lunedì 1 luglio 2024

«SEMEL IN ANNO LICET INSANIRE» ...E VALE ANCHE PER GLI SCIENZIATI!

 




C’è una rivista bimestrale americana che ha pensato di pubblicare le ricerche più strampalate, improbabili. Il nome della rivista è «The Annals of Improbable Research» ovvero l’annuario delle ricerche improbabili. L’acronimo poi è decisamente illuminante: AIR ovvero aria. Aria fresca o fritta?
I curatori di tale rivista sono tutti professori universitari serissimi ma con una grande voglia di divertirsi! Quaranta studiosi di discipline scientifiche, mediche, tecniche compresi otto premi Nobel (e tra essi – ci tengono a farlo sapere! – anche un ex carcerato!). Gli studi riportati sono tutti autentici, editi da numerose testate scientifiche in tutto il mondo e ci dimostra che la scienza non è sempre così fredda e asettica come ci viene presentata con eminenti scienziati austeri con i loro camici bianchi appena stirati. Quindi il broccardo latino «semel in anno licet insanire» (una volta all’anno è lecito folleggiare) vale anche per gli scienziati.
Un articolo di qualche anno fa analizzò il quadro più famoso del mondo: Monna Lisa di Leonardo da Vinci. Nell’articolo “Monna Lisa: l’enigma del sorriso” pubblicato sulla rivista “Journal of Forensic Science”, l’autore Joseph Borkowsky, avanza una congettura davvero originale sul dipinto di Leonardo da Vinci il cui sorriso enigmatico ha stimolato la fantasia di molti: la Monna Lisa ha la classica espressione delle persone che evitano di sorridere perché sprovviste dei denti davanti.  «Analizzando bene le labbra da vicino si scopre una ferita che somiglia a quelle create con l’uso della forza bruta. E l’analisi della zona periorale confermerebbe che i denti incisivi sono saltati»
Gli argomenti sono vari: un altro articolo ha il titolo «Ricerca sui gabinetti delle istituzioni ospedaliere» di A. F. Travééers ed E. Burns cita una ricerca pubblicata su “British Medical Journal”; un altro tratta della «Prevenzione della caduta dei capelli nei topi» a cura di Kevin Ward pubblicata sull’autorevole rivista scientifica “Nature”; o il saggio «Quanto incide il peso delle galline sulle uova durante la cova» edito da “Experientia”. 
Ogni saggio è ovviamente supportato da tabelle, grafici, istogrammi, note a piè di pagina e accurate bibliografie per confermare quegli studi!
Ma il “Journal of Forensic Science” è davvero una miniera d’ora per queste ricerche. “A.I.R.” segnala una ricerca dal titolo «Fatalità dovute all’autoerotismo con attrezzi che creano il vuoto pneumatico» e sempre sullo stesso tema «Effetti dello sperma ingoiato sulla fertilità dei ratti» di R. A. Allardyce (Journal of Experimental Medicine).
Poi gli studiosi Jonathan Haidt, Sylvia Helena Koller e Maria Dias si chiedono «Affetto, cultura, moralità. Ovvero è sbagliato mangiare il proprio cane?» pubblicato su “Journal of Personality and Social Psicology”.
La ricerca si articola in tre dettagliati capitoli: Cane; Pollo; La storia delle caramelle. 
Nel primo capitolo un cane viene ucciso da un’auto che passa di fronte alla casa dei padroni. La padroncina sente una frenata, si affaccia e vede il povero cane esanime sull’asfalto. La signora ricorda che in TV sentì che la carne di cane è deliziosa e che in alcune zone del pianeta la mangiano e …ha un’idea (visto che il loro amato cagnolino è passato a miglior vita). Porta il corpo senza vita dell’animale a casa, lo seziona, lo cucina e lo porta a tavola e lo mangia a cena.
Nel secondo capitolo un uomo va al supermarket una volta alla settimana ed ogni volta acquista un pollo. Ogni volta prima di cucinarlo ha un rapporto sessuale con il pollo e poi… lo cucina e lo mangia.
Nel terzo capitolo infine un ragazzino adolescente divora caramelle fino a non poterne più finché va in bagno a vomitare. Poi torna in camera e …continua a mangiare altre caramelle. Non è dato sapere in conclusione cosa gli studiosi Jonathan Haidt, Sylvia Helena Koller e Maria Dias volessero dimostrare.
