venerdì 9 dicembre 2016

«LA PERFEZIONE DELL’IMPERFEZIONE»


C’è un piccolo aneddoto della tradizione orientale, citato da Vittorio Buttafava, che mi ha sempre colpito e che ritengo che possa rendere un quadro esaustivo della nostra società (...sempre più alla deriva). 
«Un professore di filosofia salì in cattedra e, prima di iniziare la lezione, tolse fuori dalla cartella un grande foglio bianco con una piccola macchia d’inchiostro nel mezzo. Rivolto agli studenti domandò: “Che cosa vedete qui?”. 
“Una macchia d'inchiostro”, risposero quasi tutti in coro. 
“Bene”, continuò il professore, “così sono gli uomini: vedono soltanto le macchie, anche le più piccole, e non il grande e stupendo foglio bianco che è la vita”»

Profeticamente Buttafava inquadrò eccellentemente la grande malattia che affligge il nostro mondo. 
Ci ostiniamo a voler fare le pulci a tutto. 
Alle persone, alle azioni, alle cose. 
Ci fossilizziamo sulle piccole sbavature di inchiostro, cercando minuziosamente un eventuale “pelo nell’uovo”, una ricerca affannosa per focalizzare solo i difetti tralasciando invece l’aspetto globale di «quel grande e stupendo foglio bianco che è la vita». 
E non è un caso che tutti siamo diventati acidamente cinici e velenosamente sarcastici, sempre meno capaci di “saper godere ed apprezzare” anche le imperfezioni di ciò che ci circondano. 
La vita è piena di cose imperfette. 
Immaniamo cosa sarebbe la Torre di Pisa se fosse diritta come un fuso. Chi andrebbe a vederla?
Cosa sarebbe il famosissimo "Gronchi rosa" se i confini del Perù fossero stati corretti? Un normalissimo francobollo!
Oppure le "500 lire d'argento" con le bandiere degli alberi maestri delle tre caravelle disposte "controvento", cioè a sinistra. 
La loro rarità sta nell'errore..
Imparare ad accettare i difetti e decidere di apprezzare ognuna delle differenze degli altri, è una delle cose più importanti per creare una relazione sana e duratura. 
Pensiamo infine a Alexander Fleming quando partì per una breve vacanza scordando i suoi campioni di stafilococchi incustoditi in laboratorio...
Quando ritornò, trovò i campioni ammuffiti. 
Se avesse -superficialmente- focalizzato la sua attenzione sui campioni ammuffiti, ora non sapremmo cosa sia la penicillina”.
La comprensione e la tolleranza sono la base di ogni buona relazione. 

mercoledì 26 ottobre 2016

HALLOWEEN? NO, COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI!

Provate a chiedere che cosa si festeggi tra fine di ottobre e l’inizio di novembre! La risposta sarà corale: H-A-L-L-O-W-E-E-N!! Travestimenti, maschere, scheletri e scherzi sono gli elementi di questa ricorrenza che affascinano grandi e piccini. Peccato che sia solo l’aspetto più goliardico e superficiale dell’evento, ignorando i valori simbolici e culturali originali dove tale tradizione è nata. E anche gli spot se ne sono subito impossessati per creare il clima degli spot.

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Esteròfili come siamo, abbiamo importato ad occhi chiusi tradizioni straniere perché… sono più “cool”. I mesi di ottobre e novembre sono stati da sempre molto ricchi di richiami al culto dei morti: le giornate si sono accorciate a viste d’occhio, l’imbrunire arriva a metà pomeriggio e trasmette quindi l’idea delle tenebre. Da qualche lustro Halloween, ha avuto una diffusione virale che – complice il marketing – si è trasformato in un “carnevale d’autunno”.
Travestimenti, maschere, scheletri e scherzi sono gli elementi di questa ricorrenza che affascinano grandi e bambini. Peccato che si stia  ignorando i valori simbolici e culturali originali dei paesi in cui tale tradizione è nata: Stati Uniti, Gran Bretagna e Irlanda.
Vorrei specificare che non sono prevenuto contro Halloween per partito preso. Ecco quindi che vorrei spiegarlo:
- Abbiamo già simili feste nella tradizione italiana e regionale;
- Penso che non si sia perso il vero senso della festa di Halloween.
Partiamo dal termine Halloween che deriva da «Hallows’ Evening», letteralmente “Sera di tutti i Santi”. Infatti il simbolo di questa festa è Jack O' Lantern un vecchio fattore che, secondo la leggenda, avendo peccato talmente tanto, neppure il diavolo lo volle accettare e tornato sulla Terra intagliò una zucca iniziando a vagare per il mondo in cerca di un posto dove stare.
Nei paesi anglo-sassoni quindi non è semplicemente un ornamento da esporre fuori dalla finestra, ma un simbolo legato ad una tradizione antichissima che serviva a tener lontani gli spiriti che – sempre secondo la leggenda – si diceva vagassero per la città nella notte del 31 ottobre.
Inoltre la tradizione di «Trick or treat?» (dolcetto o scherzetto?) fatta da bambini vestiti da mostriciattoli o streghe deriva semplicemente dal fatto che gli elfi e le fate presenti nella cultura celtica usavano fare scherzi agli uomini.
Per il Celti, la notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre, è detta “Samain” che richiama la parola “san-fuin” ovvero “fine dell’estate”. In quella notte i morti confinati nel “mondo intermedio”, hanno accesso al mondo dei vivi.
I Druidi appiccavano un «fuoco rituale» su un’altura in modo che da quelle fiamme ognuno possa attingervi per riscaldare la propria casa. L’importanza dei fuochi ha un grande valore simbolico.
In Scozia invece è ricordato come “Nos Galan-gaeaf”, la «notte delle calende d’inverno». Anche in tal caso, avveniva un contatto tra morti e i vivi attraverso un «rimescolamento cosmico». 
Quella notte ha un significato anche nelle tribù rurali: la terra s’appresta a dormire per poi risvegliarsi nella successiva primavera.
 
