e poi barbaramente trucidati.
Questa ricorrenza assume un valore ancora più profondo, per sottolineare l’importanza di
una memoria condivisa e di una coscienza di popolo.
Dietro le foibe c’è una lunga storia di deportazioni, di
omicidi, di violenze, di repressione, di pulizia etnica, di crudeltà, di
barbarie.
Il “giorno del ricordo” ci deve aiutare anche a non dimenticare la
viltà dei sindacalisti della Camera del Lavoro di Bologna che coi fatti e
scientemente impedirono la sosta del treno carico di profughi istriani affamati
e assetati, diretti a Roma.
Un giorno per non scordare l’oblio che, per oltre mezzo secolo, la Storia e le
Istituzioni volutamente hanno fatto cadere su questo il tragico fatto.
Addiritttura qualche politico di caratura nazionale ha ammesso candidamente di aver saputo di questa tragedia solo qualche anno fa!
Addiritttura qualche politico di caratura nazionale ha ammesso candidamente di aver saputo di questa tragedia solo qualche anno fa!
Nel clima di vendetta che seguì l’armistizio dell’8
settembre del ’43, si registrò il primo fenomeno di foibe, in Istria e in
Dalmazia, con l’uccisione da parte dei titini di alcune centinaia di italiani.
Come scrive Gianni Oliva, gli ordini di Tito e del suo
ministro degli esteri Kardelj non si prestavano a equivoci: «Epurare subito, Punire con severità tutti i
fomentatori dello sciovinismo e dell’odio nazionale».
Il movimento partigiano di Tito scatenò un’ondata di
violenza nella zona di Trieste, nel Goriziano e nel Capodistriano che causò
centinaia di esecuzioni sommarie immediate nelle foibe e deportazioni nelle
carceri e nei campi di prigionia (tra i
quali va ricordato quello di Borovnica).
Il 25 aprile a Trieste fu l’inizio di un incubo per
coloro che sognavano un’Italia libera dagli orrori della guerra e delle
dittature. Un sogno infranto vigliaccamente nella più totale indifferenza del
mondo, e, nella disattenzione della politica e della storia.
Il rituale era ben definito: gli aguzzini, non paghi dei
maltrattamenti già inflitti, bloccavano i polsi e i piedi tramite filo di ferro
ad ogni singola persona con l’ausilio di pinze e, successivamente, legavano gli
uni agli altri con lo stesso fil di ferro formando gruppi di circa venti
persone.Venivano poi portati sull’orlo della voragine della foiba.
Qui i massacratori si
“divertivano” a sparare soltanto al primo malcapitato del gruppo (mettendo anche in atto
una sorta di ...“economia”) che ruzzolava rovinosamente nella foiba trascinando
con sé -in un tragico effetto domino- anche gli altri.
Un rituale tragico e barbarico (che prevedeva un epilogo macabro e dissacrante: il lancio nella foiba
di un cane nero sgozzato) con il quale sono stati trucidate varie decine di
migliaia di esseri umani: il tutto a guerra già finita!!!
Ce lo racconta Graziano Udovisi, unico superstite e
testimone diretto del terrore titino che riuscì a liberarsi e risalire da una
foiba.
A cadere dentro le foibe furono
indistintamente cattolici, liberaldemocratici, fascisti, socialisti, uomini di
chiesa, donne, anziani e bambini.
La persecuzione degli italiani durò fino al '47,
soprattutto nella parte dell'Istria più vicina al confine e sottoposta
all'amministrazione provvisoria jugoslava.
«Fu una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia
etnica voluta da Tito per eliminare i non comunisti dalla futura Jugoslavia».
La persecuzione proseguì fino alla
primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia
e la Jugoslavia.
Come ricorda lo storico Giovanni
Sabbatucci, la classe dirigente politica del tempo considerò i profughi dalmati
“cittadini di serie B”, e non
approfondì la tragedia delle foibe.
È una ferita ancora aperta “perché, ricorda
ancora Sabbatucci, è stata ignorata per molto tempo. Occorre adesso
l’elaborazione di una delle pagine più angoscianti della nostra storia”
CHE COSA SONO LE FOIBE
Il termine “foiba” è una corruzione
dialettale del latino “fovea”, che significa “fossa”.
Infatti, sono voragini
rocciose, a forma di imbuto rovesciato, di origine naturale con ingresso a
strapiombo, create dall’erosione di corsi d’acqua molto diffuse soprattutto
nella provincia di Trieste, nelle zone della Slovenia già parte della scomparsa
regione Venezia Giulia nonché in molte zone dell'Istria e della Dalmazia
nell'altopiano del Carso. Esse possono raggiungere i 200 metri di profondità.
In Istria sono state registrate più
di 1.700 foibe.
La foiba più famosa è quella di
Basovizza che in origine era un pozzo minerario. esso divenne nel maggio del 1945 però un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti
e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai
campi d'internamento allestiti in Slovenia e successivamente giustiziati a
Basovizza.
Nel 1980, dopo un interminabile silenzio di circa mezzo secolo, a seguito all'intervento delle associazioni combattentistiche, patriottiche e dei profughi istriani-fiumani-dalmati, il “pozzo di Basovizza” e la Foiba n.149 vennero riconosciute quali monumenti d'interesse nazionale.
Nel 1980, dopo un interminabile silenzio di circa mezzo secolo, a seguito all'intervento delle associazioni combattentistiche, patriottiche e dei profughi istriani-fiumani-dalmati, il “pozzo di Basovizza” e la Foiba n.149 vennero riconosciute quali monumenti d'interesse nazionale.
Basovizza, sito nel comune di
Trieste, divenne il memoriale per tutte le vittime degli eccidi per mano dei
carnefici comunisti titini tra il 1943 e 1945.
Il giusto e doveroso omaggio delle
più alte cariche dello Stato, giunse nel 1991, anno cruciale per la
dissoluzione jugoslava e dell’Unione Sovietica, quando a Basovizza si recò l’allora
presidente della Repubblica, Francesco Cossiga.
Due anni più tardi il successore
Oscar Luigi Scalfaro, dichiarò la Foiba di Basovizza “monumento nazionale”.
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