Tra le pagine del periodico bimestrale “Air” troviamo anche una pubblicità ribattezzata «Fragranza terminale» intitolata in origine «Non odora affatto come un obitorio» pubblicato sul “Consulting Engeneer”. «Ecco cosa dice la gente oggi: – leggiamo nell’annuncio – non c’è dubbio che il tanfo proveniente dalle autopsie e corpi decomposti sia un problema serio in ogni laboratorio di Medicina Legale. Eppure il “Cosatron Air Purification System riesce non solo a bloccare e soffocare questi odori ma riduce elettronicamente la sporcizia e i costi di pulizia”».
Ma i temi truculenti non finiscono qui. Il “Journal of Forensic Science” ci riferisce di uno studio (scientifico ovviamente) sul «dissotterramento da pavimentazioni asfaltate con l’ausilio di attrezzi pesanti per la riesumazione dei cadaveri» dove illuminante è la frase “nella nostra prova la sega circolare ha potuto essere immersa in un liquido detergente dopo l’uso ma non siamo riusciti a disinfettarla. In poche parole l’attrezzo – assai costoso – non è risultato facilmente pulibile dopo essere entrato a contatto con fluidi putridi e marcescenti. La conclusione sbalorditiva è stata che hanno preferito affittare l’attrezzatura e poi riportarla tranquillamente al negozio».
Sempre in tema di horror-scienza, ecco la ricerca «come usare pazienti appena deceduti per insegnare e praticare le tecniche di intubazione» a cura di George Kennotti e Maxwell Mehlmann pubblicato su “The New England Journal of Medicine” in cui possiamo continuare a leggere per spiegare meglio tale esperimento «la pratica dell’intubazione viene fatta in modo che non comporti rischi particolari per il corpo della persona deceduta».
La menzione d’onore però spetta con orgoglio tricolore a due scienziati italiani d.o.c. che “Air” non si è fatta sfuggire: Fabrizio Schifano e Guido Magni sul “Biological Psychiatry” hanno pubblicato una studio dal titolo «Abuso dell’ecstasy: caratteristiche psicopatologiche e brama impellente di assumere cioccolato». “Questa ricerca – viene illustrato nell’articolo con la dovuta dovizie di schemi e dati – analizza i comportamenti di alcuni soggetti, consumatori abituali di cioccolato in relazione all’aver assunto l’anfetamina allucinogena meglio nota come «ecstasy»”.
Tutti questi casi riportati sono tutti relativi a ricerche scientifiche, ma la vera forza di “A.I.R.” la troviamo nel sapere mischiare sapientemente veri e propri studi scientifici con altri studi un po’ meno credibili scientificamente ma perfettamente redatti con un linguaggio, una supponenza e un supporto terminologico scientificamente verosimile. In poche parole la redazione di “A.I.R.” ha inventato la supercazzola scientifica.
Ecco alcuni casi: «Gli effetti palliativi dell’osculazione nella prognosi delle ferite pediatriche»; «Il valore dell’amore usando come modello Bob Dylan»; «Il supporto della matematica nell’ambito della memorizzazione dei numeri di telefono» dove viene analizzata la possibilità di poter addizionare, sottrarre o moltiplicare i numeri presenti nell’elenco dei telefoni (ormai in disuso ma la ricerca risale a qualche decennio fa) combinandoli con il prefisso.
Passiamo poi al «Paradosso del paradigma»; «L’interpretazione quantistica del quoziente di intelligenza»; «Combinazione tra i tornado e le roulotte»; «Book review della guida telefonica di Nairobi»; «Comparazione spettrografica delle arance con le mele»; «Relazioni evoluzionistiche nel sapore dei formaggi in base alla loro densità»; «Come influiscono le nanotecnologie nei limiti fisici della tostabilità delle fette di pan carré»; «Studio del comportamento dei dinosauri in rapporto alla visione di film popolari»; «Capacità del picchio di incidere sul una superficie di celluloide»; «Variazioni acicliche della crescita dell’erba»;  «Il comportamento dei conigli che per strada tendono a bloccarsi davanti all’auto saltellando» e non poteva mancare una ricerca scientifica i cui esiti attendevamo fin da bambini «Gli effetti terapeutici del bacio della mamma sulla ferita di un bambino».
 

