Tempo
fa, il prof. Pierre
Barbet, chirurgo dell’Ospedale "Saint Joseph" di Parigi era ospite del card. Eugenio Pacelli in Vaticano, e
gli raccontò che –in base alle sue ricerche– si poteva essere certi che la
morte di Gesù Cristo era avvenuta per “contrazione
tetanica di tutti i muscoli” e poi “per
asfissia”.
E l’allora
card. Pacelli, impallidì di dolore e gli rispose: «Non ne sapevamo nulla;
mai nessuno ce ne aveva fatto parola ».
E poi sussurrò: «è
la conferma che il figlio di Dio patì sulla croce come preannunciato da Lui
stesso ai suoi discepoli sulla via di Emmaus».
Ritornato nel suo studio, il prof. Barbet decise
di stendere un vero e proprio rapporto scritto dal punto di vista medico, della
Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
«Si tratta –spiega il prof. Barbet– di un argomento il cui pensiero non mi ha mai
abbandonato da più di venti anni, giungendo talvolta sino ad ossessionarmi.
Esiste forse al mondo oggetto di meditazione più importante per l’uomo di
queste sofferenze, in cui si concretizzano due Verità misteriose, le sole che
veramente importino all’uomo, l’Incarnazione e la Redenzione? È necessario e
sufficiente, evidentemente che egli vi aderisca con tutta l’anima sua e ne
tragga lealmente la sua norma di vita. Ma in questo evento unico, che è il
punto culminante della storia umana, il più piccolo particolare acquista, a
mio giudizio, un valore infinito e non dev’essere trascurato anche quando la
concisione degli Evangelisti ci riduce a costruire su basi scientifiche, e non
più scritturali ed ispirate, ipotesi più o meno solide».
I teologi
possono descrivere le sofferenze morali che accompagnano la Passione del
Salvatore, dall’agonia del Getsemani, dove Egli rimase a pregare, oppresso
sotto il peso dei peccati del mondo, sino all’abbandono del Padre che sulla
Croce gli strappava quello straziante gemito: «Eloi, Eloi, lamma sabactani!» ma qualora quei teologi ed
esegeti volessero spingersi alla narrazione delle sofferenze fisiche di Gesù,
si dovrebbero fermare davanti alla evidente difficoltà di poter spiegare –con
le parole– di ciò che è avvenuto per renderci partecipi.
«Ecco perché bisogna assolutamente che
noi medici, anatomisti, fisiologi –continua il prof. Barbet– proclamiamo ben alta la terribile verità, affinché la nostra povera scienza non serva soltanto a sollevare i nostri
fratelli, ma anche –missione più grande–
ad illuminarli».
La premessa
conteneva un’avvertenza chiara: «io
sono solo un chirurgo, ho insegnato e in questa “veste” ho passato 17 anni in
mezzo ai cadaveri. Ho avuto quindi modo di studiare e approfondire l’aspetto
anatomico. Posso quindi scrivere su questo tema con competenza e senza
presunzione».
Partiamo dalla
«impressionante» concisione degli Evangelisti: «Pilato, dopo aver fatto
flagellare Gesù, lo consegnò affinché fosse crocifisso [...] Ed essi lo crocifissero».
Queste due
frasi, ogni cristiano, per poco che conosca la liturgia, le sente ripetere
ogni anno quattro volte nella Settimana Santa, in forme di poco diverse.
Nei riti si
odono le urla della folla ebrea, le parole gravi del Salvatore, ma lo spirito
non ha il tempo e modo di poter soffermarsi sulle spaventose sofferenze
racchiuse in quelle frasi…
Certamente gli
Evangelisti non avevano alcun bisogno di dare maggiori schiarimenti.
Per i
cristiani dell’epoca queste due parole «flagellazione, crocifissione» avevano
una potenza evocatrice della massima efficacia perché ne conoscevano il
significato, per esperienza visiva
diretta. Diverso per noi e per i nostri sacerdoti: questo non significa
quasi nulla!! Sì, abbiamo un’idea di un supplizio crudele.
Beh, adesso
qualche piccolo flash ce l’ha dato il film “Passion” del regista Mel
Gibson. Quelle immagini dure e crude di ciò che è avvenuto non hanno
lasciato gli spettatori freddi…
Certo, ogni
volta che assistiamo ad una Via Crucis, non potremmo non lasciarci trascinare
da una terribile tentazione di suggerire alla nostra mente quelle immagini per
riuscire solo ad immaginare quanto Gesù abbia sofferto e come abbia sofferto!