Come Scrive Alberto Massaiu «il 30 ottobre, nelle colline della Britannia, della Gallia, dell’Irlanda e della Caledonia venivano preparate delle enormi cataste di legno. Il 31 venivano accese e, in concomitanza, i fuochi dei focolari di ogni singola abitazione nei villaggi venivano spenti per tutta la notte. L’indomani, il primo giorno di novembre, i druidi si recavano di casa in casa a portare le braci ardenti del sacro fuoco nuovo, che simbolicamente delineava il trapasso dell’anno vecchio in quello che appena incominciato»
Anche nell’isola di Man s’accendevano dei fuochi per «stornare la dannosa influenza di fate e streghe».
Lo storico delle religioni (nonché antropologo, scrittore, filosofo, mitografo) Mircea Eliade, fa notare che «la solidarietà dei morti con la fertilità e l’agricoltura si nota ancor più chiaramente studiando le feste o le divinità in relazione con uno di questi due complessi cultuali. Spessissimo una divinità della fertilità tellurico-vegetale diventa anche divinità funeraria […].» D’altronde i defunti sono quelli che “abitano sottoterra” come le piante!
Ma ora lasciamo da parte ora le usanze celtiche e torniamo dalle nostre parti!
 
In molti nostri paesi della Sardegna dove i bambini andavano in giro per le case a chiedere «Sos mortos mortos» o «Is animeddas» rimediando spesso fichi secchi e caramelle! Anche in Sardegna, infatti, la notte tra il 31 ottobre e il 1° Novembre, secondo la tradizione, il “portone” che trattiene le anime del purgatorio si apre, permettendo a queste di girovagare – momentaneamente – per le case che un tempo furono di loro proprietà o di visitare luoghi ai quali si sentono profondamente legate.
I bambini sardi, vagavano vestiti di stracci, quasi a voler simboleggiare le anime dei piccoli defunti, e bussavano di porta in porta, domandando, con cantilene differenti da località a località, una piccola offerta, un piccolo dono per le “sfortunate anime del purgatorio” che in quella notte venivano ricordate più che in ogni altro giorno.
 
In Sicilia, secondo la tradizione, sempre nella notte tra il 1° e il 2 di novembre, i morti tornano a fare visita ai cari ancora in vita, lasciando un regalino ai bambini. La mattina del 2 novembre, i bimbi quindi andavano in giro per la casa a cercare il regalo che il parente defunto ha portato durante la notte. In genere erano cose semplici come una “pupa ri tzùccaro” (una bambola di zucchero oppure di pezza!).
Non scordiamo che in tutto questo c’era una funzione anche pedagogica: fare in modo che i bambini tenessero nella loro mente e nel loro cuore le persone di famiglia defunte che non avevano mai conosciuto. Serviva anche a portare un po’ di allegria in famiglia in una ricorrenza di per sé triste. Era una gioia per gli adulti vedere come si illuminavano gli occhi dei loro bambini quando questi trovavano il loro regalo. 
Aggiungiamo anche la “Morte Secca” in Toscana oppure in Campania i “Cicci muorti”. Ecco perché Halloween è una festa che non ci appartiene: semplicemente abbiamo già le nostre tradizioni simili.
Non ci appartiene anche perché trasuda di bieco e banale marketing (nella sua accezione più squallida) e perché rischia seriamente di annientare la nostra profonda tradizione della Commemorazione dei defunti e sostituirla con il nulla.
Per una corretta consapevolezza culturale, sarebbe bene valorizzare o addirittura riscoprire la nostra vecchia e cara commemorazione dei defunti, partendo soprattutto dalle scuole (che invece organizzano per prime il carnevale di Halloween!)
Il confronto tra Halloween e “sos mortos mortos” esterofili come pochi al mondo, non può certo reggere!
Come se non bastasse, si è voluto aggiungere un tocco esoterico che, qualche mente bacata, ha voluto dare a questa festa, come le notizie di cronaca (purtroppo nera) ci confermano, scatenando – come corollario! – l’ira funesta di coloro che, con altrettanta superficialità, lottano contro “Halloween festa satanica”!
 