Ma un premio per la ricerca più interessante per eccellenza è quello per trovare una soluzione atavica al problema del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Tim Stoughton, professore a South Sioux City (Nebraska) dopo varie premesse è arrivato alla conclusione che “pieno” e “vuoto” sono aggettivi relativi ai verbi “riempire” e “vuotare”. Per cui se prendo un bicchiere e verso del liquido fino alla metà del suo contenuto sarà “mezzo pieno”. Poi se lo riempio fino all’orlo e ne sottraggo metà del contenuto il bicchiere sarà “mezzo vuoto”. Tutto supportato da due foto di bicchieri perfettamente uguali con metà del loro contenuto con la didascalia “bicchiere mezzo pieno a destra e bicchiere mezzo vuoto a sinistra”.
Ma poiché i redattori di “A.I.R.” sono dei burloni il numero successivo alla pubblicazione dello studio era riportata una nota: «Ci scusiamo con i nostri lettori ma per un disguido tecnico nella didascalia il bicchiere mezzo pieno è quello a sinistra mentre il bicchiere mezzo vuoto è a destra”.

giovedì 20 giugno 2024

LA PERFEZIONE DELL'IMPERFEZIONE


Tra le tracce scelte per l’esame di maturità 2024, il tema di attualità (tipologia C) proponeva un brano di “Elogio dell’imperfezione” di Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986. «La perfezione non appartiene all’uomo e mai gli apparterrà. Ed è giusto così. Allora perché tanti si affannano, tentano in ogni modo possibile di adeguarsi a un modello? – si domanda la professoressa Levi Montalcini – e poi si chiede perché, semplicemente, ognuno di noi non si limita a lavorare sulle proprie caratteristiche, sui propri punti di forza? Tutti noi ne abbiamo, forse basterebbe solo fermarci e conoscerci».
E leggendo questa traccia ho avuto un sussulto di orgoglio. Infatti qualche tempo fa ho scritto una mia riflessione intitolata «La perfezione dell’imperfezione». Peccato che io l’esame di maturità l’ho sostenuto quarant’anni fa.
Nella mia riflessione contenuta insieme a tante altre in un libro intitolato «scrivo come mangio»
(L’Universale, 2024) evoco un aneddoto citato da Vittorio Buttafava che mi ha sempre colpito e che ritengo che possa darci un quadro davvero chiaro ed esaustivo della nostra società (...sempre più alla deriva).
«Un professore sale in cattedra e, prima di iniziare la lezione, toglie fuori dalla sua cartella un grande foglio bianco con una piccola macchia d’inchiostro. Poi rivolto agli studenti, domanda: “Che cosa vedete qui?”.
“Una macchia d'inchiostro”, rispondono quasi tutti in coro.
“Ecco!”, continua il professore, “Così sono gli uomini: vedono soltanto le macchie, anche le più piccole e non il grande e stupendo foglio bianco che è la vita”».
Buttafava inquadrò profeticamente ed in modo eccellente la malattia che affligge il nostro mondo. Ci concentriamo a cercare sempre il pelo nell’uovo, a voler fare le pulci a tutto, alle persone, alle azioni, alle cose, come nel “Trova l’errore” nella Settimana Enigmistica! Ci fossilizziamo solo sulle piccole sbavature di inchiostro, ci roviniamo la giornata in una ricerca affannosa dei difetti tralasciando invece di soffermarsi sull’aspetto globale di «quel grande e stupendo foglio bianco che è la vita».
 