L’evangelista
Luca ci dice che «Gesù
entrò in agonìa nell’orto del Getsemani mentre pregava intensamente. Ed emise
un sudore misto a gocce di sangue che cadevano fin a terra».
Il prof.
Barbet fa notare un particolare: non è un caso se questo fatto è stato
riportato solo da Luca: egli era un
medico. E infatti lo fa con la precisione e la competenza di un addetto ai
lavori.
Il “sudar sangue” o “ematoidròsi”,
è un fenomeno medico rarissimo, ma già noto a quei tempi.
Avviene in
situazioni estreme: a provocarlo è la spossatezza fisica unita da una violenta
scossa morale causata da una profonda emozione o paura.
Il terrore,
lo spavento, l’angoscia possono produrre la rottura di vasi capillari che si
trovano nelle vicinanze delle ghiandole sudoripare. Il sangue si mescola al
sudore e affiora sulla pelle.
Sappiamo
bene com’è avvenuto il processo-farsa a Gesù organizzato e messo in scena dal
Sinedrio ebraico, l’invio di Gesù a Ponzio Pilato, lo “sballottare” la vittima tra il procuratore romano ed Erode.
Pilato cede
e decide di far flagellare il condannato.
I soldati
spogliano Gesù e lo legano per i polsi ad una colonna dell’atrio.
La
flagellazione consiste nell’essere colpiti con delle strisce di cuoio intrecciate su cui sono fissate due palle di piombo
e degli ossicini.
Le tracce
evidenti possiamo riscontrarle nella Sindone: la gran parte delle sferzate le
troviamo sulle spalle, sulla schiena, nella regione lombare e sul petto.
I carnefici
furono due: uno da ciascun lato ma di differente corporatura.
La pelle,
già alterata da milioni di microscopiche emorragie effetto dell’"ematoidròsi”,si lacera e si spacca e il
sangue zampilla.
E ad ogni
staffilata il corpo di Gesù viene attraversato da un soprassalto di dolore.
Le forze
oramai vengono meno, il sudore freddo gli imperla la fronte, la testa comincia
a girare con vertigini e nausea, i brividi gli corrono lungo la schiena.
Crollerebbe
in una pozza di sangue se non fosse stato legato in alto con i polsi.
Poi lo
scherno dell’incoronazione: intrecciano una “corona”
con lunghissime e durissime spine, più dure di quelle dell’acacia che penetrano
nel cuoio capelluto (che è una
zona molto vascolarizzata che quindi sanguina copiosamente).
Dall’analisi
della Sindone riscontriamo un forte
colpo di bastone sulla guancia destra che lascia una piaga lacero-contusa,
il naso deformato da frattura nell’ala
cartilaginea.
Ponzio
Pilato presenta alla folla inferocita quell’uomo e lo consegna alla crocifissione.
Caricano
sulle spalle di Gesù il braccio orizzontale della croce che pesa una cinquantina di kg.
Gesù
cammina a piedi scalzi in un sentiero, lungo circa 600m. è cosparso di
ciottoli e spesso cade sulle ginocchia.
Le spalle
di Gesù sono già ricoperte di piaghe e quella trave gli scortica ulteriormente
la pelle del dorso.
Arrivati
sul monte Calvario, ha inizio la Crocifissione.
I soldati
spogliano Gesù. La sua tunica è incollata alla pelle delle spalle.
Ogni filo di
stoffa aderisce al tessuto della carne viva. Levando la tunica (e
i carnefici non hanno certo usato pietà e delicatezza!) si
lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto nelle piaghe.
Avete mai
provato a staccare la garza di una medicazione su una ferita? Non avete sofferto? Non per nulla quest’operazione –talvolta– richiede di
anestetizzare localmente la zona.
I carnefici
invece danno uno strappo violento.
Talvolta
capita che quel dolore atroce possa provocare una sincope!
E il sangue
ricomincia a scorrere.
Gesù viene steso
sul dorso e le piaghe si mischiano alla ghiaia e alla polvere.
Gli
aguzzini prendono le misure: un giro di succhiello nel legno per facilitare la
penetrazione dei chiodi.
Un
supplizio aggiunto al supplizio.
Il
carnefice prende un chiodo (lungo, appuntito e quadrato) e lo appoggia sul
polso di Gesù e con un colpo netto di martello lo pianta saldamente nel legno.
Seguono
altri colpi.
Il nervo
mediano è stato leso: in quell’istante il pollice di Gesù, con uno scatto, si è
messo in opposizione nel palmo della mano.
