giovedì 20 giugno 2024

LA PERFEZIONE DELL'IMPERFEZIONE


Tra le tracce scelte per l’esame di maturità 2024, il tema di attualità (tipologia C) proponeva un brano di “Elogio dell’imperfezione” di Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina nel 1986. «La perfezione non appartiene all’uomo e mai gli apparterrà. Ed è giusto così. Allora perché tanti si affannano, tentano in ogni modo possibile di adeguarsi a un modello? – si domanda la professoressa Levi Montalcini – e poi si chiede perché, semplicemente, ognuno di noi non si limita a lavorare sulle proprie caratteristiche, sui propri punti di forza? Tutti noi ne abbiamo, forse basterebbe solo fermarci e conoscerci».
E leggendo questa traccia ho avuto un sussulto di orgoglio. Infatti qualche tempo fa ho scritto una mia riflessione intitolata «La perfezione dell’imperfezione». Peccato che io l’esame di maturità l’ho sostenuto quarant’anni fa.
Nella mia riflessione contenuta insieme a tante altre in un libro intitolato «scrivo come mangio»
(L’Universale, 2024) evoco un aneddoto citato da Vittorio Buttafava che mi ha sempre colpito e che ritengo che possa darci un quadro davvero chiaro ed esaustivo della nostra società (...sempre più alla deriva).
«Un professore sale in cattedra e, prima di iniziare la lezione, toglie fuori dalla sua cartella un grande foglio bianco con una piccola macchia d’inchiostro. Poi rivolto agli studenti, domanda: “Che cosa vedete qui?”.
“Una macchia d'inchiostro”, rispondono quasi tutti in coro.
“Ecco!”, continua il professore, “Così sono gli uomini: vedono soltanto le macchie, anche le più piccole e non il grande e stupendo foglio bianco che è la vita”».
Buttafava inquadrò profeticamente ed in modo eccellente la malattia che affligge il nostro mondo. Ci concentriamo a cercare sempre il pelo nell’uovo, a voler fare le pulci a tutto, alle persone, alle azioni, alle cose, come nel “Trova l’errore” nella Settimana Enigmistica! Ci fossilizziamo solo sulle piccole sbavature di inchiostro, ci roviniamo la giornata in una ricerca affannosa dei difetti tralasciando invece di soffermarsi sull’aspetto globale di «quel grande e stupendo foglio bianco che è la vita».
 