La mia riflessione continua con un altro esempio.
Un’insegnante scrive alla lavagna la tabellina del 7.
7x1=7
7x2=14
7x3=21
7x4=26
7x5=35
7x6=42
7x7=49
7x8=56
7x9=63
7x10=70
Tutti gli alunni sogghignano sotto i baffi (che ancora non hanno!) e si danno gomitate. «Pazzesco, la prof. non sa la tabellina del 7. Che vergogna! E vorrebbe anche insegnarcela a noi!».
L’insegnante attende un po’, li lascia divertire e poi dice «io so bene che 7x4 fa 28. Ma ho scritto 26 appositamente perché voglio che voi impariate una lezione importante che vi servirà nella vita. Io ho scritto 9 risultati corretti su 10 e nessuno mi ha fatto i complimenti e mi ha detto “brava!”. Tutti però avete notato l’unico errore compiuto: quel 7x4=26. Ecco l’insegnamento che voglio darvi. Il mondo si concentrerà solo sul criticare l’unica cosa sbagliata che avete fatto. Vi attenderà al varco stizzosamente per farvela pagare. E non aspettatevi mai i complimenti per le migliaia di cose giuste che avrete compiuto! Resterà impressa nella memoria collettiva quell’unico passo falso compiuto!».
Ecco quindi due lezioncine per chi vorrà riflettere!
Siamo (anzi… se permettete, sono!) diventati tutti acidi, cinici, velenosi e sarcastici, sempre meno capaci di “saper godere ed apprezzare” anche le imperfezioni di ciò che ci circondano. La vita è fantastica perché è piena di cose imperfette.
Poi prendo spunto dal “Wabi-Sabi” è un termine giapponese per indicare una visione estetica del mondo. Letteralmente potremmo tradurlo con “la bellezza dell’imperfezione”. È riferito sia ad elementi naturali che a quelli che hanno un carattere incompleto o impermanente. Anziché cercare la simmetria perfetta, si cerca di apprezzare l’asimmetria, la semplicità e la naturalezza.
Applicato alla vita quotidiana, questo concetto giapponese, ci incoraggia a cercare la bellezza nelle imperfezioni della vita, accettando tranquillamente il ciclo naturale di crescita e decadimento umano, accettando le nostre “crepe”, che sono quelle che ci rendono unici e dimostrano ciò che abbiamo vissuto.
Il concetto di Wabi-Sabi ha impregnato così tanto la mentalità giapponese da esprimersi attraverso diversi canali, tra cui l’arte del “kintsugi”. Quando i pezzi di ceramica di un certo valore si screpolano o si rompono invece di cercare di nascondere le “imperfezioni”, l’artigiano giapponese le riempie con una lacca dorata in contrasto. In questo modo il difetto non solo non viene camuffato e nascosto ma addirittura evidenziato come espressione della storia unica dell’oggetto che perdura, sebbene non integro, come fosse un segno della sua bellezza imperfetta.
Per me tutto questo è straordinario! Alla base di tutto questo c’è l’antica cultura del Giappone per la tradizione da perpetuare nel tempo che dev’essere tramandata e rinnovata. Si tratta di porre l’attenzione proprio su quelle crepe, evidenziandole ed utilizzandole come elementi che aggiungono valore all’oggetto anziché considerarle difetti da nascondere di cui vergognarsi. Aggiustato ma sempre utile.
La nostra società occidentale – purtroppo – è indirizzata esattamente verso la direzione opposta, tendiamo maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza e dalla fredda perfezione. E come diretto corollario il consumismo compulsivo ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto ed integro: del piatto sbeccato, del pullover smagliato, del paio di scarpe da risuolare (salvo poi acquistare jeans o T-shirt già strappati!). O più semplicemente qualcosa di cui ti sei stufato: quando non li usi più, li getti via!
C’è una splendida campagna di comunicazione della gloriosa penna BIC dove si vedono tre penne rimaste sempre uguali nel design dal 1955 in poi. Il payoff è chiaro: «non provare a cambiare qualcosa finché non smette di funzionare».
Un altro esempio viene dalla Francia dove è stato introdotto «bonus réparation» che potremmo tradurre con «bonus rammendo» e consiste in un contributo per riparare quella giacca che avevamo lasciato nell’armadio da anni o un giubbotto o un paio di scarpe. È la migliore risposta alla nuova tendenza del “usa e dai via” suggerita da tante app che conosciamo bene.
Il discorso non cambia per le nostre case. Ci viviamo benissimo? Chi se ne frega: devi fare il cappotto, devi cambiare termosifoni, devi rifare gli infissi, devi mettere le pompe di calore…
Al diktat dell’efficienza non ci si può opporre, pena l’accusa di essere i veri colpevoli dello stato di salute del nostro pianeta. Una società che avesse davvero a cuore i propri componenti, elaborerebbe premi incentivanti con forti agevolazioni per coloro che mantengono un’auto per almeno 15 anni, per coloro che aggiustano il tetto soltanto quando appaiono le prime crepe o c’è un’infiltrazione, quando non cambiano il termosifone finché si sta al calduccio perché quelle persone stanno dimostrando di saper gestire i propri denari. Il mondo potrà pur essere razionale nei suoi effetti ma mettiamoci la testa in pace che noi – come ci conferma la prof.ssa Levi Montalcini, siamo esseri “imperfetti” e non riusciamo ad analizzare asetticamente quello che ci circonda, esseri legati alle intuizioni, ai sentimenti, agli istinti e alla memoria storica. Piuttosto che cercare un’immaginaria ed irraggiungibile perfezione programmando al millimetro tutti i possibili eventi del mondo che ci circonda dovremmo accettare noi stessi proprio perché imperfetti e riempire le nostre crepe con vernice dorata. Dovremmo ammettere quanto siamo fallibili, fragili ed incoerenti e andarne fieri. E non c’è nulla di male nell’esserlo: siamo unici in quanto unicamente imperfetti. Infine non dovremmo dimenticarci mai che l’Universo, per chi non lo sapesse, è nato dal Caos.