Un dolore
lancinante, acutissimo, diffuso nelle dita che –come una lingua di fuoco– raggiunge
la spalla e folgora il cervello.
Quando
viene leso un fascio di nervi si prova il
dolore più insopportabile che si possa provare! Qualche volta si perde
conoscenza! Ma Gesù non perde conoscenza! Il nervo è stato solo sfilacciato. Il
tronco di nervi resta quindi a contatto con il chiodo. Quando poi resterà
sospeso sulla croce, il nervo si tenderà fortemente come una corda di violino
sul ponticello. E ogni scossa, ogni movimento, provocherà dolori strazianti.
E tutto
questo durerà tre lunghissime ore!
Ovvio che
anche per l’altro braccio si ripeteranno gli stessi atroci dolori.
I carnefici
impugnano le estremità della croce, sollevano Gesù, poi facendolo
indietreggiare lo addossano al palo verticale.
Le spalle
della vittima hanno strisciato sul legno ruvido.
La testa di
Gesù è reclinata in avanti per evitare di toccare il legno con la corona di
spine.
Quando
prova a sollevare la testa, riprendono le fitte acutissime.
Poi gli
inchiodano i piedi.
È mezzogiorno.
Gesù ha
sete. Non ha bevuto dalla sera precedente.
Il volto
oramai è tirato, è una maschera di sangue.
La bocca è
semiaperta.
La gola è
secca, gli brucia, ma non può deglutire.
Un soldato
gli tende una spugna intrisa di una bevanda acidula in uso tra i militari.
Atrocità su
atrocità.
I muscoli
delle braccia ora si irrigidiscono sempre di più, sono contratti.
Deltoidi,
bicipiti sono tesi.
Le dita
delle mani s’incurvano.
Son gli
stessi sintomi di un malato di tetano, in preda a quelle orribili crisi.
È ciò che i
medici chiamano “tetanìa”: i crampi si generalizzano in tutto il corpo, i
muscoli dell’addome si irrigidiscono, poi quelli intercostali, quelli del
collo. Intervengono quindi difficoltà nella respirazione e deglutizione.
Il respiro
a poco a poco si fa sempre più corto.
L’aria
entra con un sibilo ma non riesce più a uscire.
Il
crocefisso può (a malapena!)
inspirare ma non riesce a espirare!
Gesù può
respirare solo con l’apice dei polmoni.
Ha sete d’aria
come un asmatico in piena crisi.
Il volto è
pallido. A poco a poco diventa rosso, poi violetto, purpureo infine cianotico.
Gesù
soffoca.
I polmoni
son gonfi d’aria ma non riescono a svuotarsi.
La fronte
imperlata di sudore. Gli occhi stanno per uscire dalle orbite.
Tutto
questo provoca un dolore martellante.
Lentamente,
con un ultimo sforzo, sovrumano, facendo forza sul chiodo dei piedi, cerca di
tirarsi su con piccoli movimenti.
Fa
leva su un chiodo che trapassa entrambi i piedi; e sfrega il dorso già
martoriato sulla superficie della croce, non certo levigata!
Comunque
così facendo allevia la trazione delle braccia.
I muscoli
del torace si distendono permettendo una respirazione più ampia e profonda.
I polmoni
riescono a svuotarsi.
Il viso
riacquista quel pallore primitivo.
Ma questo
sforzo dolorosissimo a che serve? Gesù vuole altro fiato per parlare.
Deve dire «Padre,
perdona loro: non sanno quello che fanno!»
Ma quella
posizione non può essere mantenuta a lungo. Il corpo ricomincia ad afflosciarsi
e l’asfissia riprende.
Gesù ogni
volta che vuole parlare deve sottoporsi a questa pratica: sollevarsi
appoggiandosi sui chiodi dei piedi. E sono state tramandate sette frasi pronunciate
da Gesù sulla croce.
Inimmaginabile.
Sciami di
mosche, verdi e blu, come nei mattatoi, ronzano attorno al suo corpo.
Ma lui non
può neppure scacciarle.
Il cielo si
oscura. Il sole si nasconde e la temperatura si abbassa.
Sono le tre del pomeriggio.
Gesù di
quando in quando si risolleva per respirare.
Una tortura
che dura tre lunghissime interminabili
ore.
Tutti i
suoi dolori, la sete, i crampi, l’asfissia, i nervi mediani che vibrano ora gli
hanno strappato un lamento: «Eloì, Eloì, lamma sabactani??».
Poi l’ultimo
fiato nei polmoni per dire «tutto
è compiuto! Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito!!».
...detto
questo spirò!