La mia riflessione continua con un altro esempio.
Un’insegnante scrive alla lavagna la tabellina del 7.
7x1=7
7x2=14
7x3=21
7x4=26
7x5=35
7x6=42
7x7=49
7x8=56
7x9=63
7x10=70
Tutti gli alunni sogghignano sotto i baffi (che ancora non hanno!) e si danno gomitate. «Pazzesco, la prof. non sa la tabellina del 7. Che vergogna! E vorrebbe anche insegnarcela a noi!».
L’insegnante attende un po’, li lascia divertire e poi dice «io so bene che 7x4 fa 28. Ma ho scritto 26 appositamente perché voglio che voi impariate una lezione importante che vi servirà nella vita. Io ho scritto 9 risultati corretti su 10 e nessuno mi ha fatto i complimenti e mi ha detto “brava!”. Tutti però avete notato l’unico errore compiuto: quel 7x4=26. Ecco l’insegnamento che voglio darvi. Il mondo si concentrerà solo sul criticare l’unica cosa sbagliata che avete fatto. Vi attenderà al varco stizzosamente per farvela pagare. E non aspettatevi mai i complimenti per le migliaia di cose giuste che avrete compiuto! Resterà impressa nella memoria collettiva quell’unico passo falso compiuto!».
Ecco quindi due lezioncine per chi vorrà riflettere!
Siamo (anzi… se permettete, sono!) diventati tutti acidi, cinici, velenosi e sarcastici, sempre meno capaci di “saper godere ed apprezzare” anche le imperfezioni di ciò che ci circondano. La vita è fantastica perché è piena di cose imperfette.
Poi prendo spunto dal “Wabi-Sabi” è un termine giapponese per indicare una visione estetica del mondo. Letteralmente potremmo tradurlo con “la bellezza dell’imperfezione”. È riferito sia ad elementi naturali che a quelli che hanno un carattere incompleto o impermanente. Anziché cercare la simmetria perfetta, si cerca di apprezzare l’asimmetria, la semplicità e la naturalezza.
Applicato alla vita quotidiana, questo concetto giapponese, ci incoraggia a cercare la bellezza nelle imperfezioni della vita, accettando tranquillamente il ciclo naturale di crescita e decadimento umano, accettando le nostre “crepe”, che sono quelle che ci rendono unici e dimostrano ciò che abbiamo vissuto.
Il concetto di Wabi-Sabi ha impregnato così tanto la mentalità giapponese da esprimersi attraverso diversi canali, tra cui l’arte del “kintsugi”. Quando i pezzi di ceramica di un certo valore si screpolano o si rompono invece di cercare di nascondere le “imperfezioni”, l’artigiano giapponese le riempie con una lacca dorata in contrasto. In questo modo il difetto non solo non viene camuffato e nascosto ma addirittura evidenziato come espressione della storia unica dell’oggetto che perdura, sebbene non integro, come fosse un segno della sua bellezza imperfetta.
Per me tutto questo è straordinario! Alla base di tutto questo c’è l’antica cultura del Giappone per la tradizione da perpetuare nel tempo che dev’essere tramandata e rinnovata. Si tratta di porre l’attenzione proprio su quelle crepe, evidenziandole ed utilizzandole come elementi che aggiungono valore all’oggetto anziché considerarle difetti da nascondere di cui vergognarsi. Aggiustato ma sempre utile.
La nostra società occidentale – purtroppo – è indirizzata esattamente verso la direzione opposta, tendiamo maniacalmente all’ostentazione dell’efficienza e dalla fredda perfezione. E come diretto corollario il consumismo compulsivo ci impone di sbarazzarci di ciò che non è più perfetto ed integro: del piatto sbeccato, del pullover smagliato, del paio di scarpe da risuolare (salvo poi acquistare jeans o T-shirt già strappati!). O più semplicemente qualcosa di cui ti sei stufato: quando non li usi più, li getti via!
C’è una splendida campagna di comunicazione della gloriosa penna BIC dove si vedono tre penne rimaste sempre uguali nel design dal 1955 in poi. Il payoff è chiaro: «non provare a cambiare qualcosa finché non smette di funzionare».
Un altro esempio viene dalla Francia dove è stato introdotto «bonus réparation» che potremmo tradurre con «bonus rammendo» e consiste in un contributo per riparare quella giacca che avevamo lasciato nell’armadio da anni o un giubbotto o un paio di scarpe. È la migliore risposta alla nuova tendenza del “usa e dai via” suggerita da tante app che conosciamo bene.
Il discorso non cambia per le nostre case. Ci viviamo benissimo? Chi se ne frega: devi fare il cappotto, devi cambiare termosifoni, devi rifare gli infissi, devi mettere le pompe di calore…
Al diktat dell’efficienza non ci si può opporre, pena l’accusa di essere i veri colpevoli dello stato di salute del nostro pianeta. Una società che avesse davvero a cuore i propri componenti, elaborerebbe premi incentivanti con forti agevolazioni per coloro che mantengono un’auto per almeno 15 anni, per coloro che aggiustano il tetto soltanto quando appaiono le prime crepe o c’è un’infiltrazione, quando non cambiano il termosifone finché si sta al calduccio perché quelle persone stanno dimostrando di saper gestire i propri denari. Il mondo potrà pur essere razionale nei suoi effetti ma mettiamoci la testa in pace che noi – come ci conferma la prof.ssa Levi Montalcini, siamo esseri “imperfetti” e non riusciamo ad analizzare asetticamente quello che ci circonda, esseri legati alle intuizioni, ai sentimenti, agli istinti e alla memoria storica. Piuttosto che cercare un’immaginaria ed irraggiungibile perfezione programmando al millimetro tutti i possibili eventi del mondo che ci circonda dovremmo accettare noi stessi proprio perché imperfetti e riempire le nostre crepe con vernice dorata. Dovremmo ammettere quanto siamo fallibili, fragili ed incoerenti e andarne fieri. E non c’è nulla di male nell’esserlo: siamo unici in quanto unicamente imperfetti. Infine non dovremmo dimenticarci mai che l’Universo, per chi non lo sapesse, è nato dal Caos.