martedì 16 aprile 2024

Le case green e la saggezza del kintsugi!

 


L’Europa si ostina a imporci di avere una casa a emissioni zero entro il 2050. E ciò significa per ogni italiano una spesa che oscilla tra i 35mila e i 60mila euro!
Chi se ne frega se ancora ci vive benissimo: devi fare il cappotto, devi cambiare termosifoni, devi rifare gli infissi, devi mettere le pompe di calore… anzi no, devi sostituirle.
E nel caso poi decidesse di non obbedire, c’è sempre un ricatto sotto forma di una bella tassa per la classe energetica non adeguata e l’accusa di essere i veri colpevoli dello stato di salute del nostro pianeta.
Zitto e paga (o per nuovi acquisti o per le imposte ma devi pagare!).
«Lo devi fare per la salute del pianeta» ci dicono. Ovvero come quando alcuni genitori dicono ai figli «lo faccio per il tuo bene».
La nostra società occidentale tende maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza e della perfezione. E come diretto corollario il consumismo compulsivo ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto ed integro dal piatto sbeccato, dal pullover smagliato, del paio di scarpe da risuolare (salvo poi acquistare jeans o T-shirt già strappati!). O più semplicemente qualcosa di cui ti sei stufato: quando non li usi più, li getti via!
Poi arriva anche il metodo ancora più subdolo dell’“obsolescenza programmata” ovvero quella strategia commerciale decisamente scorretta e disonesta, per accorciare “artificialmente” il ciclo di vita naturale dei rispettivi prodotti, mantenendo alta la domanda e, di conseguenza, gli acquisti di nuovi modelli.
Fino a qualche tempo fa quando una lavatrice, una lavastoviglie, una aspirapolvere si ribellava e non funzionava più, si chiamava il tecnico e sostituiva il pezzo. Ora il tecnico, ci informa che non si può più aggiustare e, con una pacca sulla spalla, ci dice: «guardi… se lo acquista nuovo spenderà meno della sostituzione del pezzo!».
E le auto? Le normative ambientali europee ci obbligano a cambiare la nostra auto che abbiamo da dieci anni ma che ancora cammina perché su di essa grava la colpa dell’allargamento del buco dell’ozono. E chi se ne frega se – seppur con qualche scricchiolio – funziona ancora perfettamente!
 

C’è una splendida campagna di comunicazione della gloriosa penna BIC dove c’erano tre penne sempre uguali negli anni dal 1955 in poi. Il payoff era chiaro: «non provare a cambiare qualcosa finché non smette di funzionare».
 