E secondo voi, il mondo della comunicazione poteva lasciarsi sfuggire quest’occasione ghiotta? Si sa che i brand amano gli appuntamenti periodici come le festività. Quale migliore occasione, quindi, per produrre contenuti creativi e …spaventosamente collegati a questa occasione in un turbinio di fantasmi, streghe e lupi mannari.
La Pepsi qualche anno fa ha stupito tutti con una campagna davvero geniale che, partendo dal tema legato ad Halloween s’è voluta togliere qualche sassolino dalla …lattina, portando avanti l’ennesimo capitolo della saga “Pepsi vs. Coke”. E fu così che –nel 2013– lanciò «We wish you a scary Halloween». Giocando sul fatto che ad Halloween si scelgono travestimenti spaventosi, capeggiava una lattina di Pepsi travestita da Coca-Cola (per la Pepsi, una strega brutta e spaventosa!). Con questa campagna pubblicitaria la Pepsi attirò un’attenzione incredibile da parte dei media.
Poteva la Coca–Cola non raccogliere l’occasione per una replica con un instant marketing? Certo che no. Ecco allora «Everybody wants to be a hero!» dove i creativi ad Atlanta rilanciarono e giocarono sulla propria eccellenza con quella stessa immagine delle lattine travestite. Infatti a differenza della pubblicità di Pepsi, non puntaronno a denigrare il competitor, bensì a riconfermare la supremazia sul mercato. Risultato: il tocco di un semplice copy modifica completamente il messaggio, sottolineando che la lattina sembra proprio vestita da Superman.
Più complesso e articolato lo spot della Nike che riesce ad incastrare perfettamente il tipico tema “dark” di Halloween con uno storytelling ispirato al film “Scream”. La protagonista è perseguitata da un killer. Che può fare? Correre, ovvio! «Run for your life» ... Ma con un paio di scarpe Nike, riesci anche a seminare il killer. E «You’ll live longer» come recita il pay-off.
Nel 2014 la catena svedese IKEA per Halloween ideò un video per il mercato di Singapore che ricalca “Shining” il capolavoro dell'horror di Stanley Kubrick con il bambino che scorrazza tra gli stand del magazzino col suo triciclo rosso… Kubrick non avrebbe saputo fare di meglio.
E per Halloween Samara, la protagonista di “The Ring”, poteva non essere evocata? Certo, come promoter per “Phones 4Y”.  E non potrete non accettare il suo invito…
I bambini ne sanno una più di… Halloween. La Snickers lo sa… e ha ingaggiato una minacciosa signora che “consiglia” di riempire il proprio carrello proprio di praline Snickers.
Infine in questa brevissima carrellata di spot “horror” troviamo la Volkswagen che punta proprio sulla nomea dei tedeschi come persone rigide e poco inclini al “sense of humour” e pubblica una serie di auto che – nei film horror – non riescono a partire per poi invitare nel pay-off finale a chiedersi come mai nei film horror non ci siano mai auto Volkswagen.
 
Concludendo non dobbiamo permettere che le zucche e i fantasmi possano soppiantare i nostri dolcetti, le castagne, i fichi secchi e giocattoli. È giunta l’ora di riappropriarci della nostra identità e della nostra cultura, partendo proprio dai più piccoli. Ai genitori e soprattutto ai nonni va questo importante compito di tramandare e tenere saldamente in vita queste tradizioni, raccontando le favole e i racconti che hanno sempre inchiodato alla sedia intere generazioni di bambini, secondo le quali nella notte tra l’1 ed il 2 di novembre i nostri cari morti tornano a farci visita, portando dolci e regali. È una questione di identità e di cultura: dobbiamo difenderla.
 Ed ora che sapete il vero significato della zucca intagliata abbiamo la conferma che quelle che vedete in giro sono solo delle …zucche vuote!.