In Francia da qualche anno è stato introdotto «bonus réparation» che potremmo tradurre con «bonus rammendo». È l'ultima iniziativa messa in campo dal ministro francese per l'Ecologia Bérangère Couillard per contrastare gli sprechi e consiste in un contributo che può variare dai 6 ai 25 euro presso alcuni laboratori di sartoria o calzoleria convenzionati per riparare quella giacca che avevamo lasciato nell’armadio da anni per rifocillare le tarme e i pesciolini d’argento (ovvero Lepisma saccharina) o un giubbotto o un paio di scarpe.
E cosa c'è di più romantico (e soprattutto sostenibile) del ridare vita ai propri abiti? Oltre evitare gli sprechi si sosterrebbero anche le piccole botteghe sartoriali. È la migliore risposta alla nuova tendenza del “usa e dai via” creata da tante app che conosciamo bene.
 

Dovremmo prendere esempio dall’antica cultura del Giappone del “kintsugi”. Quando i pezzi di ceramica di un certo valore si screpolano o si rompono invece di cercare di nascondere le “imperfezioni”, le riempiono con una lacca dorata in contrasto. Il difetto non solo non viene camuffato e nascosto ma addirittura evidenziato come espressione della lunga storia unica dell’oggetto che perdura, sebbene non integro, segno della sua bellezza imperfetta. Per me tutto questo è straordinario!
 
Io penso che una società che avesse davvero a cuore i propri componenti, elaborerebbe premi incentivanti con forti agevolazioni per coloro che mantengono un’auto per almeno 15 anni, coloro che aggiustano il tetto soltanto quando appaiono le prime crepe o c’è un’infiltrazione, quando non cambiano il termosifone finché si sta al calduccio. Perché quelle persone stanno dimostrando di saper gestire i propri denari!!
 
E ciò che è ancora più triste e questa tendenza si applica anche per le persone. Anziché trovare un compromesso ci si lascia ancor prima della crisi del settimo anno. E non parliamo poi dei genitori che ci hanno dato la vita: quando non sono più efficienti, c’è un RSA ad accoglierle.
Era il 1991 quando il grandissimo Renato Zero sul palcoscenico di Sanremo cantò “Spalle al muro” e gridava «Vecchio! Diranno che sei vecchio! Con tutta quella forza che c’è in te […] Vecchio sì, quando non è finita, hai ancora tanta vita e tu lo sai che c’è! Con quello che hai da dire, non vali quattro lire, dovresti già morire…». Le parole erano di Mariella Nava ma la sua interpretazione era davvero toccante.
Almeno per chi – per citare ancora Zero - «frugando nella sua giacca scopre che dietro il portafogli ancora un cuore c’è». Vabbè.
E io non posso non ricordare che anche in questi casi, la nemesi è là dietro, in agguato, paziente. Perché la nemesi non ha fretta. Attende calma e mite. Ma al momento giusto arriverà. E quando arriverà è troppo tardi per porvi rimedio e trovare una soluzione

lunedì 15 aprile 2024

13 aprile 2013


Quel 13 aprile 2013 era un sabato come quest’anno.
Era un normalissimo sabato come tanti sabato prodromici al dì di festa.
Mi alzai e iniziai a prepararmi il mio solito cappuccino e il croissant per fare la colazione. Predisposi tutto sulla tovaglietta all’americana, mi accomodai a tavola e, tra uno sbadiglio e l’altro, iniziai a sorseggiare il cappuccino. Immediatamente notai che dal lato sinistro della bocca mi era colato addosso sulla T-shirt il latte che avevo appena iniziato a bere.
«Mmmh! Sono ancora mezzo addormentato» mi dissi. Bevvi ancora un altro sorso di latte e notai che mi colava ancora il latte dalla bocca.
Andai davanti ad uno specchio e ammutolii sbigottito: la parte sinistra del mio viso era come di plastica, piallata, completamente inespressiva. Non potevo inarcare le sopracciglia. O meglio riuscivo ad incarcare normalmente il sopracciglio destro ma quello sinistro restava completamente immobile. Come se fosse in un’altra faccia! Non riuscivo a chiudere completamente l’occhio sinistro che restava sbarrato (ho imparato poi che in termini medici si chiama “lagoftalmo”).
Contattai immediatamente il dott. Tonino Demurtas, un eccellente neurologo che già conoscevo in qualità di marito di una cara amica. Mi ricevette tempestivamente nel suo studio e fece immediatamente la diagnosi: «PARALISI FACCIALE IDIOPATICA UNILATERALE DEL VII NERVO CRANICO» meglio conosciuta come “PARESI DI BELL”. Ma di “Bell” non c’era proprio nulla!
È una forma di paralisi facciale unilaterale che provoca l'incapacità di controllare i muscoli del viso dal lato colpito, nel mio caso il sinistro (…questo evento mi diede l’ennesima conferma che le sciagure spesso provengano dalla sinistra)!
Lo specialista mi spiegò è identificata come “idiopatica”, termine medico usato per designare quei processi patologici che si instaurano senza un’evidente causa nota o dimostrabile. Ovvero è accaduta per caso. Senza motivo! Caddi nel panico più assoluto. Era difficile fare anche cose più banali che facciamo quotidianamente come mangiare o bere in quanto impossibilitato a controllare i movimenti delle labbra e della lingua.
Nella parte sinistra del viso era scomparso qualsiasi segno di espressione.
Poiché sono stato sempre curioso, iniziai a informarmi su questo malanno che mi era successo e venni a sapere che il settimo nervo cranico controlla una serie di funzioni, come l'apertura e la chiusura degli occhi, il sorridere, l'accigliarsi, la lacrimazione, la salivazione, l'innalzamento delle sopracciglia e l'alitamento delle narici (il movimento laterale di apertura e chiusura).
Non solo: coinvolge anche i muscoli stapedi (muscoli stabilizzatori dei movimenti della staffa) nell'orecchio medio che veicolano le sensazioni del gusto provenienti dai due terzi anteriori della lingua. Senza contare che il famigerato VII nervo cranico controlla anche i movimenti della lingua e quindi avevo difficoltà ad emettere alcuni fonemi come ad esempio le parole contenenti la lettera “P” o la “F” che richiedono una padronanza del movimento delle labbra.
La fronte era priva di rughe d’espressione! Era come se mi fossi “fatto il botox” ma solo nella parte sinistra del viso.
Ho avuto però la grande fortuna di poter contare su alcuni cari amici medici specialisti!
Oltre il dott. Demurtas, ricordo la dott.ssa Laura De Luca, specializzata in otorinolaringoiatria, che mi consigliò di sottopormi subito ad una visita specialistica poiché – come in realtà era accaduto – questo tipo di paresi poteva causare qualche problema di ipoacusia ovvero un abbassamento della percezione sensoriale dell’udito.
E poi la dott.ssa Adele Pes, eccellente medico oculista, nonché una mia carissima amica, che mi suggerì di proteggere l’occhio sinistro che – restando spalancato – era esposto ad eventuali contatti con corpi esterni. Scoprii che l'incompleta chiusura della rima palpebrale lasciava parte della cornea e della congiuntiva scoperte e quindi esposte all'azione degli agenti esterni. Ciò poteva favorire varie conseguenze, quali congiuntivite, cheratite ed abrasioni corneali.
Occorreva proteggere l’occhio anche dal rischio di una eccessiva secchezza che avrebbe potuto danneggiare la cornea in modo permanente. Infatti anche il riflesso involontario del battito delle ciglia risente di tale paresi e bisognava fare attenzione quindi a proteggere l'occhio da un eventuale infortunio.
Nonostante questo problema che sconvolse le mie giornate, non mi scoraggiai! A quel tempo curavo una rassegna stampa online per una associazione nazionale, e continuai a fare quel lavoro sebbene con un occhio bendato per motivi di igiene oculare fosse tutto molto più problematico! The life must go on!
Il problema era la notte. L’occhio restava socchiuso e poteva essere esposto a frizioni con la federa del cuscino e movimenti involontari della mano durante il sonno.
Ma se da un lato avevo trovato qualche amico disponibile e sensibile, c’è stato anche qualcuno che ha manifestato tutta la sua evidente e superficiale insensibilità. Ricordo che proprio la sera di quel 13.04.13 – come spesso facevo il sabato – andai alla Santa Messa con mia madre. Al termine del rito mi avvicinai al frate che aveva appena celebrato, sperando di trovare una qualche parola di conforto per ciò che mi era successo. Quel frate – che mi conosceva abbastanza bene – mi squadrò in viso e dopo mi disse «e che è quel mezzo sorriso storto e sghembo che hai!». Io raggelai. Non seppi cosa rispondere! Un caro amico che era di fianco a me gli spiegò ciò che avevo avuto. La risposta del frate fu un semplice «Hmm!!».
La ripresa dai postumi di tale paresi non fu affatto semplice. Il mio neurologo – per non creare allarmismo – non volle esprimersi sull’eventualità di poter riacquistare totalmente la padronanza dei movimenti facciali. Tanto meno indicare un periodo necessario per riacquistare pienamente tali facoltà.
Nell’85% dei casi si notano i primi segni di ripresa entro tre settimane dall'esordio. Ma non fu il mio caso. Passò qualche mese e il neurologo considerando che era arrivata la bella stagione, mi consigliò di andare a rilassarmi nella mia casa al mare a Stintino dove – complice il relax, il mare e un po’ di serenità – iniziai pian piano a riuscire a muovere la bocca, inarcare le sopracciglia, corrugare la fronte.
Ma c’è un però! Durante la rigenerazione i nervi sono in grado – in genere – di tracciare il percorso originale verso il corretto territorio interessato, ma alcuni nervi possono deviare dal corretto percorso preesistente, portando a una condizione nota come “sincinesia”. Ad esempio, la ricrescita dei nervi che controllano i muscoli collegati all'occhio potrebbe fare una deviazione e ricollegarsi alle connessioni che raggiungono i muscoli della bocca. In questo modo, il movimento di un distretto influenza anche l'altro. Ecco che, per esempio, quando si chiude l'occhio, l'angolo della bocca si può muovere involontariamente verso l'alto. Capita quindi che sorridendo davanti a qualcuno, si possa avere l’impressione che gli stia facendo l’occhiolino.
Capite bene che tutto ciò può creare spesso dei qui-pro-quo un po’ imbarazzanti. E non parliamo della «sindrome di Bogorad» detta “sindrome delle lacrime di coccodrillo”: in pratica a causa di una difettosa rigenerazione del nervo facciale, il ramo che controlla le ghiandole lacrimali e salivari si intercambiano le funzioni, quando si mangia si ha quindi il riflesso della lacrimazione oltre a quello della salivazione. Quindi se mentre mangio, notate che ho gli occhi lucidi, sappiate bene che non sono commosso per ciò che sto mangiando!
Mi è stato spiegato (ma solo dopo essermi ripreso!) di aver riacquistato circa il 70% della gestione dei movimenti facciali e che – tenuto conto del grado acuto della mia paresi facciale – devo anche considerarmi fortunato in quanto la percentuale di riacquisizione dei movimenti originari in una paresi grave (e la mia lo era!!) è decisamente bassa.
Ecco perché quel 13 aprile 2013 non potrò levarmelo più dalla mente. Evito poi di tirare in ballo la scaramanzia e la cabala ma la presenza di tutti quei “13” nella data non è certo molto esaltante. È vero che era un sabato 13 e non un venerdì, ma nella Cabala ebraica gli spiriti maligni sono tredici, questo numero si associa anche con il montone che Abramo sacrificò a Dio invece del figlio Isacco, ed è per estensione un numero di sciagura. Nel cristianesimo poi tredici erano i convitati all'Ultima Cena; pare che Gesù sia stato crocifisso un venerdì 13 e, infine, nel libro dell'Apocalisse, l'Anticristo appare nel tredicesimo capitolo. Ma io non sono superstizioso!
In Giappone e in Cina poi è il numero quattro a portare sfortuna, visto che la sua pronuncia originale è shi, un termine impiegato anche per indicare la catastrofe.
E – che combinazione! – il mese aprile è proprio il quarto mese!
Sommando 13+4 (giorno più mese) fa 17 e chiudiamo il cerchio! Ma io non sono superstizioso! Semmai tutto ciò mi conferma la veridicità della frase di Friedrich Nietzsche che era ed è sempre il mio motto: «ciò che non ti uccide, ti renderà più forte!».